1943-1944: le distruzioni della guerra, le mine dei tedeschi ed i bombardamenti degli anglo-americani.
Geotermia, un frammento di stelle lontane (VIII).
monopolio controllato dal
portafoglio della holding finanziaria "La Centrale " detentrice
del pacchetto azionario di maggioranza della telefonica "Teti"
(operazione che avverrà sotto gli auspici di Pirelli e la protezione politica
di Costanzo Ciano), il suo presidente, Luigi Bruno, lo troveremo membro del
Consiglio di amministrazione della "Larderello", probabilmente con un
ruolo di indirizzo e controllo. La spinta autarchica del regime, attraverso i
finanziamenti dell'IRI, rafforzerà ancor più le imprese elettriche e
siderurgiche toscane saldamente controllate da un omogeneo gruppo di potere
(anche la Società
Montecatini ha uno dei suoi uomini più rappresentativi,
l'ingegnere Giacomo Fauser, nel Consiglio di amministrazione della
"Larderello"). Non si deve inoltre dimenticare che Piero Ginori Conti
reggerà le sorti della Confindustria pisana, ininterrottamente, dal 1928 al
1939 (anno della sua morte), e sarà sostituito
nell’alta carica dal figlio Giovanni fino al 1944[1].
Dal secondo semestre
del 1926 lo sciopero è illegale in Italia, così come ogni altra manifestazione
di dissenso, e un opprimente paternalismo tutto vigila e comanda nelle Fabbriche della “Larderello”. Gli
stretti legami che uniscono il principe Piero Ginori Conti alle autorità
fasciste e allo stesso Mussolini sono ampiamente noti. La metà degli anni '30
segna l'inizio di più umane condizioni di vita degli operai boraciferi, fino ad
allora tenuti in soggezione assoluta dalla famiglia Ginori Conti. Le Fabbriche
Boracifere sono completamente fascistizzate e le uniche rappresentanze dei
lavoratori sono costituite dai sindacati corporativi i cui vertici vengono
nominati dal partito, mentre gli esponenti locali, anch'essi espressione dei segretari
politici dei paesi ove sorgono i maggiori stabilimenti e centrali elettriche,
risultano totalmente asserviti ad ogni istanza gerarchica della Direzione, che
vi impone la propria legge attraverso i cosiddetti "Ministri", uomini rudi e autoritari che godono i favori
incondizionati del principe Ginori. Nel 1938, dopo il ritrovamento di potenti
soffioni (il "soffionissimo n. 1"
era esploso a Larderello, praticamente entro lo stabilimento, il 26 marzo 1931
e la sua fama - 220.000 Kg/h. di vapore e un rumore assordante che si udiva nel
raggio di venticinque chilometri, - fece il giro del mondo)[2]
e l'entrata in servizio della grande centrale geotermoelettrica
"Larderello II", il principe Ginori viene ricevuto dal Duce al quale
spiega la potenzialità della geotermia nell'ambito di una politica autarchica.
Nella primavera dell'anno seguente si propaga sulla stampa l'inattesa notizia
che il principe si appresterebbe a trasferire gli uffici della Società
Boracifera dalla sede di Firenze a una nuova sede in Volterra, ma la sua morte,
che avverrà alla fine dell'anno per una incurabile malattia, troncherà sul
nascere l'interessante progetto e nessuno ne parlerà più[3].
La "statalizzazione"
della Società Boracifera Larderello.
Nel
1935, per la compartecipazione alla elettrificazione della linea ferroviaria
Firenze-Roma, il principe Ginori, azionista di maggioranza e Presidente della
"Larderello", si fa anticipare dalle Ferrovie dello Stato quindici
milioni di lire onde sfruttare i due "soffionissimi"
perforati due anni prima a Serrazzano. E' di questo periodo l'approvazione
della Legge 318, del 18 febbraio 1939, riguardante l'espropriazione del diritto
di ricerca nel sottosuolo nelle province di Grosseto, Pisa, Siena e Livorno.
Tale diritto viene attribuito in esclusiva alle Ferrovie dello Stato che lo
eserciteranno attraverso la "Larderello"[4].
