Geotermia, un frammento di stelle lontano (VI).
Il
conte Florestano si accinse al globale rinnovamento dell'industria chimica di
Larderello chiamando intorno a se il fior fiore degli scienziati europei
(Nasini, Raynaut, Geisenheimer, Aldo e Piero Bringhenti, Piero Ginori Conti,
Anderlini, Levi, Salvadori, Lotti, Sborgi, Porlezza, Castellani ecc.),
riuscendo ad ottenere un’ampia gamma di prodotti purissimi per una più
capillare commercializzazione[1].
Il decennio conclusivo del XIX° secolo registra infine le prime applicazioni
sperimentali del vapore come energia meccanica, sperimentazioni che
precorreranno di poco la nascita dell'industria elettrica a Larderello.
Si accendono le prime lampadine.
I
primi esperimenti per lo sfruttamento dell'energia cinetica dei soffioni
risalgono al 1890 e nel 1894, Ferdinando Raynaut, Direttore tecnico degli
stabilimenti di Larderello, riuscì ad azionare una macchina da 8 HP utilizzando
una caldaia multitubolare riscaldata dal vapore del "foro Forte" di Piazza S. Anna[2].
Essa fu usata per la raffinazione dell'acido borico destinato agli usi
farmaceutici, con la macinazione in tre macine a ciclo indiretto, in quanto era
comunemente ritenuto che "il vapore,
a cagione delle materie che contiene e che attaccherebbero (il metallo) dei
cilindri, non potrebbe servire come forza motrice diretta"[3].
Dopo aver messo in marcia il tanto atteso impianto per la produzione del borace
(1896), nel 1897 Raynaut costruì una ruota a palette del diametro di un metro e
mezzo, che doveva essere mossa dal vapore di un soffione, ma la sua improvvisa
morte, per mano di un ignoto assassino, ne interruppe la sperimentazione.
Tuttavia, Raynaut aveva dimostrato, contro le diffuse teorie scientifiche
dell'epoca, che si poteva ottenere dai soffioni vapore a pressione superiore
alla pressione atmosferica senza che il vapore trovasse più comode vie
sotterranee di risalita. Gli studi su tale ruota furono ripresi saltuariamente
nel corso del 1902 e poi, con maggiore determinazione, nel dicembre 1903 da
Piero Ginori Conti e dai suoi collaboratori, Raffaello Nasini, il grande
chimico dell'Università di Pisa e dall'ingegnere Giovanni Fabaro, Direttore
delle Saline di Volterra, sempre sul foro Forte di Piazza S. Anna a Larderello
e conclusi il 6 luglio 1904 con l'azionamento di una piccola macchina a
stantuffo di 3/4 di HP a mezzo del vapore endogeno diretto (a 3,46 atmosfere,
preventivamente purificato in un apposito separatore), la quale, collegata ad
una dinamo, riuscì a produrre l'energia elettrica sufficiente per accendere
cinque lampade ad incandescenza che assorbivano complessivamente da 160 a 200
Watt[4].
Gli
esperimenti proseguirono con risultati positivi per circa un anno, quando fu
acquistato un motore Cail più potente, da 35-40 HP a stantuffo, che, azionato
dal fluido endogeno del foro "Venella"
e collegato ad una dinamo da 20 kW, entrò in funzione il 9 maggio 1905 senza
manifestare problemi né di incrostazione né di corrosione, rimanendo successivamente
in servizio continuo per lunghi anni e fornendo luce elettrica e forza motrice
allo stabilimento di Larderello ed alla carica di accumulatori[5].
Se
riflettiamo che Edison presentò alla esposizione internazionale di Parigi nel
1881 il proprio sistema di distribuzione della corrente continua per
illuminazione, e che la prima centrale elettrica fu costruita a New York nel
1882, ci rendiamo conto di come a Larderello si fossero compiuti passi da
gigante e di come la ricerca scientifica, nelle sue più moderne applicazioni, sia
stata strettamente collegata all'espansione produttiva del complesso
industriale. Gli esperimenti di Raynaut si collocano dunque nel clima fervoroso
che accompagna in Italia la "corsa
all'elettricità" negli ultimi venti anni del secolo XIX°, periodo
brillantemente analizzato dal grande storico Giorgio Mori, nella monumentale “Storia dell’industria elettrica italiana”[6].
