sabato 11 febbraio 2012


venerdì 10 febbraio 2012

La dignità

(particolare) Conservato presso 
Carmignano (Prato)

Da un po' di tempo mi ritrovo spesso a pensare alla mia nonna paterna. Donna fortissima, ostinatamente paziente. Proveniva da una famiglia piuttosto benestante, ricchi proprietari terrieri, ma ebbe la sventura  di sposare un uomo dedito al gioco d'azzardo. La sua dote e l'eredità cospicua di cui avrebbe potuto godere furono devastate dallo stile di vita di mio nonno. Era un uomo molto bello, due occhi grigi quasi trasparenti, senza colore, gelidi nella vecchia foto del cimitero. La lasciò giovane e sola ad allevare sei maschi e governare una terra difficile. Negli anni che precedettero il secondo conflitto mia nonna saliva ogni giorno a piedi lungo una mulattiera ampia e molto trafficata, tra il via vai di animali, di  uomini e donne, e camminando con passo costante arrivava fino ai gradini della porta della mia bisnonna materna. Si sedeva poco distante da quella soglia, su un poggetto ricoperto d'erba, senza dire una parola ed aspettava. La mia bisnonna materna, donna sensibilissima e molto generosa, usciva poco dopo sulla porta e la salutava con calore, come si fosse trattato di una visita del tutto inattesa e anche per questo molto gradita. Usciva di casa sempre con un cestino in mano o un telo in cui, a suo dire per pura combinazione, c'era sempre qualcosa di cui non avrebbe avuto il tempo di occuparsi: uova che le galline avevano scodellato con troppa generosità, patate troppo piccole da sbucciare in una giornata indaffarata.... Metteva quel piccolo tesoro nella sporta di mia nonna, pregandola di accettare, ringraziandola per la possibilità che le veniva concessa di disfarsi di quel ben di Dio senza incorrere nel grave peccato di sprecarlo per incuria. Mia madre, bambina, assisteva a quella scena ogni giorno e me l'ha raccontata mille volte. Ho cercato spesso di immaginarla. Conosco bene quel poggetto, gli scalini, la casa, mi sono seduta lassù molte volte ad osservare l'erba tremante per il vento che non smette mai di soffiare e che certo  scompigliava i capelli nerissimi di mia nonna, il suo grembiule nero e la gonna scura. Conosco i volti della nonna e della bisnonna e certe volte ho creduto davvero di vederle, di incrociarne lo sguardo complice e solidale che suggellava ogni giorno quell'incontro fintamente casuale. Mia madre mi ha raccontato questa scena senza altro commento che una inevitabile sottolineatura della profonda umiltà di mia nonna paterna e del suo senso di protezione nei confronti dei suoi figli. Ancora me la racconta, dicendomi di pensare a cosa potesse significare svegliarsi senza cibo con cui nutrire i propri bambini, senza altra risorsa che le proprie gambe e il buon cuore di qualcuno. Crescendo però ho aggiunto a mia volta un significato a questa immagine, che emerge ogni tanto liberamente dal mio subconscio, come una consolazione. Me la tengo davanti agli occhi, chiara e leggibile, ogni volta che ho bisogno di ricordare con precisione cosa sia la dignità.

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