PUBBLICAZIONI DI CARLO GROPPI
(XVII)
2009, febbraio. Mi decido a dare
alle stampa un fascicolo di “proverbi licenziosi”, tra le migliaia di proverbi
raccolti in decenni di ricerche, sia su
testi editi, sia dalla viva voce del popolo: “Di passere e d’altri
uccelli…Proverbi licenziosi ed altri motti spiritosi della cultura orale nelle
Colline Metallifere Toscane e in
Maremma, tra i fiumi Cecina e Fiora, in Toscana, con l’aggiunta di alcune
espressioni proverbiali italiane e straniere”. Il fascicolo, spillato,
di 32 pagine è stato stampato dalla Grafitalia di Sandro Gherardini in 300
copie numerate per gli amici dell’autore, rapidamente esaurite. In questi
seguenti sei anni ho intensificato la
ricerca, raggiungendo, ad oggi, oltre settemila voci proverbiali ed aforismi,
ma il lavoro è praticamente infinito! Lo lascerò manoscritto! Vorrei chiamarlo
“Meglio è di risa che di
pianti scrivere,ché rider soprattutto è cosa umana”. Si tratta di proverbi licenziosi ed altri motti spiritosi della cultura orale nelle Colline
Metallifere, in Maremma e in Toscana, con l’aggiunta di aforismi ed espressioni
proverbiali moraleggianti, latine, italiane e straniere. Di questa grande
ricerca riporto la Premessa:
Che
cosa è un proverbio? Pro-verbo, ossia verbo, parola…posso rispondere così: è un
detto breve e arguto, di origine e diffusione popolare, che esprime per lo più
in modo
figurato
e allusivo, verità, concetti, regole, consigli o convinzioni comunemente
accettate, dal remoto passato ai tempi moderni, tanto che tutti i popoli ne
sono ricchi, trasfondendovi in larga parte i fondamenti delle loro usanze e
legami sociali, timori, speranze e sentimenti. Tuttavia i proverbi non sono dei
dogmi ed ognuno ha piena libertà di contestarli, di modificarli, di crearne dei
nuovi giocando sul gioco delle parole, la rima, le assonanze, il ritmo, cioè
dando più valore, molte volte, al significante che non al significato
Lo
studio dei proverbi si chiama paremiologia che vorrebbe significare,
pressappoco, “che sta sul sentiero, fuori della strada normale”.
Hanno proverbi gli esquimesi e
gli abitanti delle isole Figi, i tagiki ed i bantù, e nuovi proverbi, o modi
proverbiali nascono nelle grandi aree metropolitane del mondo intero. Per
fortuna la nostra regione, la
Toscana, è una delle aree del mondo più ricca di proverbi che
abbracciano ogni contesto della vita dell’uomo fino a far accogliere i suoi
proverbi, condivisi e parlati, in tutto
il Paese. In essi sono sintetizzate le leggi morali, civili, religiose e
politiche che si estendono a tutti i casi della vita, della quale, nutriti
dall’esperienza, esaltano i beni e
censurano i difetti e i vizi, con quella saggezza che s’è tramandata di
generazione in generazione, fino ad invadere con abbondanza la globalizzazione
informatica, dopo essere stata la regione che, nell’Ottocento, con la sua
lingua aveva dato unità di linguaggio all’Italia intera. In Toscana il
proverbio era sulla bocca di tutti e una delle sue caratteristiche è un
realismo crudo, legato al quotidiano, che non risparmia neanche la sfera del
sacro e del sublime, né, tantomento della sfera sessuale e dell’eros.
Il proverbio era strettamente
legato, nella massima parte, alla civiltà agricola; sparita la mezzadria e
rivoluzionata dalle macchine l’agricoltura, le sue metafore sono in larga parte
diventate incomprensibili. I giovani, che non sanno più cosa sia la
fermentazione del vino o la differenze tra un gallo, una gallina e un cappone,
non li capiscono, anche se, però, è proprio una cosa che sta morendo a
incuriosire di più. In particolare la brevità e musicalità dei proverbi, la
loro ricchezza espressiva, ben si rapportano con il modo di comunicare
attraverso l’etere e il web.
