PUBBLICAZIONI DI CARLO
GROPPI
(X)
2001, aprile, esce in prima edizione di 1000 copie, il saggio “La
piccola banda di Ariano. Storie di guerra e di Resistenza”,sempre sotto
il patrocinio de IL CHIASSINO, br. ril. pp. 272, 32 tav. b.n., con un
consistente apparato di note, indice delle fonti, indici dei nomi di persona. Il volume
incontra un notevole interesse e la tiratura si esaurisce rapidamente. A
seguito di tanto “successo” l’autore mette mano ad una seconda edizione che
uscirà due anni più tardi (2003, maggio), ampliata, in 800 copie,
anch’esse esaurite. Si tratta, nella seconda edizione, di un’opera
completamente rinnovata ed ampliata, che costituisce uno dei miei più riusciti
tentativi nella ricostruzione storica: “La
piccola banda di Ariano. Storie di guerra e di Resistenza nelle Colline
Metallifere Toscane (1940-1945)”, br. ril. pp. 432, con 48 tav. n.t. in b.n.. Le note si trovano alla
fine di ogni capitolo e sono assai
dense; gli indici finali riguardano le fonti
edite ed inedite; la bibliografia e l’indice dei nomi di persona che compaiono
nel testo. Seguono i ringraziamenti e le
note conclusive. Nonostante l’accuratezza della ricerca, protrattasi per quasi 40 anni, l’uscita di quest’opera
invitò molte persone ad offrire notizie e materiali inediti, nonché alcune
piccole correzioni. Tuttavia non ho più affrontato l’impresa di una terza
edizione, ma ho diluito il tema in altri più brevi saggi, su aspetti rilevanti:
il Campo di internamento per gli ebrei a Roccatederighi; Norma Parenti; i sardi
nella Resistenza nelle Colline Metallifere Toscane; Stella d’argento. Ho
altresì collaborato a studi sul tema con ricercatori e scrittori importanti.
Per la sua pregnante analisi
riproduco la prefazione dell’amico Francesco Gherardini, uomo di vasta cultura
e scienza, uno dei maggiori protagonisti della storia culturale, sociale e
politica dell’Alta Val di Cecina, in Toscana nell’ultimo mezzo secolo:
«...non
fa scienza,/sanza lo ritenere, avere inteso» (Dante, Divina Commedia,
Paradiso, canto V., vv. 41-42). In questi versi magistrali si condensa
l'importanza che riveste la memoria per la vita dell'uomo. Recenti studi
psicologici hanno fissato il declino delle funzioni cognitive negli individui
oltre i quarant'anni a causa dell'invecchiamento delle cellule nervose; con
tecniche particolari la medicina riesce in qualche modo a ripristinare la
trasmissione della conduzione nervosa e ad aumentare l'acuità e la lucidità
mentale; ma col passare degli anni i disturbi della memoria aumentano
inesorabilmente. La mente umana dovrebbe tenersi sempre in allenamento,
dovrebbe fare continuamente esercizio per mantenere la concentrazione e
ripristinare questa facoltà. L'assunto qui sopra, se vale per i singoli
soggetti umani, a maggior ragione vale per la società civile. Dopo
cinquant'anni da un evento, tutto comincia ad annebbiarsi, a diluirsi, a
perdere di peso e importanza, a svanire confondendo le tinte e le emozioni in
una melassa spesso indistinta e stucchevole. Occorre fare continuamente
operazioni di recupero e di salvataggio, chiarire e distinguere, precisare
perché se a livello individuale la memoria cede a causa dell'invecchiamento
cerebrale, quella della società è volutamente minata da chi ha interesse a
farlo, molto spesso per motivi ideologici.
Dice
bene Yosef Yerushami Zakhov, Storia
ebraica e memoria ebraica, Torino, 1981: «...il problema è montare la guardia contro gli agenti dell'oblio, contro
coloro che fanno a brandelli i documenti, contro gli assassini della memoria».
Occorre fare esercizio, mantenere viva la memoria collettiva: in questa impresa
ci aiuta la storiografia anche se in eterno conflitto con se stessa. La
storiografia (con tanti storici diversamente orientati, ma inflessibilmente
determinati a rispettare la massima fondamentale: Non dire il falso, non tacere niente del vero), può essere uno
strumento efficace per salvare il passato affinché davvero la historia sia magistra vitae.
La
ricerca della verità richiede onestà ed anche equilibrio, soprattutto se si sta
decisamente da una parte politica; essa si svolge a molti e diversi livelli, a
differente profondità, ma ogni ricercatore lotta contro gli agenti dell'oblio,
contribuisce a preservare il ricordo, a sviluppare e a interiorizzare la
lezione che ci viene dalla vita. Fatti distinti dalle opinioni d'accordo: ma lo
storico non può esimersi dal misurarsi con essi, dal dare la sua valutazione
senza infingimenti ed ipocrisie, con la necessaria nettezza. Dinanzi ai sei
milioni di morti ebrei della Shoah "siamo
prigionieri dell'indicibile e dell'impensabile", ha scritto il
filosofo Adriano Prosperi, Corriere della Sera, 28 gennaio 2001, pag. 13,:
dell'impensabile nel senso che il pensiero è incapace di immaginare un numero
così spaventoso di morti, la ferocia del singolo aguzzino e lo strazio delle
povere vittime moltiplicato a livelli esponenziali. Impensabile per il fatto
che la Ragione
non ce la fa proprio a seguire una scia di sangue così spaventosa: ma il
Giudizio resta e deve essere espresso, deve suonare di condanna, deve essere
costantemente rinnovato e riammesso alla memoria.
