sabato 6 gennaio 2018

PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI.
CAP. 64.

Perché il sindacato, oggi?

Voci non disinteressate teorizzano in questi ultimi mesi sulla “crisi di identità” del sindacato, sulla perdita di credibilità dei vertici sindacali tra i lavoratori, sul fallimento della politica di trasformazione sociale e morale che è conosciuta con il nome di “Linea dell’Eur” e così via.
         C’è chi vede il sindacato confederale italiano già morto e sepolto e al suo posto svilupparsi il cosiddetto “sindacato libero”, quello autonomo, non più classista, quello più congeniale al sistema, ai padroni e agli apparati politici. Si scava anche nel passato di lotte, esperienze, strategie del sindacato, si scrivono articoli e libri sul ’69 e sui successivi dieci anni, si mettono in evidenza luci ed ombre. E non potrebbe essere altrimenti visto il ruolo centrale che il sindacato ha assolto, coprendo vuoti delle forze politiche e del Governo, in questo periodo storico così difficile, dentro una crisi scatenata da forze oscure e potenti iniziata quel drammatico 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana a Milano e costellata dai mille micidiali delitti e attentati eversivi, fino all’assassinio di Aldo Moro, al fallimento del Patto di unità e solidarietà nazionale tra i partiti di governo e di opposizione.
         Se c’è stato un argine invalicabile alle manovre reazionarie in Italia, se in queste condizioni tremende la classe operaia, le masse popolari, i giovani, hanno mantenute intatte le possibilità di avanzamento economico e sociale, questo è dovuto principalmente  all’azione, alla presenza del sindacato unitario! Bisogna aver sempre presente questa verità e saper guardare con mente aperta ai travagli che pur ci sono, ai problemi, alle difficoltà, superando il pessimismo che spinge “nel privato” e rafforzando un patto di solidarietà tra gli uomini sfruttati, tra i lavoratori, per trasformare i rapporti tra le classi e costruire la società nuova, a misura dell’uomo.
         Il capitalismo monopolistico ha ormai la possibilità concreta non solo di corrompere una minoranza ristretta, “l’aristocrazia operaia”, come avveniva a cavallo dei secoli XIX e XX, ma anche di favorire l’imborghesimento spirituale di strati molto più vasti di classe operaia. La “società dei consumi” e la deproletarizzazione della classe operaia, nonché le teorie sulla democraticizzazione del capitale e della compartecipazione gestionale alle aziende, sono gli strumenti atti ad ostacolare l’unità tra le masse ed esercitano una influenza negativa sullo sviluppo del movimento operaio.
         Le lotte di questi ultimi mesi per le vertenze aperte con il Governo,  a difesa degli strati più deboli, la larga partecipazione registrata dimostrano che il sindacato non intende chiudersi entro gli stretti limiti degli interessi corporativi, ma intende sviluppare una azione di grande respiro ideale e politico e quindi contrapporsi all’azione della borghesia, rafforzando la coscienza di classe degli operai, la loro unità interna e con le masse popolari.
 Chi aveva scommesso sulla debolezza del sindacato e sul suo fallimento, specialmente nello sciopero del 21 novembre, ha dovuto ricredersi. Il rapporto dei lavoratori con il movimento sindacale è saldo. Da noi, a Larderello, lo sciopero è andato bene: oltre l’80% di partecipanti, anche se restano spazi da colmare, specialmente tra gli impiegati. Altri importanti impegni ci attendono: dai congressi, all’applicazione dei contratti, all’impegno per lo sviluppo economico del Mezzogiorno, all’occupazione giovanile, alla lotta al terrorismo…solo se saremo forti, uniti e combattivi avremo la certezza che non torneremo indietro. Cantava Brecht nel film Kuhle Wampe:

Se tra noi manca l’accordo
i padroni son contenti.
finché  riescono a dividerci
restan loro i più potenti.
Avanti, e non scordate
quello che forza ci dà:
 in fame o in abbondanza

avanti, ricordate la solidarietà.

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