Fino
agli ultimi anni '30, grazie alla conveniente politica tariffaria, le Ferrovie
avevano continuato ad acquistare l'energia necessaria ai propri locomotori
dalle maggiori aziende elettriche dell'Italia settentrionale: Società Adriatica
di Elettricità (SADE), Cisalpina (del gruppo Edison) e Acciaierie Falck. Nel
1938, volendo imprimere un diverso indirizzo di sviluppo, l'Amministrazione
delle Ferrovie affiderà alla Società Elettrica Alto Adige l'incarico di
realizzare un impianto idroelettrico sull'Isarco-Rienza: il primo gestito
interamente dalle Ferrovie per il proprio fabbisogno energetico. La ricerca di
fonti autonome di approvvigionamento, dettata da orientamenti di strategia
aziendale, aveva anche motivazioni più schiettamente tecniche. Per alimentare
le linee elettriche a corrente continua di 3,4 kW occorrevano rilevanti
forniture di energia, stante la estensione e il numero delle linee stesse sulle
quali veniva smaltito un traffico rilevantissimo. Occorrevano quindi centrali
elettriche aventi caratteristiche tali da poter garantire, in ogni caso e con
larghezza in potenza e in energia, la continuità delle forniture anche
nell'alternarsi delle stagioni e delle vicissitudini meteorologiche che, specie
nelle regioni centro-meridionali del nostro Paese, hanno spesso andamento
irregolare. All'impianto sull'Isarco si affiancò, sempre nel 1939, il moderno
impianto geotermico per lo sfruttamento del vapore dei soffioni boraciferi di
Larderello dotato di tre turbo-alternatori Tosi da 12.000 kW, ai quali
seguirono altri tre gruppi gemelli (due nel 1940 e uno nel 1941), impianto che
detenne il primato mondiale tra le centrali geotermoelettriche fino agli anni
'50[5].
L'esercizio degli impianti venne affidato alla "Larderello, Società per lo
sfruttamento delle Forze Endogene", costituita il 24 maggio 1939 con sede
sociale a Roma, Largo Ponchielli, 4". In essa le FF.SS., per aver
conferito alla "Larderello" l'uso della esclusiva di ricerca,
ottennero la maggioranza assoluta delle azioni, molte delle quali a voto
plurimo, pari al 70,1% dell'intero capitale sociale. La famiglia Ginori Conti
unitamente ad altri piccoli azionisti, rimase “socio di minoranza”, mantenendo tuttavia un notevole peso nel
Consiglio di Amministrazione.
Il 9 dicembre 1939,
sei giorni dopo la morte del principe Ginori, la vecchia Società
"Larderello" o "Boracifera"
si trasforma in "Larderello Società Anonima" per lo sfruttamento
delle forze endogene: ha un capitale di cinquantaquattro milioni di lire
(contro i sedici precedenti) e fissa la propria sede centrale a Roma. Antonio
Stefano Benni, manager delle Ferrovie dello Stato, è il nuovo Presidente del
Consiglio di Amministrazione; il conte Giovanni Ginori Conti, figlio di Piero,
vice Presidente. Due altri membri della famiglia Ginori, Federico e Pompeo
Aloisi, figurano tra i consiglieri mentre tutti i restanti membri della vecchia
Società vengono sostituiti. Due funzionari delle FF.SS, gli ingegneri Micarelli
e Virgili, assumono i poteri dirigenti. La concessione di ricerca e
coltivazione dei giacimenti minerari di vapori e gas da utilizzare per la
produzione di energia elettrica nelle quattro province toscane, è riservata
alle Ferrovie dello Stato che l'esercitano tramite la "Larderello". Il capitale
sociale viene innalzato alla ragguardevole cifra di centocinquanta milioni[6].
All'atto
dell'insediamento il Presidente Benni dichiara di prevedere "dopo il 1942, due miliardi di kWh annui per
concorrere a facilitare la elettrificazione delle ferrovie italiane, che
tramuta in un compito nazionale ed autarchico quello che altri hanno ritenuto
un semplice problema regionale e di interesse soltanto economico...Diritto è
quello di concorrere, nell'obbedienza al Duce in un bene inteso compito
corporativo, al notevole aumento della produzione della energia elettrica
nazionale..."[7].
La "Larderello" è ormai una realtà di tutto rispetto nel panorama
energetico, rappresentando il 4,5% dell'energia prodotta nell'intero paese. Ma
sono anni di guerra, anni difficili e le ottimistiche previsioni di Benni non
si concretizzeranno. E' già significativo che nel 1943 sia raggiunta una
produzione massima mensile di 98 milioni di kWh, con sei turbine da 12.000 kW
alla Centrale II di Larderello, quattro turbine da 12.000 kW alla Centrale di
Castelnuovo, due turbine da 3.500 kW alla Centrale Larderello I, una turbina da
3.500 kW alla Centrale di Sasso, una turbina da 3.500 kW alla Centrale di
Monterotondo e con due turbine da 3.500 kW alla Centrale di Serrazzano[8].
