giovedì 31 gennaio 2013







E io, ragazza gentile dal  sorriso triste…
Un omaggio a Esenin, Chagall, Fiumi e Holan.

Ricordo tutto di lei e dell’incantesimo che mi stregò l’anima. La prima volta la vidi nella sala d’attesa di uno Studio dentistico. Ebbi l’inatteso regalo di un sorriso acerbo, triste. Pensai: ma com’è possibile che questa ragazza, novella venere emersa dall’oceano del kaos e del nulla, abbia un dente ammalato? La seconda volta venne a suonare alla mia porta: cercava proprio me, per un piccolo lavoro scolastico. Se ne andò contenta. Vecchi così giovani e dalla viva memoria non se ne trovavano molti. La terza volta, quella fatale, fu una sera d’estate sotto i tigli. S’incontrarono gli occhi e ancora non riesco a comprendere come fu che a lei mi rivolgessi con parole ardite. Le dissi che l’amavo, per la sua bellezza. A tale proposito aggiunsi che non dovevano essere, le mie, parole nuove, perché la bellezza è un dono difficile da nascondere e non sarei stato certamente il primo a farglielo notare. Fu un anno mirabile, ricco di eccezionali minimi avvenimenti. Il più sorprendente, uno strano rapporto tra noi. Per la maggior parte furono coinvolte le onde elettromagnetiche, altre volte, gli occhi, le mani, le labbra, i capelli, i denti, i vestiti, i profumi, le canzoni…infine ci fu un incontro speciale, nella città di***, dove ebbi modo di ammirarla in un’eleganza inconsueta; non fui il solo a notarla, era al centro dell’attenzione generale…il nostro legame si fece più intimo. Convertiti ai nuovi sistemi di comunicazione eravamo immersi nelle onde elettromagnetiche. Naturalmente camminavamo sull’alta corda di un circo, sospesi nell’aria, senza alcuna protezione, perché tutto c’era precluso sulla terra. Dopo essere avanzati pericolosamente, in un miracoloso equilibrio, la corda oscillò ed entrambi cademmo al suolo. Mi leccai le ferite che sanguinarono a lungo. Lei, uscì dalla mia vita. Uscì, si fa per dire! Il tempo implacabile continuava la sua marcia verso l’infinito, passarono gli anni…poi, una sera d’autunno c’incontrammo: poche parole, freddo, paura. Infine la sognai, per la prima volta: eravamo seduti al Caffè Flora, e dalla bianca camicetta sbottonata fissavo i suoi capezzoli rosso bruni, come more selvatiche, finché l’intero sogno svanì. Pochi giorni dopo, mentre stavo parlando con una amica tra la gente che affollava un mercato rionale, eccola avvicinarsi nella nostra direzione. Scorgendomi ebbe il moto istintivo d’abbracciarmi, ma, repentinamente cambiò idea, si bloccò tendendomi la mano. Sorridemmo entrambi, un po’ impacciati, scambiandoci due baci d’amicizia. Oh! in quei due baci lievi tutto riemerse dal profondo e il cuore sobbalzò come quando l’attendevo nel crepuscolo…

Mi godo quest’ora arcana del giorno
che muore senza stelle
nella frescura d’una brezza marina.
In alto, i castagni in fiore,
riverberano l’ultima luce,
mentre nel boschetto dei ciliegi
l’usignolo apre il suo concerto
appassionato. Si direbbe la felice
conclusione di un giorno perfetto
se non mi stringesse una pena
il cuore, l’assenza di te.
Che il nostro sogno non avrà mai fine
lo sappiamo, se pur dell’ultimo
bacio il grande ardore è svanito
e nulla rimane di quegli sguardi
languidi, di quel verginal tremore.
Ti dico addio sul piccolo pianeta
che mai rivedrò,
occhi di velluto, bocca di rubino,
oh! desiderio di baci immaturi,
turgidi seni che non stringerò!

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