Guido Nobili e il suo racconto "Memorie lontane", delicato sondaggio d'anima, nei giorni della "pacifica rivoluzione toscana" - Aprile 1859.
Dell'amore tra i due bambini, Guido e Filli, ne parlerò mercoledì 18 febbraio, ore 15, al Centro Sociale della Confraternita di Misericordia di Pomarance in un bel gruppo di simpatici e curiosi coetanei.
1859 -
24 aprile. Si dimette il Governo granducale. Il presidente, Giovanni
Baldasseroni, comunica la decisione al Granduca Leopoldo II che l’accoglie con
“serenità inconsueta”. Nella notte viene affisso in Firenze il manifesto del
“Comitato rivoluzionario”:
Toscani!
L’ora è suonata: la guerra dell’indipendenza d’Italia già si combatte. Voi
siete italiani; non potete mancare a queste battaglie: italiani siete anche
voi, prodi soldati dell’esercito toscano, e vi aspetta l’esercito italiano sui
campi di Lombardia. Gli ostacoli che impediscono l’adempimento dei vostri
doveri verso la Patria devono togliersi; siate con noi, e questi ostacoli
spariranno come la nebbia. Fratellanza della Milizia col popolo. Viva l’Italia!
Guerra all’Austria! Viva Vittorio Emanuele generale in capo dell’armata italiana!”
Nelle
strade delle città toscane si canta all’indirizzo di Leopoldo II:
Dimmi,
giovanottin: qual’è lo stato
nel
quale tu sei nato?
“Io
nacqui nel paese che è il più bello
sopra
tutti, e agli altri egli è modello
nell’arti,
nelle scienze, nei pensieri,
e più
di tutto d’uomini guerrieri.
Si
noma Italia! e bench’io sia toscano,
son
nato in grembo a lei, sono italiano!
Un
mostro, che, rompendo gli statuti,
all’infame
straniero ci ha venduti;
e con
finta bontà, le nostre pene
allevia
con le carceri e catene;
si
crede amato...e benché sia toscano,
è
tedesco nel cor, non è italiano!”
1859 -
27 aprile. Leopoldo II di Lorena, detto popolarmente “Canapone” per la
capigliatura folta e stopposa, che aveva governato il Granducato per 35 anni,
protetto da alcuni ufficiali, dai segretari delle Legazioni di Francia e di
Sardegna e dal Nunzio pontificio esce dalla Porta San Gallo e da Via Bolognese
alle ore 15 si dirige verso Bologna. Molta gente è lungo il percorso, ma
nessuno profferisce minacce o insulti. Il ministro francese in Firenze così
commenta la “rivoluzione” fiorentina: “Perbacco! E neanche un vetro rotto!” Il
popolo canta una canzone che dice:
...l’albero
pende
le
foglie cascan giù;
codini
andate a letto
i’
babbo un’ torna più!
I
Lorena, uomini del passato, non possono che schierarsi con le forze del
passato, come era già accaduto con la repressione dei moti del ‘48 e la
chiamata dei soldati austriaci che occuparono praticamente la Toscana dal 1849 al 24
maggio 1856. Quindi immobilità nella politica interna e nella politica estera;
decisa volontà di sfuggire a qualsiasi cambiamento, conservazione ad ogni costo
della posizione esistente. Orientamento deciso verso l’Impero Austriaco e
fedeltà assoluta alla dipendenza austriaca ne aveva contraddistinto il loro
potere. Un corteo di popolo si muove da Piazza Maria Antonia (poi Piazza
dell’Indipendenza), preceduto da una carrozza con una bandiera tricolore e
raggiunge Piazza della Signoria dove “la folla festante issò il tricolore sulla
facciata di Palazzo Vecchio”. L’immagine sottolinea l’atmosfera distesa di
quella che fu definita “la più pacifica e civile delle rivoluzioni”. Si forma
immediatamente un “governo provvisorio” presieduto da Ubaldino Peruzzi,
Vincenzo Malenchini e Alessandro Danzini che nei giorni successivi prenderà il
titolo di “Governo della Toscana” a cui succederà, con la carica di Ministro
dell’Interno, Bettino Ricasoli che dal 4 settembre avvierà il riordinamento
amministrativo di tutta la regione: il Gonfaloniere, ossia il sindaco dei
comuni, sarà scelto dal Governo tra i consiglieri comunali. Amicié Lefort
d’Autry, consorte di Enrico de Larderel, così commenta l’avvenimento:
“...certamente rimpiangiamo questa famiglia (i Lorena) che possedeva tutte le
virtù, ma è increscioso che il granduca non abbia voluto cedere le redini al
principe ereditario Ferdinando quando tutta la nazione glielo chiedeva ed in
tal maniera gli animi si sarebbero placati (...) fortunatamente in questa
anarchia il popolo è stato ammirevole per la saggezza; la tranquillità non è
stata turbata un istante né a Livorno né a Firenze. Preghiamo il cielo non ci
abbandoni in circostanze così critiche”. Lo scrittore Guido Nobili (1850-1916)
che fu testimone oculare dell’avvenimento ce ne da una brillante descrizione
nel suo capolavoro “Memorie lontane”: La Piazza “era un mare di popolo, che ogni tanto
urlava a squarciagola con urli che arrivavano in cielo...lo zio Nicolò prese la
bandiera, la portò al terrazzo e la sventolò. Urli e grida giù dalla piazza
accolsero il vessillo tricolore che si spiegava al sole in una bella giornata
di primavera. Era il vessillo dell’Unità d’Italia, che il 27 aprile in tutta
Firenze, e dalla casa mia, per il primo compariva alle acclamazioni del
popolo”. Con la caduta del granduca si manifestano opposte tendenze anche in
seno alla famiglia de Larderel: da una parte Federico, per salvaguardare gli
interessi dell’industria e i suoi capitali, dichiara di considerarsi
“italiano”, mentre Enrico ed Amicié rafforzano i legami aristocratici con la nobiltà
fiorentina fedele ai Lorena disinteressandosi delle attività delle fabbriche
dell’acido borico.
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