Nell'agosto 1880 Milano è una delle prime città al mondo ad applicare
l'elettricità con l'illuminazione del Caffè Gnocchi in Galleria Vittorio
Emanuele; nel febbraio 1882, sempre a Milano, il "Comitato per le applicazioni dell'elettricità sistema Edison in Italia"
alimenta, mediante una piccola dinamo, novantadue lampade a incandescenza in
sostituzione di preesistenti becchi a gas nel ridotto del Teatro alla Scala;
nel giugno dell'anno successivo, ancora a Milano, con l'entrata in funzione
della piccola centrale di via Santa Redegonda (potenza complessiva 540 kW),
inizia la regolare alimentazione della prima rete di illuminazione elettrica
d'Europa, che si estende per circa cinquecento metri, nei pressi del Duomo. La
prima società elettrica ad essere costituita in Italia risulta la "Società impresa di illuminazione elettrica
in Crema", impresa modesta con modesti capitali e che avrà vita breve.
Il 6 gennaio 1884 Giuseppe Colombo, rettore del Politecnico di Milano, fonda la
"Società generale italiana di
elettricità sistema Edison", che nel futuro diverrà la grande impresa
elettrocommerciale "EDISON".
Nello stesso anno si svolge a Torino una Esposizione internazionale di
elettricità durante la quale viene mostrata una macchina a corrente alternata
che consente di distribuire l'energia elettrica ad una rete relativamente
vasta. Le prime centrali idroelettriche vengono realizzate a partire dal 1887 e
lo sviluppo dell'energia elettrica assume un ritmo vertiginoso in tutta Europa
e negli Stati Uniti d'America.
In
quest'epoca di esaltanti progressi tecnici è con legittimo orgoglio che Piero
Ginori Conti delinea, nel 1906, in una memoria tirata in soli duecento
esemplari, gli affascinanti sviluppi che possono derivare dai recenti
esperimenti di produzione elettrica di origine geotermica a Larderello, ove per
la prima volta nel mondo siamo passati dalla fase "utopica" a quella
pratica: "...i 3000 HP di forza che
risultano come potenza complessiva dei tre soffioni della fabbrica di
Larderello, rappresentano una minima parte della somma di energia che la enorme
massa dei vapori naturali dei soffioni può fornire. Potenti soffioni trovansi
negli altri centri attivi che fanno corona a Larderello, e cioè a Castelnuovo,
Sasso, Monterotondo, Lago, Lustignano e Serrazzano; e nessuno può ancora
assegnare un limite massimo alla potenza raggiungibile, se si pensa quanto sia
facile aumentare queste sorgenti di vapore mediante la trivellazione meccanica
del terreno. Ed ecco come, a fianco della grande industria dell'acido borico,
opera gloriosa della famiglia Larderel, altre sorelle non minori possono
sorgere ad accrescere lo sviluppo industriale di tutta una regione, fornendo
anche a grandi distanze la forza motrice per tutte le forme richieste dai
bisogni della febbrile vita dell'oggi, prima fra le quali la trazione col mezzo
di ferrovie elettriche..."[7].
(continua)
[1] A. MAZZONI, I
soffioni boraciferi toscani, cit., pp. 43-44.
[2] C. GROPPI, Fabbrica
amica. Sindacato e lotta politica a Larderello (1944-1956), Migliorini,
Volterra, 1998, p. 14; R. NASINI, I
soffioni boraciferi e la industria dell'acido borico in Toscana, relazione
pubblicata in occasione del VI Congresso internazionale di chimica applicata
tenuto in Roma nell'aprile del 1906, Roma, 1906, pp. 49-53; id., I soffioni boraciferi e la industria
dell'acido borico in Toscana, comunicazione fatta nella sezione II (chimica
inorganica e industrie relative) al VI Congresso internazionale di chimica
applicata, Roma 1906, Tip. Bertero, Roma, 1907, pp. 56-61; A. MAZZONI, I soffioni boraciferi toscani, cit.,
pp. 79-80.
[3] C. DE STEFANI, I
soffioni boraciferi della Toscana, Roma, 1897, p. 28.
[4] C. GROPPI, Fabbrica
amica, cit., pg. 14; P. GINORI CONTI, La
forza motrice dei soffioni boraciferi della Toscana, sua utilizzazione e
applicazione, Firenze, 1906, pp. 20-21; id., La utilizzazione industriale delle manifestazioni termiche terrestri,
in "Annali di Chimica applicata", a. VII, fsc. V, Roma, 1923, p. 248;
A. MAZZONI, cit., p. 81; T. BOCCI, P.
MAZZINGHI, cit., p. 91.
[5] P. GINORI CONTI, La
forza motrice dei soffioni boraciferi della Toscana, cit., pg. 22; id., La utilizzazione industriale, cit., p.
248; G. GINORI CONTI, Utilizzazione dei
soffioni boraciferi. Storia, sviluppi, possibilità future, Tip. Cencetti,
Firenze, 1936, p. 60.
[7] P.
GINORI CONTI, La forza motrice dei soffioni boraciferi della Toscana, cit., pp.
27-28.
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