sabato 17 ottobre 2015

A questi, di cui pur siamo padroni,
facciam da servi; e benché siano muti,
ascoltarli dobbiam, ed ubbidirli.

E così, di pagina in pagina sono arrivato alla 685 del volume II° delle Vite Parallele di Plutarco, la Vita di Agide, primo re dei lacedemoni, che si snoda  intorno alla metà degli anni 200 a.C.  Le prime due pagine sono una lucida e amara riflessione sull’ambizione umana, sulla politica e sui politici. A più di due millenni di distanza queste riflessioni non perdono la loro “attualità”.

“Alcuni suppongono che la favola d’Issione (quello che invece di Era abbracciò la nuvola, procreando i Centauri) sia stata composta contro gli ambiziosi. E la supposizione non è affatto assurda né sciocca. Quando infatti si congiungono con la gloria, che della virtù è come un simulacro, gli ambiziosi non creano alcuna cosa genuina e legittima, ma molte mostruose e spurie, trascinati come sono or qua or là dalla violenza delle loro bramosie e passioni, al pari di quei mandriani di Sofocle che dicono dei loro armenti:

A questi, di cui pur siamo padroni,
facciam da servi; e benché siano muti,
ascoltarli dobbiam, ed ubbidirli.

E tale davvero è la condizione di quei politici che si muovono secondo i desideri e gli impulsi della folla: si fanno servi pedissequi per esser chiamati capi e governanti. Come infatti le vedette prodiere scorgono prima dei piloti ciò che sta innanzi, e tuttavia volgono lo sguardo verso i piloti per eseguire ciò che quelli comandano; così gli uomini politici che guardano alla gloria non sono che ciurma agli ordini di una moltitudine, anche se hanno nome di governanti.

L’uomo assolutamente e compiutamente buono, in verità, non ha bisogno affatto di gloria, o solo di quel tanto che gli apra la strada alle grandi imprese grazie al credito acquistato tra gli uomini. Ma all’uomo ancor giovane e desideroso di lodi si può anche concedere di compiacersi e  vantarsi un poco della gloria stessa, quando questa gli provenga da nobili azioni. Come infatti osserva Teofrasto, le virtù, che nel giovane germinano e sbocciano, trovano nelle lodi una garanzia di retto sviluppo, e nell’orgoglio una spinta alla maturazione. Ogni eccesso però è dannoso, e quello d’ambizione politica addirittura fatale: perché l’uomo assetato di potenza verrà in tanto furore, in follia così manifesta, da non stimare più che le azioni nobili siano gloriose,  ma che le gloriose siano nobili. Come dunque rispose Focione ad Antipatro, che gli chiedeva un favore poco onesto: “Non potrai avere in Focione, nello stesso tempo, un adulatore e un amico”; così, o press’a poco così, risponderemo alla moltitudine: “Non potrete avere lo stesso uomo come reggitore e come servo”.


Qui poi viene a taglio anche la favola della coda del serpente, che si ribellò alla testa e pretese di guidare a turno anche lei, anziché sempre seguire. Ma quando prese il comando, procedette così pazzamente, da finir male essa stessa e da lacerare la testa, costretta contro natura a seguire le parti cieche e sorde dell’organismo. Lo stesso vediamo capitare sovente in politica a quanti fanno di tutto pur di guadagnarsi il favore del pubblico: s’accodano alla folla, che si muove a casaccio, e poi non sono più in grado di ritirarsi né di arrestare il disordine”.

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