Chi volesse sbizzarrirsi nel far
raccolta di proverbi a tema e regionali, oggi troverebbe sul web, credo, decine
di migliaia di proverbi di tutto il mondo, magari non esattamente ritmati e
talvolta approssimati, tuttavia io n’ho fatto un uso limitatissimo, qualche
volta più per le comparazioni che per aggiungere novità.
Se sarà facile spiegare il
contenuto della mia ricerca sui proverbi, arduo è descrivere l’immensa scienza
della letteratura delle sentenze, poiché essa è il patrimonio e il frutto della vita e
dell’osservazione di tutti i popoli. I libri più antichi, dagli ammaestramenti
del re egizio Amenemhet (circa 2000
a.C.) ai Veda indiani, dall’ I-King al Talmud, alla Bibbia e al Corano,
ricordano che i proverbi sono nati con l’Uomo. Aristotele affermava che i
proverbi sono “frammenti dell’antica filosofia conservatisi tra molte rovine, grazie
alla loro brevità e musicalità” e Cervantes fa dire a Don Chisciotte: “…mi pare, Sancho, che non
ci siano proverbi che non siano veritieri, perché tutte le sentenze derivano
dall’esperienza, madre di tutte le scienze…” ed anch’io ho messo come incipit
alla raccolta due motti latini: Horas non numero nisi serenas (non indico ore se non serene) e Omnia munda mundis (tutto è puro per quelli che sono puri).
Per quanto riguarda i nomi del
sesso utilizzati nei proverbi, si deve vedere l’indagine sociolinguistica di
Valentina Fanelli, dottore di ricerca linguistica, e la relativa bibliografia
sul web. Un altro studio importante su “le parole del sesso” si deve a Vito
Tartamella, autore del libro “Parolacce, BUR, Milano, 2006, primo studio
italiano di psicolinguistica sul turpiloquio. Tartamella è caporedattore della
rivista scientifica Focus e docente del Corso di giornalismo scientifico al
master di giornalismo dell’Università IULM di Milano. Il lessico erotico
italiano comprende circa 3160 parole dalle quali però sono esclusi molti
termini sulla morale sessuale, e quelli strettamente dialettali. Se si
potessero aggiungere tali termini si potrebbero totalizzare 4000 parole, che
costituiscono un patrimonio comune a tutti ed è parte integrante del nostro repertorio
linguistico, nel quale “cazzo” figura come la parolaccia più pronunciata
dell’italiano parlato.
I primi proverbi l’ho appresi
bambino dalle mie nonne, e mi hanno
sempre affascinato. All’inizio degli anni ‘70 del secolo scorso ho iniziato a
trascriverli, partendo proprio da quelli locali. Successivamente mi sono
dedicato a raccogliere quelli sulla pastorizia, confluiti in un libriccino dal
titolo “Fiorin di cacio, facciamo finta
di chiamare il micio…”, pubblicato nel
1999 con la collaborazione di Claudia Vallini, e, per la parte grafica di
Fabrizia Doloverti e Liliana Grazzini. Su questa spinta, nel 2006 è uscito il
libriccino di Claudia “Fior di grano…profumo di pane”, con illustrazioni di
Margherita Cianchi. Parallelamente a queste trascrizioni e ricerche mi sono
immerso in un segmento specializzato
appuntando diligentemente tutti i proverbi, modi proverbiali, arguzie, motti, locuzioni,
detti, relativi all’immaginario della sfera dell’eros, che via via mi
capitavano sotto gli occhi: dall’innamoramento all’amore, al matrimonio, alla
voluttà, agli eccessi, al tradimento ed alla fiducia, alla fisicità del corpo
umano, alla trivialità dell’invettiva, così come ci erano stati tramandati,
molte volte soltanto oralmente, nel territorio delle Colline Metallifere, in Maremma e in Toscana, con
l’aggiunta di aforismi ed espressioni proverbiali moraleggianti, greche, latine,
italiane e straniere.
