Oggetti smarriti.
PIL Belforte 6 aprile
2014.
“Una volta ho scritto
di un principe che ha abbandonato tutti i suoi averi per trovare se stesso,
ritirandosi in un capanno a vivere solo con i suoi sogni. Il principe alla fine
arrivò alla dolorosa consapevolezza che senza gli oggetti, il mondo e la
propria vita sono entrambi privi di significato. A quanto pare non è possibile
scoprire il segreto degli oggetti senza avere avuto il cuore spezzato. Dobbiamo
umilmente sottometterci a questa definitiva, segreta verità”.
Ho dedicato quasi
tutta la mia vita a raccogliere “oggetti” e “memoria” e lo possono dimostrare
alcuni lavori:
Diario, “Sono nato nel vicolo del Serrappuccio”, 1938 – 1964
(depositato nel CDN Pieve Santo Stefano, AR).
La casa di legno ed altre storie dell’età fiorita, inedito.
Viandante nella memoria, poesie, 2011.
Grazie alla vita, poesie, 2014.
Mi sono infine incontrato
con le opere dello scrittore turco, premio Nobel per la letteratura, Orhan
Pamuk ed in particolare con il suo romanzo “L’età dell’innocenza” e con
“L’innocenza degli oggetti. Il Museo dell’innocenza, Istanbul”. In quest’ultima
opera Pamuk teorizza l’innocenza e la bellezza degli “oggetti” in undici punti,
dei quali due mi hanno particolarmente colpito, per verità e fattibilità:
il 9°) Se gli oggetti non sono privati del loro ambiente e delle
loro strade, ma vengono sistemati con cura e ingegno nelle loro case naturali,
racconteranno da sé le proprie storie.
l’11°) Il futuro dei musei è dentro le nostre case.
Le “case della
memoria” realizzate in Europa negli ultimi venti anni, insieme ai piccoli musei
della civiltà contadina o industriale, a quelli della moda e del costume, della
caccia e dello sport, della fotografia e film d’amatore, dei santini, dei
giocattoli, delle bambole…, rispondono bene a questi due comandamenti.
Altra cosa è invece la
stratificazione sociale di provenienza degli oggetti. I più dei quali non
riconducibili ad uno o pochi proprietari, ma raccolti su un territorio ampio,
da anonimi. Mentre si passa da un museo territoriale, nel quale gli oggetti
sono appartenuti generalmente al popolo minuto – sostanzialmente povero – delle
città, dei borghi, paesi e campagne, ad un museo “personale”, si ascende
alla classe “dominante”, peraltro ristretta e non rappresentativa, se non per
un segmento, della rappresentazione della vita. E’ in questa classe sociale che
possiamo oggi trovare piccoli musei, generalmente legati alla vita creativa e
quotidiana di artisti famosi, imprenditori, capi di stato e capitalisti.
Molti degli oggetti e
delle memorie sono raggruppati per tema: ad esempio quello diaristico, sonoro,
fotografico, della Resistenza, Liberazione, Foibe, della Shoah ecc. ecc.; altri
sono nelle case dove hanno vissuto personalità illustri: Pirandello, Proust,
Hugo, Leonardo da Vinci, Antonidias, Anna Frank, Edith Piaf, Balzac, Bourdelle,
S. Caterina, Zadkine, Palazzo Viti, ecc. ecc. e raccontano storie personali e
familiari.
Essendo la mia
famiglia di origine abbastanza povera, e senza proprietà, in più precocemente
divisa e dispersa, nulla dei fragili oggetti d’uso comune è stato conservato,
ma gettato nell’immondizia ad ogni trasloco da ciascuna delle sette case in
affitto e sostituito da prodotti “moderni” ed anonimi, di basso costo.
L’unica possibilità di mantenere una “memoria” è stata affidata pertanto alla
economica “scrittura”, fogli di carta usuale, lapis copiativo, una penna con
pennino a torre o lancia, una bottiglietta d’inchiostro blù. Successivamente
alla invenzione del signor Bìro, un ungherese, le penne a sfera BIC hanno quasi
del tutto soppiantato le penne ad inchiostro, comprese le stilografiche, fino
all’attuale prevalenza della scrittura elettronica.
Tre anni fa, mentre stavo leggendo il romanzo di Pamuk “L’età dell’innocenza”, mi resi conto
che anch’io, senza conoscere l’autore, e a distanza di migliaia di chilometri
dalla sua casa, stavo lavorando, inconsapevolmente, da più di sessanta anni, ad
un progetto simile che avevo chiamato “La casa di legno ed altre storie dell’età
fiorita”, ancora inedito. Vi avevo virtualmente e materialmente
collocato senza alcuna classificazione ed ordine, gli oggetti contenuti in
cassetti, bauli, armadi, cantine, e stanze della mia casa, le poesie (a partire
dalla prima che scrissi all’età di quattordici anni), le foto bianco e nero (a
partire dai quindici) e, dopo, il diario dei primi venticinque anni, i
racconti, gli oggetti della quotidianità e le immagini delle ragazze amate.
Successivamente, e con la stessa innocenza, stupore e amore per la vita, son venuti
gli oggetti e i ricordi del lavoro, dell’impegno politico e sindacale,
dei gatti e dei cani, degli amici, dei figli e nipoti; nonché le perdite delle
persone care ed anche una vena di malinconia cantando “ciò che si perde”.
Ora ho il libro-catalogo di Orhan Pamuk “L’innocenza
degli oggetti. Il museo dell’innocenza, Istanbul” e lo sto leggendo con
emozione. Me l’ha portato mia figlia, direttamente dal Museo. Non trovo altre
parole per suscitare curiosità se non quelle dell’ultima di copertina:“…Orhan Pamuk ha fatto ciò che sembrava
esclusiva dei maghi delle fiabe o del Genio delle Mille e una notte. Ha preso
ciò che esisteva tra le pagine del suo ultimo romanzo, Il Museo dell’innocenza,
e l’ha trasformato in qualcosa di materiale, di fisico, uno spazio da esplorare
con tutti i nostri sensi: ha costruito il Museo dell’innocenza. Un luogo unico
al mondo, un tesoro nel cuore incantato di Istanbul: la celebrazione
dell’amore, della memoria, del potere dell’immaginazione di plasmare la realtà.
I piccoli reperti che prendono la polvere nella mia casa,
ed anche quelli riposti non so’ bene dove, e che ogni tanto riscopro, nonché quelli che di tanto in tanto acquisto
ai mercatini delle pulci e dai miei amici collezionisti della Valdera, sono in
gran parte il combustibile per la tarda immaginaria poesia. Il
futuro dei musei è dentro le nostre case e nelle nostre anime!
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