sabato 25 maggio 2019







Nei Tatry.

E’ tutto!

Una settimana di “influenza” mi ha costretto a stare in casa. Adesso va’ meglio e domani andrò a votare per l’Europa e per il mio Comune. Per fortuna mi piace il ciclismo in tv, e da sempre seguo le “classiche”, il Giro ed il Tour, naturalmente i Campionati del mondo, su strada e su pista, per uomini e donne, professionisti e dilettanti! Ieri bellissima tappa nel Gran Paradiso. Perciò non mi annoio troppo. Naturalmente, come ho sempre fatto fin da quand’ero bambino, approfitto per rovistare tra le vecchie carte e cianfrusaglie, con la sicurezza di trovarvi dei tesori! Cioè, vecchie fotografie, più o meno sbiadite, santini di cresime e comunioni, tessere di partito e di sindacato, ricordini dei nonni morti ed altri piccoli oggetti della mia amata nonna ed anche cartelle sanitarie dei miei non pochi soggiorni negli ospedali. Queste cartelle mi fanno ricostruire il “cammino della speranza” perché sono abbastanza felicemente approdato alla bella età di 81 anni! Certo, alcune volte l’ho scampata bella, anzi, una volta, se non ci metteva l’anima una Santa francese, potevo benissimo andare a far terra da ceci! Nel 1949 mi salvò la vita l’arrivo nel paesello della “penicillina”! E così cominciai a credere alla “scienza medica”. Seguirono ricoveri e terapie negli Ospedali di Volterra, Massa Marittima, Pisa, Grosseto, Siena, Firenze, Bologna…e su questo tema ho scritto alcuni racconti e “poesiole” ricordando episodi grotteschi, sentimentali, professionali, miracolosi. Una delle ultime volte fui addirittura invitato dal primario  del Settore a tenere una “lezione” dal mio lettino, sulla mia patologia e suo decorso, dopo un intervento chirurgico, ad un gruppo di studenti di medicina della locale Università! Un’altra volta avvenne il “miracolo” per una guarigione, data ormai per impossibile. Ci fu anche un soggiorno lungo per un intervento chirurgico breve, di attesa, durante il quale bisbocciai con altri pazienti egualmente in attesa, e feci amicizia con l’unica suora “brabantina” di quel reparto. Sapendo che mi piaceva far ricerche di storia, mi chiese se potevo inserire  nel saggio che stavo  predisponendo un accenno alla sua “beata”, Domenica, dando così un contributo  per la sua causa di santificazione! Cosa che feci e per quasi trenta anni mando una piccola offerta al suo Ordine, dato che ella non è più in Italia. Paure, angosce, sorrisi, carezze, speranze, non sono mancate. La Santa “francese” sono andato anche a trovarla a Parigi, per dirle “MERCI!”. Anche la saturazione di una venuzza che s’era rotta  nel cranio ebbe momenti tragici e poi  di gioia  immensa! Constatai in quell’occasione  l’incredibile processo tecnologico salvavita umana e la grazia di quella meravigliosa chirurga che  mi accarezzava!  Tutto m’è ritornato alla mente ieri sera, leggendo alcune pagine  del libro di Jaroslav Seifert “Tutte le bellezze del mondo”. E’ questo un libro letto e riletto più volte, al quale ho rubato diversi spunti poetici! Leggendolo nella traduzione in lingua italiana credo di perdere molto della sua freschezza, ma, purtroppo, nonostante  che per decenni la mia vita si sia intrecciata con persone delle odierne Repubbliche Ceca e Slovacca, non sono riuscito ad imparare che cento o duecento parole, affidandomi del tutto alla capacità di quei popoli di apprendere con facilità la lingua nostra! Scrive Seifert all’età di ottanta anni:
“…E’ tutto!
Sento spesso oggi questo sorprendente modo di dire. Al principio non lo capivo troppo. E qui qualcuno mi ha insegnato che significa; è finito, è tutto, è la fine. Ma voglio confidarvi ancora qualcosa. So perché molti giovani medici non cercano moglie chissà dove e non intraprendono per lei lunghi e avventurosi viaggi per mari e monti. Si guardano due o tre volte attorno nel loro luogo di lavoro e ci sono le nozze. Anche a me, del resto, piacevano le colombine inamidate dalle cuffie candide e rigide fermate nei capelli con dei fermagli. A volte le infermiere portano malvolentieri questa cuffia. Per loro è più piacevole quando d’estate stanno a testa scoperta; la caposala poi le richiama. Evidentemente non sanno quanto dona loro. Ma che sciocchezza! Lo sanno fin troppo bene. Quando ero ricoverato in ospedale, a dire il vero ero in una posizione alquanto scomoda, ma nonostante ciò, mi piaceva guardare le alucce bianche che svolazzavano da un letto all’altro, da un dolore all’altro e da un gemito a dei sospiri. Ventiquattro ore su ventiquattro…
In uno dei policlinici mi avevano prescritto la ionoforesi. Aspettavo insieme ad altri malati che mi chiamassero. Quando si sentì il mio nome, un’infermiera mi diede una compressa di calcio da mandare giù. Poi mi guardò con aria abbastanza severa e mi chiese bruscamente:
<Le piacciono le poesiole?>.
<Mi piacciono, - proruppi sorpreso. – Perché me lo chiede?>.
<No, solo per il nome che ha>.
Ebbene, è tutto. Ciò ch volevo e potevo dire, l’ho detto. Ho concluso il mio racconto. E’ la fine.
E’ tutto!

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