Tra
essi ho inserito molti proverbi più
leggermente allusivi, qualche indovinello, stornello e filastrocca, rispetti e
dispetti, tra quelli che mi sono parsi nostrali e originali, lasciando, in tal
modo, aperto un ulteriore spazio di ricerca in questo meraviglioso settore
della cultura popolare, pubblicando nel 2009, in una edizione
privata tirata in 350 copie, un fascicolo contenente 1200 proverbi licenziosi.
Dopo tale pubblicazione
(esaurita sul nascere), molte persone mi hanno segnalato nuovi proverbi, frasi
proverbiali, aforismi, modi di dire, stornelli, indovinelli, canzoni, da poter
aggiungere, e testi da consultare. Inoltre, man mano che procedevo nella raccolta,
mi sono avvalso, oltre delle fonti orali, di innumerevoli scritti di autori
antichi e moderni italiani e toscani, scegliendo, con la mia personale
sensibilità, tra i modi proverbiali, motti, detti sentenziosi, aforismi e indovinelli,
iscrizioni funerarie, sortilegi e pronostici, escludendo, quasi del tutto, le
“battute” e i “motti” delle gazzette e pubblicazioni degli ultimi decenni, fino a raggiungere il cospicuo
numero di settemilacentosettantadue (7172).
Ritengo tuttavia che la raccolta di questa rinnovata
opera abbia soltanto aperto una finestra sul grande universo de “li vulgari
proverbi”, del quale il lettore potrà facilmente intuire la vastità, in
particolare per i proverbi regionali, da me poco trascritti, e per un più attento
confronto tra quelli dei paesi europei di cultura neolatina e germanica ed i
nostri, provenienti da un’area assai più limitata, dalla quale siamo usciti
raramente per raccogliere soprattutto proverbi e aforismi greci, latini,
italiani, greci, francesi, inglesi, tedeschi, sardi, lombardi, napoletani,
veneti e spagnoli, a tema “licenziosità” e virtù morali.
Rinunciando momentaneamente ad ogni commento, sia per le difficoltà
oggettive che per i tempi lunghi che ciò avrebbe richiesto, ed anche perché nella maggior parte dei casi
m’è sembrato evidente il significato, manifesto o allusivo, considerando
inoltre che la raccolta (se sarà pubblicata) è destinata a semplici lettori e
non a specialisti, ho omesso l’indice delle fonti, scritte e orali, e la
bibliografia, quest’ultima davvero imponente, specialmente per gli aforismi. In
questo caso basterà citare che la bibliografia stesa da Federico Roncoroni per
il suo manuale “Il libro degli aforismi” pubblicato negli Oscar Mondadori
nell’ottobre 1989, contiene 39 segnalazioni, di autori dal sec. XVII al XX. Mi
sono tuttavia reso conto che in moltissimi casi, specialmente per i proverbi e
modi di dire dei secoli XVI – XVIII e antecedenti, il loro significato ci resta
oggi molto oscuro e del tutto fuori dal contesto sociale nel quale s’erano
formati. Alcuni, tuttavia, li ho riportati, soprattutto attingendo a vocabolari
o rimari toscani, per le dovute comparazioni tra due modelli antropologici non
lontanissimi: uno che si avviava al declino, l’altro all’alba, quello
preindustriale della mezzadria e quello della rivoluzione scientifica, delle
macchine e della comunicazione digitale.
In Italia, l’interesse a raccogliere proverbi, sia da
testi scritti, sia dalla viva voce del popolo, ed a trascriverli o inserirli in
opere erudite, scientifiche e letterarie, è antichissimo, risalendo ai grandi
scrittori greci e latini (le cui sentenze, con oltre diecimila citazioni, sono
state pubblicate da Rizzoli nel 1991), e, a partire dal secolo XIII, da
autori italici.
