martedì 27 marzo 2018




PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI. CAP. 82. (1980)

Memorie lontane

Leggere, trovando la lettura così gustosa fino al punto di provare il desiderio di renderne altri partecipi, un libro come “Memorie lontane”, può sembrare, ai tempi nostri, assurdo, incosciente. Eppure, se ancora esiste un “tempo per la lettura” del libro, che parta da bisogni e gusti e godimenti durevoli e non sia il “voler essere aggiornato” secondo le indicazioni delle rubriche letterarie dei principali organi di stampa e della televisione, ci sono non solo i grandi temi e autori da leggere, alcuni recuperandoli dopo la deformazione scolastica, ma anche da scoprire piccoli, oscuri autori, particolarmente legati all’ambiente storico e geografico nel quale viviamo, altrettanto importanti per riflettere su noi stessi e sulla nostra storia e società. Tuttavia sono scettico che anche queste semplici note, redatte con tanta amorevole fatica, servano e stimolino qualche lavoratore a tentare: ne parlavo insieme con i compagni del “Gruppo di Lavoro del “giornalino””, riflettendo sulle letture segnalate in questi cinque anni: T. Mann, Archimede, Maometto, P. Caleffi, A. Joszef, A. Machado, B. Brecht, Dina Ferri…e sul fatto che, probabilmente, nessuno ci ha dato retta leggendo ciò che abbiamo segnalato!

Guido Nobili, figlio di un avvocato e di una pittrice, nacque a Firenze nel 1850 e seguì la carriera del padre. Esercitò la professione vivendo in disparte, senza partecipare attivamente alla vita pubblica. Nel 1906 pubblicò il romanzo “Senza bussola (Vita vissuta)”. Le “Memorie lontane”, insieme ad altri scritti minori, furono stampate dai familiari in una edizione a tiratura limitata, nel 1916, subito dopo la morte dell’autore. Pochi sono i riferimenti critici, salvo una prefazione di Pietro Pancrazi e quella più recente di Geno Pampaloni (1975) per l’edizione Einaudi nella collana “Centopagine”.

Nel libro, scritto con ironico garbo, si racconta la storia, vissuta a Firenze negli anni del trapasso dal Granducato al Regno d’Italia, di un amore giovanile tra un ragazzo (l’autore), appartenente ad una famiglia della piccola borghesia intellettuale e una fanciulla greca, Filli, che vive in Italia seguendo il padre nelle sue peregrinazioni commerciali. Si trovano in queste pagine i luoghi di una Firenze che ancora conosciamo: Piazza Indipendenza e quelli dei vicoli adiacenti dove ferveva l’intensa vita popolare, con le sue Usanze, con i suoi personaggi, i giochi fanciulleschi; vi hanno un vivido rilievo i ritratti della famiglia e di altre famiglie amiche, la loro vita borghese, le discussioni, la religione, gli svaghi mondani, le vacanze  “in villa” all’Impruneta e le reazioni politiche al trapasso tra un sistema di potere ed un altro.

Ma, soprattutto, il libro è lo svelarsi di un acerbo amore tra i due bambini, un amore che crea situazioni paradossali, in cui anche il tragico diventa sorriso, e che si conclude, come quasi sempre avviene in questi casi, con una separazione. Un non ritrovarsi che alimenta l’incessante fiamma degli affetti tingendo di dolce malinconia il ricordo, suo e nostro: “…mezzo secolo, e più, è passato; una selva di anni si è messa di mezzo fra quei giorni di amore e di dolore, e l’oggi; ma l’immagine di Filli, chiara, colorita e fulgente, è sempre viva nella mia memoria e nel mio cuore. Ho vissuto anch’io; sul lungo cammino della mia vita ho incontrato delle donne; ma il gioco dell’amore non era più quello…”. Buona lettura!

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