mercoledì 7 ottobre 2020





 Al Serrappuccio,

in un mattino un po’ triste di fine ottobre [i]

 

Vedo come non l’ho visto mai

il mio paese, avvolto dalle nuvole

che vengono dal mare, nere,

pesanti di pioggia e vento,

appiccicose, e di mestizia foriere,

che novembre è ormai

alle porte, coi fiori di plastica,

tristi, per le genti morte.

 

Anche stamani

suona lamentosa la campana,

a rammentare una partenza amica;

pure noi siamo in attesa,

noi che ci sentimmo immortali,

quando la bellezza ci sfiorava

e l’amore ogni porta spalancava.

 

Con questa donna umile e mite

m’incontrai alla mensa nuziale

di un cugino, la vedo ancora,

ridente, porgermi dal fiasco

il vino che ancor più faceva divampare

l’amor che dentro me sbocciava.

 

Salgo nel Serrappuccio, dove son nato,

dove a vent’anni sono ritornato,

io poeta, il babbo musicista e la nonna

già vecchia che per amor di noi

la vita sua  allungava. Tutto è silenzio

se non fruscio di vento sulle cime

dei cipressi, e rauche grida

d’ uccelli, intorno alla torre e in cielo.

 

Scandaglio la memoria 

alla ricerca di volti, nomi, parole,

ma poco affiora dal gorgo della storia.

Lenzina, Corinna, Teresa, Solidea,

Concetta, la Manetta, Iris, la Tradotta,

e Franca, Vittoria, Seconda, Gustavo,

Livio, Carla, Natalino, Elsa, Angelo,

ed altri ancora, che un tempo amavo.

 

Chi condivise i miei giorni felici

di giovinezza, é partito

verso perduti lidi,

altri, dispersi nel mondo

come le foglie brune,

per gli stretti vicoli.

 

E’ l’umano destino che ci attende:

morire soli e far perdere ogni traccia,

con la speranza mai sopita,

d’incontrarci nell’eterna vita.





 

[i] Serrappuccio è la denominazione antica di un vicolo chiuso del paese di Castelnuovo di Val di Cecina. In una delle sue casupole vi nacqui il 3 settembre 1938. Vi abitai per poco tempo, e vi tornai ad abitare, con il babbo e la nonna dall’autunno 1958 alla primavera 1964. Era un piccolo mondo di persone buone e operose, di vecchi e di bambini, del quale mai s’è spenta in me la nostalgia.Al Serrappuccio,

in un mattino un po’ triste di fine ottobre [i]

 

Vedo come non l’ho visto mai

il mio paese, avvolto dalle nuvole

che vengono dal mare, nere,

pesanti di pioggia e vento,

appiccicose, e di mestizia foriere,

che novembre è ormai

alle porte, coi fiori di plastica,

tristi, per le genti morte.

 

Anche stamani

suona lamentosa la campana,

a rammentare una partenza amica;

pure noi siamo in attesa,

noi che ci sentimmo immortali,

quando la bellezza ci sfiorava

e l’amore ogni porta spalancava.

 

Con questa donna umile e mite

m’incontrai alla mensa nuziale

di un cugino, la vedo ancora,

ridente, porgermi dal fiasco

il vino che ancor più faceva divampare

l’amor che dentro me sbocciava.

 

Salgo nel Serrappuccio, dove son nato,

dove a vent’anni sono ritornato,

io poeta, il babbo musicista e la nonna

già vecchia che per amor di noi

la vita sua  allungava. Tutto è silenzio

se non fruscio di vento sulle cime

dei cipressi, e rauche grida

d’ uccelli, intorno alla torre e in cielo.

 

Scandaglio la memoria 

alla ricerca di volti, nomi, parole,

ma poco affiora dal gorgo della storia.

Lenzina, Corinna, Teresa, Solidea,

Concetta, la Manetta, Iris, la Tradotta,

e Franca, Vittoria, Seconda, Gustavo,

Livio, Carla, Natalino, Elsa, Angelo,

ed altri ancora, che un tempo amavo.

 

Chi condivise i miei giorni felici

di giovinezza, é partito

verso perduti lidi,

altri, dispersi nel mondo

come le foglie brune,

per gli stretti vicoli.

 

E’ l’umano destino che ci attende:

morire soli e far perdere ogni traccia,

con la speranza mai sopita,

d’incontrarci nell’eterna vita.

 

[i] Serrappuccio è la denominazione antica di un vicolo chiuso del paese di Castelnuovo di Val di Cecina. In una delle sue casupole vi nacqui il 3 settembre 1938. Vi abitai per poco tempo, e vi tornai ad abitare, con il babbo e la nonna dall’autunno 1958 alla primavera 1964. Era un piccolo mondo di persone buone e operose, di vecchi e di bambini, del quale mai s’è spenta in me la nostalgia. 


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