Il più antico
testo misogino in volgare compare anonimo tra il 1152 ed il 1160 “Proverbia
amalidicuntur super natura feminarum”,
cioè agli albori della nostra letteratura; mentre altri appariranno in
Toscana ed in Piemonte nel primo trecento, essenzialmente a carattere
moraleggiante e allegorico e Dante Alighieri ne farà largo uso all’interno
della Divina Commedia in versi memorabili. Un frequente uso si troverà in altri capolavori della letteratura
italiana a partire dal Decamerone di
Boccaccio e dal Canzoniere del Petrarca, per giungere al Manzoni ed al Verga.
Tra
tutti deve essere ricordato però Angelo Poliziano che raccolse, negli anni
1477-1479, i motti, gli aneddoti e le facezie del suo tempo, che furono
stampati a Firenze nel 1548 da Lodovico Domenichi, poligrafo, sotto il titolo,
di autore anonimo: “Facetie et motti arguti di alcuni eccellentissimi ingegni
et nobilissimi signori”. I 413 detti e
proverbi furono successivamente estrapolati da Albert Wesselski, e pubblicati a
Jena nel 1929 con il titolo di: “Angelo Polizianos Tagebuch”. Il Wesselski
dimostrò con sicurezza che essi erano opera dello stesso autore delle Stanze e
dell’Orfeo. Qualcuno espresse delle perplessità, ma oggi gli storici della
letteratura italiana concordano nel ritenere valide le conclusioni a cui giunse
il Wesselski. Dopo l’edizione di Jena del 1929, i Detti piacevoli non sono
stati più pubblicati, né in Italia né altrove. Infine, fu stampata la prima
edizione italiana moderna dei Detti dagli Editori del Grifo di Montepulciano,
con il titolo I detti piacevoli, nell’anno 1985 a cura di Mariano
Fresta, dalla quale abbiamo ricavato 50 proverbi e facezie.
Ci è piaciuto riportare inoltre, in una lingua toscana
più controllata, estrapolandole dai così detti “scritti letterari”, alcune
facezie di Leonardo da Vinci più allusivamente vicine al nostro tema della
“licenziosità”, in ciò rendendo un
“picciolo honore” al sommo genio toscano.
Ad Antonio Corazzano si devono infine, nel secolo XV,
le opere “De proverbiorum origine” e “Proverbi et facezie”, quest’ultima ad
esplicito carattere licenzioso.
Per quanto più strettamente
legato alla mia ricerca, mi limito a citare: il biblico Salomone, figliolo di
David, re d’Israele, al quale si attribuiscono molti proverbi del libro omonimo
dell’Antico Testamento, che si fa risalire tra l’VIII ed il IV secolo a. C.; il
greco Esiodo, il divino Marco Valerio Marziale, il poeta Virgilio e i due
grandi del ‘500 toscano, Cinthio de li Fabrizi e Antonio Vignali. Cinthio
pubblicò a Venezia, fuori dal potere del Papa, la sua celebra “Cazzaria”, opera
considerata blasfema e posta all’Indice, solo recentemente ristampata. Antonio
Vignali (Siena 1500 – Milano 1559), detto l’Arsiccio Intronato, umanista, già
membro dell’Accademia senese degli Intronati (cioè da quella fucina di umanisti
erotico-comici che componevano l’Accademia senese), bandito dalla città per motivi politici,
scrisse ai suoi compatrioti una “Lettera in broverbi”, composta da 365 proverbi
e modi proverbiali dei quali ne ho trascritti ben 52. Riguardo “al parlar libero”, cioè affrontando
in letteratura i temi dell’erotismo più sfrenato e immaginifico, ho attinto,
per quanto possibile, alle opere di Pietro Aretino, specialmente ai Sonetti
lussuriosi e d al Ragionamento.
Tra
i maggiori scrittori cinquecenteschi dell’osceno devo fare un piccolo riferimento a Nicolò
Franco ed alla sua raccolta di novanta sonetti “Priapea”, per la quale l’autore
verrà inquisito e impiccato per aver pubblicato un sonetto diffamatorio contro
il papa Paolo IV.
