Follonica,
quasi primavera in mare.
Un salto a Follonica. Aria tiepida, mare calmo con onde leggere. Piccola
passeggiata in un tempo lontano.
Luminoso e amaro, come le occasioni mancate rivisitate senza possibilità di
verifica. Il cemento ha cancellato le tracce, come le incessanti mareggiate
cancellano le orme dei gabbiani. Praticamente quasi tutto è cambiato e la Miami Beach della Maremma m’è
apparsa desolata, ingrigita e sporca. Siamo fuor di stagione penso, la città
deve ancora truccarsi, farsi bella per
l’estate! Certo, in questi ultimi cinquantasette anni, sono cambiato anch’io,
gli occhi dell’innocenza si son trasformati in sguardi cinici e il cuore s’è
fatto arido. Non tutto per mia colpa, penso, ma per il declino del tempo
presente, nel quale fioriscono soltanto stente speranze. In più, ormai, un
vecchio può solo prevedere, ma non vedere. Difficile palpitare per ciò che non
esiste. Ecco Senzuno, levante e ponente, e il busto di bronzo di Ettore Socci
che ha perduto, anch’esso, due lettere, adeguandosi ai nuovi cognomi degli
immigrati, un po’ di gabbiani, e
l’antica gelateria, specie di rustica baracca, omologata alla moda consumistica
(tuttavia un pregio l’ha mantenuto, poter conversare con il sottofondo musicale
del mare, che c’è ancora in questa quasi primavera).
Bella
Follonica
Bella Follonica in
questo giorno chiaro
di grecale, che
scende dai monti
di neve e s’adagia
sul mare.
Lieve cammino sulla
sabbia d’oro
in un riflesso di
sole e di gabbiani,
attento a non
calpestare le orme
effimere che
lasciano,
dove muore il mare.
Sempre gli stessi
gesti
in questa città
arcana,
gli stessi sguardi
ai crinali oscuri
delle colline, oltre
la marina,
tra Punt’Ala e Cala
Violina,
tra le spine dei
cactus e la scogliera
dove sbocciò l’
amore.
L’amore è come
l’orma e come il grido,
l’una preda dei
flutti della dimenticanza,
l’altro del vento
che non lascia ricordanza.
Ma il bacio non lo
potrò scordare:
invano chiedo alle
pietre di parlare,
invano al passato
ritornare,
pietre e passato
muti piangono
senza lacrime.
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