lunedì 9 aprile 2012





Pasqua

C’erano la stessa aria densa e calda di primavera,
la pigrizia del mattino e i petali perlacei dei ciliegi
che cadevano lenti nel piccolo giardino;

c’erano, ed ora non più, le note della fisarmonica
ammiccanti e tenere,
i sorrisi delle donne nelle  piccole
stanze di legno, odoranti d’antico;

c’erano gli occhi innocenti e civettuoli delle acerbe
compagne di scuola, nel vicinato raccolto,
nell’intreccio di voci amiche;

c’era nel petto un sommovimento profondo,
un tendere indefinito all’orizzonte
ancora  bianco di neve, un’ansia sconosciuta
nel primo risveglio d’amore, e l’attesa di lei;

lei, la grazia sempre nuova, leggera,
liquefatti smeraldi tra pagliuzze d’oro,
frutti acerbi ammiccanti in vaporosi ricami,
melodia delle sciolte campane
nell’incedere flessuoso;

altro non c’era, per me, in quel santo giorno,
in quella resurrezione misteriosa
che mi lasciava sbigottito.

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