PLUTARCO, VITE
PARALLELE, II°.
Anno 86. “…Gaio Mario fu dunque
eletto console per la settima volta. Egli entrò in carica esattamente alle
Calende di Gennaio, cioè all’inizio dell’anno, e fece gettare giù dalla rocca
Tarpea un certo Sesto Lucino: il che parve un grandissimo segno dei mali che si
sarebbero di nuovo abbattuti sui cittadini e sulla città di Roma. Ma Mario
stesso, ormai, stremato dalle fatiche, sommerso, quasi, dalla piena delle
ansie, e affranto, non poté più sorreggere l’animo suo, che tremò al pensiero
di una nuova guerra e di fresche lotte, di paure terribili per chi ne aveva
esperienza, e di travagli. Considerò che non lo minacciava un Ottavio né un
Merula, generali di una folla sediziosa raccolta da ogni cantone; ma veniva
contro di lui quel Silla, che l’aveva una volta cacciato dalla patria e ora
aveva rinchiuso Mitridate nel Ponto Eusino. Lacerato da questi ragionamenti, e
facendo passare davanti agli occhi il suo lungo vagabondare, le fughe, i
pericoli che aveva corso quando era perseguitato per terra e per mare, cadde in
disperazioni atroci; terrori notturni e sogni sconvolgenti lo assalirono: gli
pareva continuamente di udire una voce che gli diceva:
Terribile è il covile, anche se
lungi è il leone.
E poiché più di tutto temeva le
notti insonni, si diede a bere e a ubriacarsi fuori tempo e più di quanto non
tollerasse l’età sua, costruendosi il sonno come rifugio dei suoi pensieri. Alla fine giunse
qualcuno dal mare con notizie precise. Aggiungendosi così nuove paure, un po’
il timore che aveva del futuro, un po’ il peso e quasi il disgusto che provava
del presente, bastò un piccolo colpo per
farlo cadere in una pleurite, come riferisce il filosofo Posidonio. Un certo
Gaio Pisone, scrittore di storia, riferisce che Mario, mentre passeggiava con
gli amici dopo pranzo, si mise a discorrere delle sue vicissitudini,
incominciando dalle più lontane, e narrando le frequenti alternative che aveva
subito, di bene e di male. E concluse che non avrebbe agito da uomo assennato
fidandosi oltre della fortuna. Detto ciò, salutò i presenti; e si mise a letto
per sette giorni consecutivi, quindi morì, diciassette giorni dopo essere
entrato nel suo settimo consolato. Aveva l’età di settant’anni. Subito una
grande gioia invase Roma, che confidò di essersi liberata di una dura
tirannide. Ma non passarono che pochi giorni, e i Romani si accorsero di aver
scambiato col vecchio un nuovo vigoroso padrone.
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