giovedì 7 novembre 2013








Il sogno e l’autunno.

Stanotte ho fatto un sogno e mi pareva,/ da quant’era bello di sognare…/ ed il risveglio tardivo è stato brusco e doloroso. D’altra parte questa è la vita! Però, fulmineo come m’è scomparso m’è ritornato e lo rivivo, per la seconda volta, capita sovente, mi dico. Era una situazione decisamente erotica in quanto in un grande e variopinto giaciglio si stendeva timidissima accanto a me una donna stupenda, una selvaggia Yanohama, e il calore del suo corpo entrava nel mio come un meccanismo di ricarica, che istantaneamente faceva spengere la luce rossa dell’organo sensoriale. Al risveglio il volto di questa selvaggia mi fissava, severo ed anche ironico, ma dolcissimo. Forse questo sogno è la metabolizzazione della diagnosi che mi ha fatto lo specialista di radiologia due giorni fa dopo aver eseguito una ecografia completa addominale per verifica intervento  asportazione cistifellea e controllo periodico della prostata per IPB. Il referto parla chiaro: nessun postumo, sono sanissimo….! E la prostata, alla mia età? Caro Signore, lei è fortunato, perché la prostata è diminuita di volume! Lei sta benissimo! E, addirittura con una stretta di mano, mi ha aperto la porta salutandomi. Oggi ho fatto alcune fotografie all’autunno partendo da una vuota panchina del giardino pubblico, per poi fissare l’immagine sempre amata del Serrappuccio e della casa dove son nato ed ho trascorso alcuni anni felici della giovinezza. Ed infine, nei pressi di Siena, ad alberi e frutti e vigne vendemmiate. Prima del sonno (questa volta senza sogni) ho letto alcune liriche della Antologia della poesia italiana, volume I, Duecento-Trecento, edita da Einaudi-Gallimard nella “Biblioteca della Plèiade”, Paris 1997. A pagina 628, il sonetto CCLXXIII di Francesco Petrarca, sembrava proprio scritto per me:

Che fai? che pensi? che pur dietro guardi
nel tempo, che tornar non pote omai?
Anima sconsolata, che pur vai
giugnendo legne al foco ove tu ardi?
Le soavi parole e i dolci sguardi
ch’ad un ad un descritti e depinti ài,
son levati de terra; ed è, ben sai,
qui ricercarli intempestivo e tardi.
Deh non rinovellar quel che n’ancide,
non seguir più penser vago, fallace,
ma saldo e certo, ch’a buon fin ne guide.
Cerchiamo ‘l ciel, se qui nulla ne piace:
ché mal per noi quella beltà si vide,

se viva e morta ne devea tòr pace.

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