Il sogno e
l’autunno.
Stanotte ho fatto un sogno e mi
pareva,/ da quant’era bello di sognare…/ ed il risveglio tardivo è stato brusco
e doloroso. D’altra parte questa è la vita! Però, fulmineo come m’è scomparso
m’è ritornato e lo rivivo, per la seconda volta, capita sovente, mi dico. Era
una situazione decisamente erotica in quanto in un grande e variopinto
giaciglio si stendeva timidissima accanto a me una donna stupenda, una
selvaggia Yanohama, e il calore del suo corpo entrava nel mio come un meccanismo
di ricarica, che istantaneamente faceva spengere la luce rossa dell’organo
sensoriale. Al risveglio il volto di questa selvaggia mi fissava, severo ed
anche ironico, ma dolcissimo. Forse questo sogno è la metabolizzazione della
diagnosi che mi ha fatto lo specialista di radiologia due giorni fa dopo aver
eseguito una ecografia completa addominale per verifica intervento asportazione cistifellea e controllo
periodico della prostata per IPB. Il referto parla chiaro: nessun postumo, sono
sanissimo….! E la prostata, alla mia età? Caro Signore, lei è fortunato, perché
la prostata è diminuita di volume! Lei sta benissimo! E, addirittura con una
stretta di mano, mi ha aperto la porta salutandomi. Oggi ho fatto alcune
fotografie all’autunno partendo da una vuota panchina del giardino pubblico,
per poi fissare l’immagine sempre amata del Serrappuccio e della casa dove son
nato ed ho trascorso alcuni anni felici della giovinezza. Ed infine, nei pressi
di Siena, ad alberi e frutti e vigne vendemmiate. Prima del sonno (questa volta
senza sogni) ho letto alcune liriche della Antologia della poesia italiana,
volume I, Duecento-Trecento, edita da Einaudi-Gallimard nella “Biblioteca della
Plèiade”, Paris 1997. A
pagina 628, il sonetto CCLXXIII di Francesco Petrarca, sembrava proprio scritto
per me:
Che fai? che pensi? che pur
dietro guardi
nel tempo, che tornar non pote
omai?
Anima sconsolata, che pur vai
giugnendo legne al foco ove tu
ardi?
Le soavi parole e i dolci sguardi
ch’ad un ad un descritti e
depinti ài,
son levati de terra; ed è, ben
sai,
qui ricercarli intempestivo e
tardi.
Deh non rinovellar quel che
n’ancide,
non seguir più penser vago,
fallace,
ma saldo e certo, ch’a buon fin
ne guide.
Cerchiamo ‘l ciel, se qui nulla
ne piace:
ché mal per noi quella beltà si vide,
se viva e morta ne devea tòr
pace.
Nessun commento:
Posta un commento