giovedì 13 giugno 2013









14 giugno 1944

Giorno della memoria dei 77 minatori di Niccioleta uccisi a Castelnuovo di Val di Cecina (PI); dei 6 uccisi la sera innanzi al Villaggio minerario di Niccioleta (Massa Marittima, GR) e dei 4 partigiani combattenti della “Piccola Banda di Ariano”, uccisi a Castelnuovo di Val di Cecina, poche ore prima dell’immane eccidio.

Niccioleta, per me, nato prima della seconda guerra mondiale a Castelnuovo di Val di Cecina, evoca giorni tragici, morte, vicende dolorose di vedove ed orfani, di genitori vecchi e soli, di supersiti alla deportazione tormentati dai ricordi, di superstiti esclusi dalla “conta della morte”, carichi di interrogativi: perché lui si ed io no?

Per lunghi anni il piccolo testo commemorativo di Emilio Zannerini è stato il mio unico riferimento sull’eccidio, insieme, naturalmente, al monumento eretto a Castelnuovo ed al sacrario sul luogo delle uccisioni, del quale, coordinati dal partigiano, ex minatore di Niccioleta, appartenente alla III Brigata Garibaldi, Banda Camicia Rossa, Mauro Tanzini, un gruppetto di volontari, tra cui Angiolino Rossi, Astenio Di Sacco, Niccolo Marconcini e mio padre, Renzo Groppi, sono stati per decenni i curatori.

Ma anche in casa se ne parlava poco. Era, sembrava, un massacro assurdo, alla vigilia della Liberazione (avvenuta il 24 giugno dello stesso anno), senza che nessuno avesse fatto qualcosa d’importante per evitarlo. La passività dei minatori, praticamente vittime sacrificali, l’assenza di una resistenza nella popolazione, la mancanza di interventi armati dei partigiani della due grandi Brigate operanti nell’area, la XXIII e la III Garibaldi…niente mine sotto i ponti, mitragliamenti alleati, non riuscivo a spiegarmelo.

Ed anche dopo, salvo la commemorazione il 14 giugno di ogni anno, la gente cercò di dimenticare tutto, in fretta. In fondo, del mio paese, non era morto nessuno quel giorno.

Stessa sorte per i quattro partigiani uccisi a Castelnuovo il 14 giugno 1944 a poche centinaia di metri di distanza dal luogo dove furono uccisi i 77 minatori:  per anni non abbiamo saputo chi fossero, e sulla loro tomba c’era scritto “Partigiano Ignoto”. Ancora oggi, sul luogo dell’uccisione c’è il cippo originario (accanto ad un totem moderno che rivela i loro nomi e azioni) che dice: “A mezzo giorno del 14 giugno 1944 la polizia nazifascista fucilava qui tre ignoti partigiani” (il quarto, il marchese Spinola, fu ucciso dal tenente Block nella cella di sicurezza della Caserma dei Reali Carabinieri del paese). Erano i componenti della “Piccola Banda di Ariano” al comando del marchese Gianluca Spinola, catturati dopo un sanguinoso scontro con un reparto corazzato di tedeschi nei pressi di Castel San Gimignano, trasferiti al Mastio di Volterra, e portati a Castelnuovo per essere fucilati.

La tenacia dei familiari dei minatori uccisi è stata sorprendente, ed anno dopo anno, prima la madri e le vedove coi figli, i padri, i fratelli e sorelle, poi i nipoti, ogni 14 giugno son venuti sul luogo dell’eccidio e al monumento commemorativo, accompagnati dai gonfaloni dei comuni di provenienza, da quelli di Pomarance, di Massa Marittima e di Castelnuovo, da quelli dell’ANPI e dei partiti politici antifascisti, tenendo accesa la fiammella della memoria. Una memoria senza odio, una memoria che fin dal giorno seguente l’uccisione s’è indirizzata solo a chiedere giustizia e a domandarsi: perché?

Una giustizia che praticamente non c’è stata, e non ci sarà mai più. Una domanda alla quale è stato parzialmente risposto grazie a recenti approfonditi studi di storici di livello nazionale e locale, tra i quali quelli della mia amica carissima Katia Taddei che ha saputo ridar voce non solo ai familiari dei minatori uccisi, ma a chi per decenni è vissuto nell’ombra, dovendo sostenere il peso immane della tragedia. Tuttavia molte altre ombre restano insondabili e la strage è stata praticamente confinata in una memoria locale, nonostante le dimensioni e il valore etico che essa trasmette: l’amore per il lavoro, quello durissimo del minatore, quello che permea il PRIMO ARTICOLO della Costituzione della nostra Repubblica! Come aveva ben compreso padre Ernesto Balducci, il lucido e sconsolato cantore dell’eroismo di quei minatori (molti erano suoi compagni di scuola),  le Alte Cariche dello Stato avevano sempre tradito quel sacrifico, si erano (e lo sono ancora) disinteressate di quel sangue che resta a fondamento di quell’Articolo 1, e mai hanno trovato UNA MEZZA GIORNATA (a spese dei cittadini) PER VENIRE QUASSU’ A CASTELNUOVO a rendergli il doveroso omaggio…

Personalmente sono sempre andato al Cippo ed al Vallino della morte, quasi che ci fosse un potente magnete che mi attirava. Infatti il monumento parla a chi sa ascoltarlo: Loca significo nomina declaro viventium futurorumque pietati sacrata hos digne colito quos hostis seve necavit, c’è scritto nel fregio, cioè:

Io indico il luogo
e rendo noti i nomi
consacrati alla pietà dei viventi
e dei posteri
Tu onora degnamente costoro
che il nemico crudelmente uccise


Io indico, Tu onora degnamente…questo ci dice il monumento! Onorare degnamente, rito antico che ci ha trasmesso nella storia e nel mito le pagine indelebili dei più alti valori dell’Umanità, validi per ogni luogo, all’infinito, facendo da motore propulsivo ad una memoria non mummificata, ma creativa verso le nuove generazioni. 

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