domenica 20 agosto 2017



PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI. CAP. 32.


Risposta dell’Unità nella rubrica “Filo diretto con i lavoratori” a Carlo Groppi.
          

a)     In virtù dell’articolo 13 della legge istitutiva dell’Enel (L. 6.12.1962, n. 1643), “il rapporto di lavoro del personale dipendente è regolato dalle norme del diritto privato e su base contrattuale, collettiva e individuale; in sede giurisdizionale la competenza a conoscere le relative controversie è attribuita all’autorità giudiziaria ordinaria”. Ciò significa che nell’assunzione del personale l’Enel gode della libertà ed incontra i limiti propri di un qualsiasi imprenditore, pur se, trattandosi di un Ente pubblico istituito per perseguire finalità d’interesse generale, tenuto ad esercitare la propria libertà ed autonomia anche in questo settore in conformità dei fini pubblici che lo distinguono. A tal fine, decisiva è l’azione delle Organizzazioni sindacali, che da tempo perseguono l’obiettivo di una regolamentazione collettiva delle assunzioni attraverso la quale l’Ente vincola la propria discrezionalità in materia all’osservanza di criteri obiettivi concordati con il sindacato. La regola del pubblico concorso costituisce una di tali limitazioni ed è certamente garanzia di correttezza. I quesiti che tu poni riguardano una serie di clausole che di solito vengono inserite nei bandi di concorso. In relazione a tali clausole – che, concordate o meno che siano, si pongono verso l’esterno e cioè verso gli aspiranti lavoratori, come manifestazione dell’autonomia dell’Ente – possono prospettarsi non diversamente da quanto  avviene in analoghe manifestazioni concorsuali di un privato, due ordini di problemi: 1)  se esse siano legittime, rispettino cioè i limiti che la Costituzione e le leggi dello Stato impongono all’autonomia privata, 2) se esse siano opportune socialmente e sindacalmente. Per quanto riguarda il primo ordine di problemi, deve essere tenuto presente che, secondo la Costituzione, l’iniziativa economica e l’autonomia privata sono bensì libere ma non possono svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana, o, comunque, da ledere l’ordine pubblico costituzionale e cioè quell’insieme di valori e principi consacrati appunto nella Carta della Repubblica. Le clausole dei bandi di concorso, in quanto manifestazioni dell’autonomia dell’Ente, sono illegittime se violano un tale insieme di limiti. Per quanto riguarda il secondo ordine di problemi, invece, è da tenere presente che una clausola, pur rispettando i limiti costituzionali e legali dell’autonomia dei soggetti e pur essendo perciò legittima, può essere in contrasto  con le finalità perseguite dal movimento dei lavoratori, determinare lacerazioni e distacchi tra i lavoratori stessi o tra gli occupati e aspiranti al lavoro, costituire ostacolo o limite al progresso sociale e civile del Paese; e perciò può rivelarsi inopportuna o negativa. Nell’uno o nell’altro caso, ovviamente, il movimento sindacale è impegnato a battersi per il superamento della clausola. Ma, mentre nel primo caso l’azione realizzativa può avvalersi anche del ricorso al giudice e dell’intervento delle Istituzioni, nel secondo caso dovrà fare affidamento solo sulla propria capacità di persuasione e di lotta come strumento di pressione nei confronti dell’Enel.

Alla luce di questa premessa possiamo esaminare i quesiti che poni con riferimento alle varie clausole elencate nella tua lettera.