Tra la metà del ‘500 e gli
albori del ‘600 Francesco Perdonati riunì, in vari volumi manoscritti, una
vasta messe di proverbi, molti dei quali furono successivamente riprodotti
nella terza edizione della Crusca nel secolo XVIII. Non si possono inoltre tacere alcune
espressioni proverbiali inserite da Lorenzo Lippi nel suo poema “Malmantile
racquistato”, gli aforismi morali di La Rochefoucauld,
Chamfort e Montaigne
(“Essais, 1589-1592” nella traduzione di Roberto Bonchio, 2012), ed i deliziosi detti di Bertoldo, i proverbi di
Adriano Politi inseriti nel “Dittionario Toscano, del ‘600, quelli di Carlo
Tommaso Strozzi, Sebastiano Paoli da Lucca e le raccolte di Michele Pavanello,
del veronese Orlando, Angelo Monosini e di Francesco Lama. Nel secolo seguente
i proverbi conoscono un periodo di splendore grazie alle riscoperte di molti
ricercatori che contribuirono al loro inserimento nelle prime edizioni del
Vocabolario della Crusca, tra cui citiamo
quelli toscani dell’abate Luigi Fiacchi (1754-1825) che ritrovò la
dichiarazione de’ proverbi di Gio. Maria Cecchi (1518-1587, celebre scrittore
di commedie del secolo XVI), creduta perduta dai compilatori della quarta
impressione del Vocabolario della Crusca, e la fece stampare a Firenze nel
1820; del Tommaseo e del Giusti che ad essi dedicarono molti anni di studio e
di ricerca, e da moltissimi loro discepoli: Antonio Gotti, Gino Capponi, Augusto Alfani, Eugenio
Restelli, Arrigo Pecchioli, Niccola Castagna, Idelfonso Nieri ed ai contemporanei
dell’Accademia senese degli Intronati: Bacci, Iacometti, Lombardi e Mazzoni,
nonché, per rimanere in terra di Siena, a “nonna Zoe”, originaria di Belforte, che
raccolse circa duemilacinquecento proverbi generici, ad Evaldo Serpi di
Montalcinello ed a Marino Ferrini che nel 1938 iniziò a raccogliere proverbi,
soprattutto toscani, pubblicandone alcune migliaia nel 1998, suddivisi per 573
argomenti. Molti proverbi, detti, stornelli, filastrocche, indovinelli e modi
proverbiali l’ho poi estratti dai ventisette volumetti della collana
Mezzoscudo, della LEF (Libreria Editrice Fiorentina), , tra quelli che ho
trovato nella mia libreria, scelti e curati da Guglielmo Amerighi, un pioniere
nel campo delle tradizioni popolari toscane, dai proverbi e modi di dire di
Pisa di Riccardo Mazzanti, 1998
Non posso inoltre dimenticare il
mio caro amico “Tista”, Giovanni Batistini, e il suo originale lavoro “Folklore
Volterrano”, fonte di sapienza popolare per me tra i più amati; né recenti letture inaspettate, come i
“proverbios” di Antonio Machado, il
Lunario dei giorni d’amore a cura di Guido Davico Bonino, Einaudi, 1998 e le
lettere ad un amico lontano di Cristina Campo. Relativamente agli stranieri
accenno soltanto ad alcune opere fondamentali tra le quali: la rivista di
paremiologia “Proverbium”, edita fin dal 1965, dalla Societé de Littérature
Finnoise, Helsinki; “Sprichtworter-Bibliographie”, di Otto E. Moll, Frankfurt
am Main, Klosterman, 1957; “The Proverb
and Index to the Proverb”, Copenaghen, Rosenkilde&Bagger, 1962;
“Dictionnaire des proverbes, sentences et maximes” di M. Maloux, Larusse,
Paris, 1960; al “Dictionnaire des proverbes du monde” riuniti, classificati e
presentati dallo scrittore Elian-J Finbert, pubblicato a Parigi da Robert
Laffont nel 1965 nel quale, tuttavia, i proverbi italiani son tratti quasi al
completo da raccolte pubblicate in
Italia tra il 1820 e il 1934, e perciò per lo più a tema moraleggiante e non
licenzioso, praticamente tutti apparsi in raccolte più recenti da me
consultate, mentre si è rivelato utile per numerosi proverbi da me inseriti, provenienti
da aree extra europee; ed infine, “Proverbes et dictions francais”, di J.