Tra il 1937 e il
1942 la potenza geotermoelettrica cresce di otto volte e la produzione di
sette, arrivando a sfiorare quasi il 5% della produzione nazionale. Infine,
l'ulteriore variazione della ragione societaria si avrà il 28 febbraio 1945,
quando la "Larderello" passerà da "Società Anonima" a
"Società per Azioni", Società nella quale le FF.SS. rafforzeranno il
proprio potere estromettendo dal pacchetto azionario i rappresentanti delle
famiglie Ginori Conti e Larderel, pesantemente compromessi con il regime
fascista[9].
Guerra e ricostruzione.
Durante
gli ultimi mesi del conflitto bellico tutto l'apparato industriale di
Larderello viene gravemente danneggiato dai bombardamenti degli Alleati e dalle
mine delle truppe tedesche in ritirata. Alla fine della guerra le distruzioni
complessive della "Larderello" raggiungeranno il 25% delle
consistenze patrimoniali del 1943. Risulteranno devastati la Centrale II, la
sottostazione elettrica e gli impianti chimici. Sono stati fatti saltare la campata
del ponte monumentale di accesso a Larderello e la maggior parte dei boccapozzi
dei soffioni. Miglior sorte non avranno le altre Fabbriche, mitragliate e
bombardate; in particolare saranno messe completamente fuori uso le due
Centrali elettriche di Castelnuovo. I militari tedeschi, con la passività della
Direzione aziendale, depredano i magazzini dell'acido borico per inviarlo in
Germania, ma ormai non dispongono di mezzi adeguati per smontare e trasferire
il macchinario elettrico più pregiato. In una notturna, tacita e pericolosa
gara contro i nazifascisti, gli operai caricano su automezzi di fortuna il
macchinario delle officine per metterlo in salvo a Pomarance, nascondendo nelle
fogne e in altri luoghi sicuri, materiali metallici, cavi elettrici, strumenti
di misura e di precisione, per poterli riutilizzare al momento della ormai
prossima Liberazione. Nel "momento
della verità" la Direzione Aziendale, per viltà ed opportunismo,
abdica di fronte alla violenza delle armi nazifasciste mentre i lavoratori
cercano di salvare la Fabbrica a costo del sacrificio supremo della vita.
Sacrificio che si verificherà puntualmente nel tragico eccidio degli ottantatre
minatori di Niccioleta, di cui settantasette trucidati a Castelnuovo, nella
tarda sera del 14 giugno 1944, insieme ad altri quattro giovani partigiani, a
pochi metri dalla Centrale elettrica[10].
Il
Consiglio di amministrazione della "Larderello", presieduto da
Antonio Stefano Benni, convoca gli azionisti in assemblea generale ordinaria
nella sede di Piazza Strozzi a Firenze, città non ancora liberata, il 19 maggio
1944. Si approva l'Esercizio 1943 e il trasferimento, avvenuto sotto
l'incalzare della disfatta fascista, della sede legale da Roma a Firenze. Il
Presidente e numerosi consiglieri e sindaci revisori, di fronte al precipitare
degli eventi e timorosi delle loro personali
(continua)
[1] C.
GROPPI, C, Fabbrica amica, cit., pp. 15-16; G. GINORI CONTI, L’industria boracifera, in “AA.VV., I progressi dell’industria chimica
italiana nel I° decennio del regime fascista”, pp. 319-391, Tip. Ed.
Italia, Roma, 1932.
[2] A.
MAZZONI, I soffioni boraciferi toscani, cit., pp. 48-50.
[3] C.
GROPPI, Fabbrica
amica, cit., pg. 17.
[6] V. CASTRONOVO, (a cura) Storia dell'industria elettrica in Italia, 4. Dal dopoguerra alla
nazionalizzazione, 1945-1962, Laterza, Bari, 1996; A. MAZZONI, I soffioni boraciferi toscani, cit., p.
84.
[7] A.
MAZZONI, I soffioni boraciferi toscani, cit., p. 18.
[8] C.
GROPPI, Fabbrica
amica, cit., p. 17.
[9] LARDERELLO
S.A., Anno 1939, I° Esercizio.
Bilancio al 31 dicembre 1939, Cencetti, Firenze, 1940, pp. 10-11.
[10] C. GROPPI, Fabbrica
amica, cit., p. 19; A. MAZZONI, I
soffioni boraciferi toscani, cit., p. 103.
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