lunedì 12 febbraio 2018

LETTURE.

Ho scoperto tra i miei libri un volume scritto in lingua russa, stampato a Leningrado (oggi San Pietroburgo) nel 1971, in 2100 esemplari. Si tratta del celebre diario del viaggio di Iosaphath Barbaro, mercante veneziano, alla Tana, nel  MCCCCXXVI (1436). La Tana si trova in Crimea, a nord del Mar d’Azov. Giosafat Barbaro (1413- 1494) fu un ricco mercante veneziano che visitò la Crimea e parte della Russia. Fu anche uomo politico, ambasciatore e archeologo. Il resoconto del suo viaggio alla Tana, e successivamente, come ambasciatore alla Persia, è una vivissima storia di avventure, scritta in un linguaggio abbastanza a noi comprensibile, che si riallaccia alla grande tradizione delle memorie dei mercanti e navigatori veneziani. Il volume è uno splendido monumento  della storia italiana, fu stampato a Venezia nel 1543, nelle case  de’ figliuli di Aldo. Riproduco la prima pagina, “Esordio”.

Di messer Iosafa Barbaro, gentiluomo veneziano, il viaggio della Tana e nella Persia.


La terra (secondo quello che con evidentissime dimostrazioni provano li geometri) in comparazione del firmamento è tanto picciola quanto un punto fatto nel mezo della circonferenzia d’un circolo; della quale, per esser una buona parte, secondo l’opinione d’alcuni, over coperta da acque over intemperata per troppo freddo o caldo, quella parte che s’abita è ancora molto minore. Nondimeno tanta è la picciolezza degli uomini, che pochi si truovano che n’abbiano veduto qualche buona particella, e niuno (se non m’inganno) è, il quale l’abbia veduta tutta. E quelli che n’hanno veduto pur qualche particella al tempo nostro, per la maggior parte sono mercanti, overo uomini dati alla marinarezza, ne’ quali due esercizii, dal principio suo per insino al dì presente, tanto i miei padri e signori veneziani sono stati eccellenti, che credo con verità poter dire che in questa cosa soprastiano agli altri. Imperoché, dopo che l’imperio romano non signoreggia per tutto come una volta fece, e che la diversità de’ linguaggi, costumi e religioni hanno come a dir passato e rinchiuso questo mondo inferiore, grandissima parte di questa poca la qual è abitabile saria incognita, se la mercanzia e marinarezza per quanto è stato il poter de’ Veneziani non l’avesse aperta. Tra li quali, s’alcuno è al dì d’oggi che s’abbia affaticato di vederne qualche parte, credo poter dir con verità d’esser io uno di quelli, conciosiaché quasi tutt’il tempo della gioventù mia e buona parte della vecchiezza abbia consumata in luoghi lontani, in genti barbare, fra uomini alieni in tutto dalla civiltà e costumi nostri, tra li quali ho provato e veduto molte cose che, per non esser usitate di qua, a quelli che l’udiranno, i quali, per modo di dire, non furono mai fuori di Venezia, forse parranno bugie. E questa è stata principalmente la cagione per la quale non m’ho mai troppo curato né di scriver quello che ho veduto, né eziandio di parlarne molto.

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