venerdì 10 febbraio 2012





Ritratto

                                A Antonio Machado

Ho succhiato il latte materno con la Cenerentola di Rossini,
e appena svezzato ho masticato il fiele della solitudine;
tra i paleri e le ginepraie son cresciuto mirando nel cielo
il volo del falco sulle pasture, ascoltando il belar degli agnelli
e il frinir delle cicale; vicende che non voglio evocare.
Poco più che bambino son fuggito verso nuovi lidi,
misteriosi approdi  con il tepore di nidi, in cerca d’amore.
Son cresciuto troppo presto, nel male e nel bene, un segreto
ho celato nel cuore d’Arlecchino. Brevi studi non m’hanno
dissetato, da solo ho scoperto d’esser poeta e delle parole
innamorato, del pruno e ginestra, biscia e sorgente, mago
e cerbiatto, dimesso cantore. Una fabbrica m’ha inghiottito
mentre ancora vestivo i pantaloni corti, le scarpe chiodate,
il cappotto del nonno morto rivoltato con cura
e là s’è acquietata la mia pena, tra gli uomini azzurri
e le rosse bandiere: con loro ho sfidato l’ansia primigenia
e la paura di restar solo. Ho amato instancabilmente, e riamato
ho goduto d'inimmaginata fortuna, sempre la bellezza
ho avuto a lato  e la dolcezza dei baci riassaporo,
ora che vecchio, delle voci ne ascolto solo una , quella
profonda che m’appartiene. E’ la voce del canto che
non m’ha tradito; disgiunta da me stesso  e dai miei
errori vorrei affidarla pura ai miei bambini. Loro ancora
mi vedono bello come un dio, e sapiente, ardimentoso,
spada excalibur  e scudo, buffone e invincibile
cavalcare il tempo, immortale e antidoto d’ogni male.
Verrà presto il dì dell’ultimo viaggio – nemmeno io conosco
il come e il quando -, ma non tarderà, e me ne andrò 
come tutti, senza valige e fagotti, lasciando
un’invisibile scia di sogni.

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