Carlo
Groppi guidato da una grande passione documentaria, curioso di biografie, in
questo tempo in cui la nostra stessa Regione ha avvertito il bisogno di varare
una legge [L. RT 59/1999], intesa a salvare la memoria storica, ha portato alla
luce (o riportato, ma solo per qualcuno) fatti quasi del tutto sconosciuti,
domande senza risposta e personalità affascinanti, ha reso omaggio al loro
coraggio e al loro antifascismo; in qualche modo ha fatto sì che da ora in poi
fossero pienamente ricordate e onorate. Ha inserito le storie e i personaggi, La piccola banda di Ariano (Spinola,
Stucchi Prinetti, Piredda, Vargiu) e la Guardia armata di Gerfalco (Baldi, Barlettai,
Dino e Ido Salusti), in un territorio che non è un'entità astratta, ma
piuttosto il luogo vivo che ci ha determinato e ci condiziona ancora. Carlo
rievoca momenti di una società così diversa e tanto distante da non tornare
più, con le campagne abitate capillarmente dai contadini, con i partigiani
espressione di quella terra e di quella società agricolo-patriarcale, con un
fortissimo senso della giustizia e dell'onore, con l'idea radicata del bene
comune e la voglia di lottare per un futuro migliore per i figli. Esprime
malinconia per la perdita di un patrimonio incommensurabile di vita e di
cultura insieme con un sentimento per così dire di invidia verso chi ha avuto
la fortuna di vivere storie non banali. E rapporti sociali come quelli fra
padroni (Spinola, Stucchi Prinetti) e contadini (Piredda, Vargiu) sublimati
dalla comune esperienza della lotta partigiana, in un certo senso simbolo di
"vie nuove". Affascinante tra le altre la figura del marchese
Gianluca Spinola, "moralmente
impegnato a non restare passivo e, come estremo sacrificio, a dare la sua
giovane vita per salvare l'onore della Patria". Un nobile
conservatore, certo non un pacifista, spinto a diventare partigiano per
esigenza morale di fronte alla violazione di basilari principi etici cristiani;
una figura problematica che ci spinge a chiederci quanto sia possibile
distinguere tra adesione al fascismo e avversione al nazismo e a domandarci
fino a qual punto si possono servire sistemi così immorali. Di lui la gente ha
parlato con rispetto; la sua presenza tra le file della Resistenza certamente
serviva a dimostrare che non tutti i partigiani erano comunisti e forse anche
ad esaltare le capacità militari degli Italiani, in grado di compiere azioni
importanti e di tenere in scacco soverchianti forze nazifasciste. La sua
cattura e la morte conseguente furono forse un modo per testimoniare
l'esistenza di un altro mondo conservatore, distinto da fascismo e dittatura,
impregnato di valori non effimeri, ricco di tolleranza e di rispetto.
Un
approfondimento sarebbe opportuno per il personaggio Giorgio Stoppa, detto
"Paolo"; il comandante partigiano, una figura mitizzata un tempo ed
ora ricondotta sotto una lente di osservazione più accurata e critica. Paolo,
il capo e le morti discusse: che fine fece il carabiniere colpevole dell'errore
di Montalcinello? E perché tacere gli episodi terribili e controversi
dell'uccisione di Pietro Palmerini e Lorenzo Badii? Alle orecchie di chi vuol
sentire Carlo Groppi fa riaffiorare sommessamente queste storie senza dolcezza,
tragiche e sotto molti aspetti epiche, anche se il refrain è secco e non ci
sono albagie di protagonismo: «si fece
quello che si doveva fare». Fare storia vuol dire ricostruire e ripensare
sempre in un processo che non si conclude presto: Carlo ricostruisce fedelmente
gli episodi, aggiungendovi di suo l'afflato umano, la "simpatia" per
le persone e per i luoghi; che è quella di un cittadino di Castelnuovo, il
paese dove fino a pochi anni fa tutti ci si conosceva anche troppo bene, dove
si poteva anche essere faziosi, schierati decisamente da una parte, ma dove
ripugnava la violenza politica, esercitata per fortuna in rarissime occasioni
al passaggio della guerra; un paese dove invece si ricordava assai più
volentieri la cura e l'amore impiegati per ricomporre le salme dei minatori
trucidati da pochi tedeschi e molti militi fascisti e di cui volutamente quasi
tutti hanno taciuto l'esistenza per cinquant'anni. Le pagine di Carlo sono curate,
le interviste rigorose, quasi delicate reliquie di un mondo che ci ha lasciato;
le ricostruzioni sono fedeli, con l'intenzione di vedere i fatti da una certa
distanza, di ricercare il massimo di obiettività. Si avverte la tensione per il
rinnovamento politico e morale, fuori dall'ingessatura di ideologie
paralizzanti, insieme con la voglia di capire, di dare a ciascuno il suo:
un'operazione non facile, più agevole da farsi col senno di poi, fuori dal
contesto di una guerra civile, come in gran parte fu davvero, che non lasciava spazio ai comportamenti
cavallereschi. In lui c'è grande attenzione agli affetti e alle storie
familiari, ad un mondo che supera la divisione in classi, come entro la piccola
banda di Ariano.
Con quest'opera si recupera
uno spezzone di storia locale importante, Carlo Groppi ci rende più consapevoli
e più avvertiti, ci offre un'aria più limpida in cui respirare e da cui
ripartire.
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