Pineaux,, Presses universitaries de France, Paris, 1967.
Col
solo scopo di indicare una insolita via nell’immenso universo dell’eros, ho
inserito quindici aforismi ricavati dall’Antologia Palatina, nella summa che ce
n’ha offerta Filippo Maria Pontani
(1913-1983), tra gli oltre quattromila epigrammi greci che vanno dall’età
arcaica al X secolo d. C. Dall’avvincente lettura delle opere di Plutarco
(Cheronea, Beozia 45 ca. – 125): Vite parallele, Sull’amore e Precetti
coniugali, e da una più attenta
rilettura delle diecimila citazioni delle sentenze latine e greche, dall’antichità
al rinascimento, a cura di Renzo Tosi e Italo Sordi, pubblicate da Rizzoli nel
1991, ho tratto alcune centinaia di
aforismi, detti, epitaffi, proverbi e frammenti poetici, sia per l’attinenza al
tema di questa raccolta ed per attestarne le arcaiche radici, nonché per la
musicalità della parola e la suggestione ch’essa genera ancora nell’uomo
contemporaneo.
A questo immenso patrimonio
hanno inoltre contribuito ricercatori dialettali e locali d’ogni contrada
italiana e nell’era di internet si possono trovare sul web centinaia di migliaia
di voci proverbiali, modi di dire, detti proverbiali, insieme a stornelli,
indovinelli, filastrocche, aforismi, locuzioni, epiteti, esclamazioni, sia in
italiano che in napoletano, veneziano, piemontese, siciliano, sardo, friulano
ecc. ecc. Tra questi ricordo tuttavia
quattro personaggi importanti: Baffo, Tempio, Porta e Belli e di quest’ultimo
riporto in appendice tre famosissimi sonetti.
Ai proverbi e detti proverbiali
veri e propri, ho aggiunto una “appendice”, ossia una miscellanea di pensieri che più di altri mi sono piaciuti
nel corso delle mie faticose giornate sui testi antichi e moderni di importanti
biblioteche, tra le quali, oltre a quella casalinga, la più importante è stata
quella Comunale degli Intronati di Siena. Ma, trattandosi di una “appendice” si
potrà, volendo, ignorare del tutto
completamente.
A chi volesse effettuare
confronti e verifiche, nonché approfondimenti, segnalo: il Vocabolario dell’uso
toscano, compilato da Pietro Fanfani nel 1863;
il Dizionarietto
morale di Niccolò Tommaseo del 1867, nel quale l’autore, uno degli italiani più
eruditi del secolo XIX con alle spalle 233 volumi e 162 opuscoli pubblicati,
grazie alla bravura nell’arte dell’aforisma, spesso vi raggiunge il suo culmine,
nonché il canonico Giovanni Spano, di Cagliari (1803-1878), una figura
poliedrica di erudito e collezionista, poi Senatore del Regno, che pubblicò nel
1871 una grande raccolta di poco meno di tremila proverbi e modi di dire
sardeschi comparati con le antiche lingue, ebraica ed araba comprese, al quale
ho attinto abbondantemente. Non si possono tacere, inoltre: le raccolte di
proverbi compilate dal lucchese Idelfonso Nieri nella seconda metà del secolo
XX, l’interessante opera di G. Pitrè, voce
Proverbi, della Bibliografia delle Tradizioni Popolari d’Italia,
Torino-Palermo, 1894, vol. V, pp. 177-257 e 464-475, ristampa CDL, Cosenza,
1965, gli aforismi di Marie Von Ebner – Eschenbach della fine dell’800, nonché
i volumi “Dizionario Letterario del Lessico Amoroso: Metafore, Eufemismi,
Trivialismi”, Utet, Torino, 2000 e il grande Dizionario dei proverbi, a cura di
Valter Boggione e Lorenzo Massobrio, Utet, 2004 che riporta oltre trentamila
proverbi; i lemmi specifici del Grande Dizionario della Lingua Italiana, Utet,
Torino, 1961-2004; il Diccionario de Refranes di Luis Junceda, i 5000 proverbi
e motti latini raccolti da L. De Mauri, Hoepli, 1926 e 1990, i volumetti curati
da Guglielmo Amerighi nella collezione “Mezzo Scudo” della Libreria Editrice
Fiorentina, ed infine Il Grande Dizionario dei proverbi italiani in Cd-rom di
Paola Guazzotti e Maria Federica Oddera, Zanichelli, 2006, che contiene 11.000
proverbi con esclusione di quelli dialettali, dai i quali ho tratto spunti e
traduzioni tra quelli raccolti da Claudio Urbani, dai campani, laziali,
lombardi e siciliani. Per gli aforismi moderni e contemporanei rimando, oltre a
“Il libro degli aforismi” citato, ai testi, almeno una dozzina, usciti tra il
1993 ed il 1994 nella collana “Tascabili Economici Newton di: R. Gervaso, G.K.
