venerdì 7 aprile 2017



La farfalla.

Da quattro lati guarda la mia casa:

a sud il crinale con le seghettate cime degli abeti,
luogo che mi riporta agli anni
della breve e sognante giovinezza;

a nord la torre fumante di bianco vapore
che indica la direzione del vento,
 la sua intensità ed anche l’alta o la bassa pressione,
foriera di un cielo sereno o di pioggia imminente;

ad ovest, il più soleggiato, dov’erano un tempo
i campi di grano e la grande quercia antica,
ci sono quattro palazzi e una via
dove giocano i bambini, stanno le comari
a frascheggiare e cicaleggiano immigrati
kossovari, albanesi e marocchini.
Al di là, verso il monte, un cippo
al piede d’un fico dottato,
ci ricorda quattro partigiani fucilati
dai nazisti, ma più mi opprime una
finestra buia, dove due cari amici
trovarono la morte per non sapersi amare;  

ad est, il lato a me più caro,
quello, per capirci, dove ammirare Cassiopea
e il profondo cielo stellato, il sorger  misterioso
della luna e, talvolta, il dolce color d’oriental
zaffiro che nel mattino sereno d’inverno
brilla sulle innevate vette del Casentino.

Affacciati al balcone ho mostrato
a una giovane amica, la grande farfalla
fuggita dal cielo, con le ali aperte,
verdi di grani, in questa stagione di boschi
ancora spogli, ma saranno poi gialle
e dopo brune, infine bianche di neve e brina;

essa scandisce il tempo mio che il cuore
non affanna, e solo il ricordo infiamma.
Stupita di questo segno arcano
che non gode da una via di città serrata,
ma che non può condividerlo,
 troppo lontana,timidamente m’ha sussurrato:

sei fortunato amico mio e chi t’ama.

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