venerdì 16 ottobre 2015

PLUTARCO, VITE PARALLELE, II°.

Anno 86. “…Gaio Mario fu dunque eletto console per la settima volta. Egli entrò in carica esattamente alle Calende di Gennaio, cioè all’inizio dell’anno, e fece gettare giù dalla rocca Tarpea un certo Sesto Lucino: il che parve un grandissimo segno dei mali che si sarebbero di nuovo abbattuti sui cittadini e sulla città di Roma. Ma Mario stesso, ormai, stremato dalle fatiche, sommerso, quasi, dalla piena delle ansie, e affranto, non poté più sorreggere l’animo suo, che tremò al pensiero di una nuova guerra e di fresche lotte, di paure terribili per chi ne aveva esperienza, e di travagli. Considerò che non lo minacciava un Ottavio né un Merula, generali di una folla sediziosa raccolta da ogni cantone; ma veniva contro di lui quel Silla, che l’aveva una volta cacciato dalla patria e ora aveva rinchiuso Mitridate nel Ponto Eusino. Lacerato da questi ragionamenti, e facendo passare davanti agli occhi il suo lungo vagabondare, le fughe, i pericoli che aveva corso quando era perseguitato per terra e per mare, cadde in disperazioni atroci; terrori notturni e sogni sconvolgenti lo assalirono: gli pareva continuamente di udire una voce che gli diceva:

Terribile è il covile, anche se lungi è il leone.

E poiché più di tutto temeva le notti insonni, si diede a bere e a ubriacarsi fuori tempo e più di quanto non tollerasse l’età sua, costruendosi il sonno come  rifugio dei suoi pensieri. Alla fine giunse qualcuno dal mare con notizie precise. Aggiungendosi così nuove paure, un po’ il timore che aveva del futuro, un po’ il peso e quasi il disgusto che provava del presente,  bastò un piccolo colpo per farlo cadere in una pleurite, come riferisce il filosofo Posidonio. Un certo Gaio Pisone, scrittore di storia, riferisce che Mario, mentre passeggiava con gli amici dopo pranzo, si mise a discorrere delle sue vicissitudini, incominciando dalle più lontane, e narrando le frequenti alternative che aveva subito, di bene e di male. E concluse che non avrebbe agito da uomo assennato fidandosi oltre della fortuna. Detto ciò, salutò i presenti; e si mise a letto per sette giorni consecutivi, quindi morì, diciassette giorni dopo essere entrato nel suo settimo consolato. Aveva l’età di settant’anni. Subito una grande gioia invase Roma, che confidò di essersi liberata di una dura tirannide. Ma non passarono che pochi giorni, e i Romani si accorsero di aver scambiato col vecchio un nuovo vigoroso padrone.



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