Gibran, A. Karr, E. Pound, H. Hesse, F. W. Nietzsche, K. Kraus, O. Wilde…ed a
quelli più recenti in “Il grande libro degli aforismi” a cura di Olimpia
Baldini ed “Il grande libro dell’amore” di Ginevra Belli per l’editore Barbera
ed il prezioso lavoro di Carlo Lapucci
“Proverbi e motti fiorentini” pubblicato nel 1993, una vera e propria miniera
di saggezza per il mio lavoro. Infine, un ringraziamento speciale lo devo alla
mia compaesana Wilma Banchi, per la quantità di proverbi, stornelli e aforismi
che mi ha trascritto con precisione, al caro amico Mauro Lisi che m’ha fatto
dono di un suo antico quadernetto dal quale ho ricavato ben 81 proverbi molto
originali ed a Asia Olinda Castellini, poetessa di Serrazzano, dalla quale
raccolsi nell’estate 1998 le ultime spiritose confidenze.
Non rientrava nel mio scopo eseguire un lavoro scientificamente
impostato, ma soltanto appagare l’antico desiderio di mettere nero su bianco
una parte di quel patrimonio, considerato, non a torto, “la scienza dei
poveri”, così volgare, tenero e corposo che ci accompagna nella vita
quotidiana, quanto più è nascosto nella cultura ufficiale e scolastica, onde
salvaguardarne il bagaglio di sapienza, di ironia, e di saggezza che esso
racchiude. Apparirà al lettore moderno, anacronistico e superato il preconcetto,
se non disprezzo, del maschio verso la femmina, ispiratore della maggior parte
dei proverbi da me riportati, frutto di una cultura millenaria non ancora del
tutto rinnovatasi, che trasforma la donna in mero oggetto di piacere e di
utilità domestica; una creatura inferiore di cui non fidarsi mai; tuttavia non
potevo operarne l’oscuramento. Al contrario, la visione in negativo del ruolo
femminile consentirà di apprezzarne il progresso sulla strada della piena emancipazione
e parificazione sessuale, quando la tragica fase in cui viviamo, per brevità
definita impropriamente del “femminicidio”, che non intendo amplificare in
nessun modo, tantomeno con la stampa di
questo lavoro, sarà conclusa,
Con le parole del “maestro”, l’incantevole Rabelais,
mi accomiato :
Lettori
amici, voi che m’accostate,
liberatevi d’ogni passione,
e, leggendo, non vi scandalizzate:
qui non si trova male né infezione.
E’ pur vero che poca perfezione
apprenderete, se non sia per ridere:
altra cosa non può il mio cuore esprimere
vedendo il lutto che da voi promana:
meglio è di risa che di pianti scrivere,
ché rider soprattutto è cosa umana.
Si, ridere è cosa saggia e salutare! come recita un
antico proverbio: “Chi ride leva un chiodo alla bara!”, ossia vive più a lungo
e meglio di chi non lo faccia. Infine, per correzioni e proposte di ulteriori
aggiunte, sarò contento di riceve e mail all’indirizzo: karl38cg@gmail.com e in anticipo ringrazio
chi lo farà.