martedì 13 ottobre 2020




 Ottobre, memorie lontane.

 

Ottobre, il mese delle ricordanze,

nella storia ho conosciuto i miei eroi,

ai quali sempre ritorno

per mantenere viva la fiammella della poesia,

e dei miei ideali.

 

San Francesco d’Assisi

morì il 4 ottobre del 1226,

per me è ancora vivo

e predica agli uccelli,

parla al lupo, a Chiara

e ai poverelli;

 

più di mill’anni prima

era nato Virgilio,

il poeta dei nostri miti,

e non  caso la mia nonna amata

fu chiamata Enélide;

 

pure Picasso nacque in ottobre,

il 23 dell’ 81,  e s’ingegnò

a trattare la natura

attraverso il cono, la sfera ed il cilindro,

e nella nuova arte

rappresentò la tragedia antica

dell’umanità, i disastri della guerra;

 

Francisco Ferrer, l’anarchico,

la pura luce del mondo,

fu ucciso il 13 ottobre.

La sua fama non ebbe  corso,

e dopo pochi anni fu tolto il suo nome

dai nostri giardini del Piazzone,

imperando il fascismo e Mussolini.

 

Per fortuna ci furono Dongo

la Villa Belmonte di Giulino

per gli assassini;

la forca a Norimberga

dei criminali nazisti, anche se i più

riuscirono a salvar la pelle!

Ma c’è, in ottobre,

anche un giorno felice:

la nascita della mia sposa

che ho tanto amato!


Infine, è in questo mese,

che i nostri castagneti si vestono a festa,

offrendoci i loro preziosi frutti,

mentre i boschi si rianimano di voci

e di memorie.


Avrei molte altre storie da narrare,

tristi e liete, ma, non oso, perché temo

che nessuno sia ad ascoltare.

Ho soltanto l’ardire

di far parlare un vecchio castagno,

che adesso non c’è più.

Non racconto bugie, andate

sul monte, alla Capanna,

e vedrete le sue radici.


Il vecchio castagno racconta


Ho sfamato mezzadri e paesani,
scoiattoli e cinghiali; ai bambini
del borgo non ho chiuso i cancelli,
quando venivano a ruspolare,
raccogliendo stecchi per leggeri

fastelli.
  
In quel capannuccio di frasche
vuoto e cadente, dove dorme
la biscia e il vento ammontina
il suo tesoro di foglie secche,
un tempo vidi sbocciare
il tuo amore, ora larva
dell’evanescente memoria.

Nel castagneto silenzioso
l’eternità tesse la sua tela,
incurante di speranze ed oblio,
ma io, il vecchio marrone,
non posso dimenticare.

So che sei poeta
e molte solitudini hai colmato,
né mirto, né ricchezze
hai guadagnato, solo baci
e carezze di leggiadre amanti, 
perenne vena del solitario 

canto.

            
T’amo per questo sogno ardito,
quasi fratello a me medesimo,
che, schivo, l’ombra e il frutto
spando, in questo autunno mite,
e mi protendo coi ricci aperti
che t’offro in dono, in attesa
dell’inverno che mi spogli.

Infine verrà la morte, per te.
Per me, la saetta o il tagliatore.
Ci sarà un ultimo fuoco,
di fascine e di parole. Qualcuno
in futuro scaverà: il ciocco,
per fare un buon terriccio,
e dai tuoi versi, un fiore!

 
















































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