lunedì 16 febbraio 2015



Guido Nobili e il suo racconto "Memorie lontane", delicato sondaggio d'anima, nei giorni della "pacifica rivoluzione toscana" - Aprile 1859.

Dell'amore tra i due bambini, Guido e Filli, ne parlerò mercoledì 18 febbraio, ore 15, al Centro Sociale della Confraternita di Misericordia di Pomarance in un bel gruppo di simpatici e curiosi coetanei.

1859 - 24 aprile. Si dimette il Governo granducale. Il presidente, Giovanni Baldasseroni, comunica la decisione al Granduca Leopoldo II che l’accoglie con “serenità inconsueta”. Nella notte viene affisso in Firenze il manifesto del “Comitato rivoluzionario”:

Toscani! L’ora è suonata: la guerra dell’indipendenza d’Italia già si combatte. Voi siete italiani; non potete mancare a queste battaglie: italiani siete anche voi, prodi soldati dell’esercito toscano, e vi aspetta l’esercito italiano sui campi di Lombardia. Gli ostacoli che impediscono l’adempimento dei vostri doveri verso la Patria devono togliersi; siate con noi, e questi ostacoli spariranno come la nebbia. Fratellanza della Milizia col popolo. Viva l’Italia! Guerra all’Austria! Viva Vittorio Emanuele generale in capo dell’armata italiana!”

Nelle strade delle città toscane si canta all’indirizzo di Leopoldo II:

Dimmi, giovanottin: qual’è lo stato
nel quale tu sei nato?
“Io nacqui nel paese che è il più bello
sopra tutti, e agli altri egli è modello
nell’arti, nelle scienze, nei pensieri,
e più di tutto d’uomini guerrieri.
Si noma Italia! e bench’io sia toscano,
son nato in grembo a lei, sono italiano!
Un mostro, che, rompendo gli statuti,
all’infame straniero ci ha venduti;
e con finta bontà, le nostre pene
allevia con le carceri e catene;
si crede amato...e benché sia toscano,
è tedesco nel cor, non è italiano!”

1859 - 27 aprile. Leopoldo II di Lorena, detto popolarmente “Canapone” per la capigliatura folta e stopposa, che aveva governato il Granducato per 35 anni, protetto da alcuni ufficiali, dai segretari delle Legazioni di Francia e di Sardegna e dal Nunzio pontificio esce dalla Porta San Gallo e da Via Bolognese alle ore 15 si dirige verso Bologna. Molta gente è lungo il percorso, ma nessuno profferisce minacce o insulti. Il ministro francese in Firenze così commenta la “rivoluzione” fiorentina: “Perbacco! E neanche un vetro rotto!” Il popolo canta una canzone che dice:

...l’albero pende
le foglie cascan giù;
codini andate a letto
i’ babbo un’ torna più!


I Lorena, uomini del passato, non possono che schierarsi con le forze del passato, come era già accaduto con la repressione dei moti del ‘48 e la chiamata dei soldati austriaci che occuparono praticamente la Toscana dal 1849 al 24 maggio 1856. Quindi immobilità nella politica interna e nella politica estera; decisa volontà di sfuggire a qualsiasi cambiamento, conservazione ad ogni costo della posizione esistente. Orientamento deciso verso l’Impero Austriaco e fedeltà assoluta alla dipendenza austriaca ne aveva contraddistinto il loro potere. Un corteo di popolo si muove da Piazza Maria Antonia (poi Piazza dell’Indipendenza), preceduto da una carrozza con una bandiera tricolore e raggiunge Piazza della Signoria dove “la folla festante issò il tricolore sulla facciata di Palazzo Vecchio”. L’immagine sottolinea l’atmosfera distesa di quella che fu definita “la più pacifica e civile delle rivoluzioni”. Si forma immediatamente un “governo provvisorio” presieduto da Ubaldino Peruzzi, Vincenzo Malenchini e Alessandro Danzini che nei giorni successivi prenderà il titolo di “Governo della Toscana” a cui succederà, con la carica di Ministro dell’Interno, Bettino Ricasoli che dal 4 settembre avvierà il riordinamento amministrativo di tutta la regione: il Gonfaloniere, ossia il sindaco dei comuni, sarà scelto dal Governo tra i consiglieri comunali. Amicié Lefort d’Autry, consorte di Enrico de Larderel, così commenta l’avvenimento: “...certamente rimpiangiamo questa famiglia (i Lorena) che possedeva tutte le virtù, ma è increscioso che il granduca non abbia voluto cedere le redini al principe ereditario Ferdinando quando tutta la nazione glielo chiedeva ed in tal maniera gli animi si sarebbero placati (...) fortunatamente in questa anarchia il popolo è stato ammirevole per la saggezza; la tranquillità non è stata turbata un istante né a Livorno né a Firenze. Preghiamo il cielo non ci abbandoni in circostanze così critiche”. Lo scrittore Guido Nobili (1850-1916) che fu testimone oculare dell’avvenimento ce ne da una brillante descrizione nel suo capolavoro “Memorie lontane”: La Piazza “era un mare di popolo, che ogni tanto urlava a squarciagola con urli che arrivavano in cielo...lo zio Nicolò prese la bandiera, la portò al terrazzo e la sventolò. Urli e grida giù dalla piazza accolsero il vessillo tricolore che si spiegava al sole in una bella giornata di primavera. Era il vessillo dell’Unità d’Italia, che il 27 aprile in tutta Firenze, e dalla casa mia, per il primo compariva alle acclamazioni del popolo”. Con la caduta del granduca si manifestano opposte tendenze anche in seno alla famiglia de Larderel: da una parte Federico, per salvaguardare gli interessi dell’industria e i suoi capitali, dichiara di considerarsi “italiano”, mentre Enrico ed Amicié rafforzano i legami aristocratici con la nobiltà fiorentina fedele ai Lorena disinteressandosi delle attività delle fabbriche dell’acido borico. 

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