domenica 21 dicembre 2014



PIL 14 dicembre 2014, RADICONDOLI.

Il tema di questo piccolo incontro letterario era “Errare umanum est (o ovest)”. ..ed anche “L’Ego lega”. Eravamo soltanto i sette e alcuni si sono soffermati su “errare”, come camminare, vagare transumare…oppure sui movimenti dei popoli nomadi, esempio i rom…in due, invece, abbiamo preso  l’errare, come l’errore. Da parte mia ho ammesso, ripensando bene alla mia lunga vita, di aver commesso e commettere, anche quotidianamente, molti piccoli errori veniali, diciamo, ma  mai errori capitali o “mortali”. A una settimana di distanza, scrivendo questo post sul blog, credo che avrei dovuto aggiungere una cosa fondamentale, ma lì per lì non mi venne alla mente: i due o tre veri errori che credo di aver commesso, ma dei quali non desideravo e non desidero parlare, mi portarono grandi doni! Perciò anche la valutazione dell’errore dovrebbe essere ben ponderata e osservata da diverse angolazioni, non soltanto da quella del soggetto attivo, né da quelli passivi, oppure, dalla “morale” corrente, ma dagli effetti successivi, se non altro, per un artista, mettendoli in relazione alla sua creatività. Dopo aver letto la poesia La cattiva maestra (ossia, la storia), sollecitato dal bel diario di viaggio in Tessaglia, di Moreno, ho letto la lirica “Bella Ciao a Glifada Beach”, che ha sollevato qualche risolino di compatimento, trascurando di dire che si trattava di un testo abbastanza antico, fine anni ’60 inizio anni ’70, del quale però omisi la nota 60 che lo riguarda, sul testo del mio Canzoniere a pagina  1007.



(Nota 60) Ascolto canzoni d’amore e di nostalgia mentre leggo, prima di addormentarmi, lasciando correre le note negli auricolari, fino al primo risveglio. Di alcune non seguo la trama delle parole incantate, solo una o due o tre, mi rimangono come un chiodo fisso nella mente. Le ritrovo e ci costruisco i miei sogni. Son mescolati alla poesia di Jaroslav Seifert. Ma con chi condividere malinconia e desideri? Man mano che divento vecchio m’accorgo d’esser rimasto solo. Forse non ho saputo costruire niente nella mia vita. Niente di ciò che rende meno pesante l’esistenza, e che riesce a dare un surrogato di felicità e di passione. Il mio cuore non palpita per la sorte degli uomini e della mia stessa Patria. E’ assuefatto al male e alla banalità. Si è arreso all’invincibilità del tempo eterno e veloce: nulla esso conserverà, e poi, a quale scopo? Immagino, in rari sprazzi di tenerezza, di stringere il filo invisibile che mi lega alla mia lontana madre, all’origine del tempo, perché io esisto, ma nulla si muove nelle fibre del dna, si, proprio come la luce di stelle splendenti nel firmamento, che non esistono più, sono morte, miliardi di anni fa! Tutto è morto o morrà intorno a me creatura d’evanescente materia ed anche la bellezza del mondo non mi stupisce, ma soltanto le esili ombre che ancora riescono a risalire dalla lontana memoria, forse per abbeverarsi della fredda luce di primavera, mi parlano. Si, anch’io di notte, sogno di svegliarmi e in silenzio rovisto nei miei ricordi come nel cassetto di un vecchio armadio. Ad un tratto, nel buio mi guarda il viso di una ragazza. E’ una ragazza strana. Viene da altri mondi. Sul labbro superiore, all’angolo, ha una cicatrice, che la rende voluttuosamente sensuale, attira i miei baci. E la pelle, man mano che il sogno la rischiara, si scurisce, si fa nera. Ha gli occhi tristi un po’ assonnati, denti di un bianco selvaggio, la camicetta sbottonata e in essa due piccoli seni, neri come una manciata di mirtilli di bosco. Mi chiedo: ma è lei?  E’ la cerbiatta che saltava tra le dune a Glifada Beach? Meravigliato riesco a chiederle: <Est-ce toi?> E dal profondo sottosuolo sepolto nella polvere del tempo si fa sentire piano, pianissimo, come un petalo d’albicocco che cade sull’erba: <Oui, c’est moi!

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