venerdì 31 marzo 2017












L’anno della grande neve.

In gennaio fiorì il ciliegio stento,
i suoi rami s’affacciavano alla finestra
di quella casetta di legno in affitto
inondando la piccola stanza
di una luce profumata.

All’inizio di febbraio il cielo s’imbiancò,
e fu l’inizio della grande neve,
come nessuno l’avrebbe immaginata,
tra questi monti sfiorati dal tepore del mare,
dicevano i vecchi intorno al focolare.

In quel candore e silenzio irreale
arrivò per me la chiamata tanto attesa,
dopo i brillanti risultati della scuola:
                                   il lavoro.

Vestivo ancora i calzoni alla zuava
quando l’età dell’innocenza si dileguò
                        dalla mia vita;
mi feci uomo presto, tra il male e il bene
                        d’ogni giorno,
nell’alternarsi di passioni e delusioni
che fra quelle migliaia di tute blu
                        si strinsero a me.

Imparai a nascondere la verità
                        dei palpiti del cuore,
a voltar giubba, come si diceva,
                        all’occorrenza,
e lasciate in disparte le romanticherie
e i languori di fatui amori,
gettarmi nel malestrom dei sensi,
                        allor pungenti.

Non ho mai fatto il bilancio di quell’anno,
perché l’amore non si misura col metro,
come la neve, anche se la neve,
come l’amore si scioglie.
Ma so’ che amai, che fui riamato,
detti e ricevetti carezze,
in cambio delle antiche certezze!

Conobbi l’asprezza della “lotta di classe”,
nell’attesa dell’uomo nuovo del comunismo,
                        e l’arroganza mi ferì,
più che degli invisibili padroni,
dei loro servi senza fede e cuore.

Chi mi fece le prime domande ideologiche,
- hai letto Come fu temprato l’acciaio? NO!
e  La strada di Volokomosky? NEMMENO!
Allora, devi leggere il Poema di Lenin
ed anche Makarenko –

fu licenziato e forse lo voleva.

A quell’età leggevo Calvino, Saba,
                        Cassola e Pratolini,
parteggiavo per Coppi e la Juventus,
ma, più che altro seguivo
fruscianti gonnelline
di maliziose ragazzine.

Fu anche l’anno del sorpasso
del sindacato bianco su quello rosso,
dimenticati gli ideali della Resistenza,
mentre riaffioravano tristi figuri
nella nomenclatura nazifascista
nei posti che contavano: vescovi,
onorevoli, preti e politicanti
si aggiravano nei luoghi del potere.

D’altra parte non andò meglio
ai lavoratori di Ungheria
e in quelle grottesche Messe a suffragio
delle vittime, partecipai anch’io, in prima fila,
cercando di farmi fare una fotografia,
il segno che c’ero. Non si sa mai.

Bassezze, ma in segreto lieto
che nel mio Borgo non fosse esposta
la bandiera con il nastro nero,
mentre il prete scampanava
forse a lutto, forse a festa!

Infine venne il disgelo
                        e sotto la gran neve
spuntarono i timidi crochi; 
per me gli amori carnali e veri,
anche se brevi, con  fruttivendole,
servette e contadine, che nulla sapevano
del XX° Congresso e del rapporto Kruchev,
della lotta di classe, di Carlo Marx, Stalin,
Gramsci e Togliatti,  e nemmeno di entalpia,
                        tettonica, decremento,
rapporto gas vapore, ma non ignoravano,
anzi erano desiderose
di apprendere i misteri dell’amore,
più delle smorfiose fanciulle  
tutte casa e chiesa che tra le gambe
avevano alzato ante litteram
                                   il muro di Berlino
e mai ti avrebbero  concesso
né una carezza ardita né un bacino!   


avevano alzato ante litteram
                                   il muro di Berlino
e mai ti avrebbero  concesso

né una carezza ardita né un bacino!   

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