A)  Un primo gruppo appare certamente legittimo, ed anche razionalmente giustificato, cioè rispondente ad esigenze delle quali è giusto darsi  carico. Così, il limite massimo d’età per la partecipazione  ai concorsi (del resto comune a tutti i pubblici concorsi) risponde all’esigenza di reclutare personale che abbia dinanzi a sé una prospettiva di permanenza abbastanza lunga nell’Azienda, con conseguente possibilità di affinamento professionale, ed al tempo stesso offre spazio all’inserimento delle forze più giovani e delle nuove leve di lavoratori. Così anche la preselezione fondata sull’attività lavorativa precedentemente svolta, mentre tende ad evitare un inutile dispendio di tempo ed energie per l’espletamento di concorsi sovraffollati, risponde a criteri obiettivi e al tempo stesso funzionali alla scelta dei lavoratori più idonei ai posti da ricoprire.
B)    Un secondo gruppo di clausole, pur non apparendo illegittimo, tuttavia risulta di dubbia opportunità in quanto espressione di un atteggiamento di chiusura corporativa e fonte di possibile contrapposizione dei lavoratori elettrici alla Comunità. Così l’elevazione del limite di età per i figli di ex dipendenti o l’esclusione degli stessi dalla preselezione costituisce un retaggio del passato, quando la lotta dei lavoratori era costretta entro angustie corporative ed i ritardi nello sviluppo democratico della società e nella stessa organizzazione sindacale imponevano di battersi per obiettivi tutti interni alla categoria. Ma oggi, lo sviluppo assunto dal movimento sindacale,  l’ampiezza ed il respiro generale degli obiettivi che esso attualmente pone, la stessa maturità della coscienza democratica del Paese spingono verso il superamento di privilegi corporativi. Discorso in parte diverso, invece, deve essere fatto per l’esonero dal limite di età accordato ai figli dei dipendenti colpiti da infortuni sul lavoro o malattie professionali. Qui un’esigenza di solidarietà verso chi nel lavoro ed a causa di questo ha perso la vita o la salute, può giustificare il trattamento di favore riservato ai congiunti, anche se resta il dubbio che questa non sia la forma più efficace per esprimere tale solidarietà. Per ragioni diverse va valutato negativamente il rilievo accordato, in sede di preselezione, alla votazione riportata nel titolo di studio: si tratta di un criterio ingiusto ed irrazionale che fa pesare, ai fini dell’assunzione al lavoro, dati remoti, arbitrari (le votazioni sono diverse a parità di merito, dal luogo a luogo, sessione e sessione ecc.) e sostanzialmente assai poco significativi ai fini della valutazione delle attitudini professionali.

C)   Infine, un ultimo gruppo di clausole sembra violare i limiti dell’ordine pubblico costituzionale e perciò è da ritenere illegittimo. Rientra in tale gruppo, innanzitutto, la esclusione delle donne dai concorsi per mansioni non di concetto: tale esclusione urta contro l’articolo 3 comma I della Costituzione che stabilisce l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso; principio, questo, riaffermato nella materia del lavoro dalla legge sulla parità di trattamento tra uomo e donna, già approvata da un ramo del Parlamento ed ora all’esame del Senato, la quale al suo articolo I dispone: “E’ vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale”. Illegittima sembra anche la clausola che esclude dai concorsi, nei quali sia richiesto come titolo di studio quello della scuola dell’obbligo, coloro che a suo tempo conseguirono la licenza elementare, perché tale clausola nega valore ad un titolo che a suo tempo segnava il completamento della scuola dell’obbligo, e penalizza dei cittadini per il solo fatto di aver compiuto la propria formazione in un periodo in cui lo Stato non era ancora in grado di dare all’istruzione di base l’ampiezza accordata con l’istituzione della media dell’obbligo. Sulla clausola del titolo di studio massimo, questa rubrica ha già avuto modo di intervenire (l’Unità 19 gennaio 1976: “Un titolo di studio superiore al richiesto è causa di licenziamenti?”), ricordando la situazione economico-sociale in presenza della quale tale clausola fu introdotta e le ragioni che allora la giustificarono ed esprimendo le perplessità che una clausola del genere suscita oggi in conseguenza dell’entrata in vigore della legge 15 luglio 1966 n. 604 e dello Statuto dei Lavoratori, nonché della mutata situazione politico-sociale del Paese. Infine, anche l’esclusione dai concorsi dei candidati residenti fuori provincia (o fuori delle provincie limitrofe) e la precedenza accordata agli autoctoni suscitano dubbi quanto alla loro legittimità, perché vengono ad accordare rilievo a “fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore” (art. 8 Statuto) e si pongono come ostacolo alla mobilità territoriale dei lavoratori, contribuendo così al permanere di squilibri territoriali."

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