A questi, di cui pur
siamo padroni,
facciam da servi; e
benché siano muti,
ascoltarli dobbiam,
ed ubbidirli.
E così, di pagina in pagina sono
arrivato alla 685 del volume II° delle Vite Parallele di Plutarco, la Vita di Agide, primo re dei
lacedemoni, che si snoda intorno alla
metà degli anni 200 a .C. Le prime due pagine sono una lucida e amara
riflessione sull’ambizione umana, sulla politica e sui politici. A più di due
millenni di distanza queste riflessioni non perdono la loro “attualità”.
“Alcuni suppongono che la favola
d’Issione (quello che invece di Era abbracciò la nuvola, procreando i Centauri)
sia stata composta contro gli ambiziosi. E la supposizione non è affatto
assurda né sciocca. Quando infatti si congiungono con la gloria, che della virtù
è come un simulacro, gli ambiziosi non creano alcuna cosa genuina e legittima,
ma molte mostruose e spurie, trascinati come sono or qua or là dalla violenza
delle loro bramosie e passioni, al pari di quei mandriani di Sofocle che dicono
dei loro armenti:
A questi, di cui pur siamo padroni,
facciam da servi; e benché siano muti,
ascoltarli dobbiam, ed ubbidirli.
E tale davvero è la condizione di
quei politici che si muovono secondo i desideri e gli impulsi della folla: si
fanno servi pedissequi per esser chiamati capi e governanti. Come infatti le
vedette prodiere scorgono prima dei piloti ciò che sta innanzi, e tuttavia
volgono lo sguardo verso i piloti per eseguire ciò che quelli comandano; così
gli uomini politici che guardano alla gloria non sono che ciurma agli ordini di
una moltitudine, anche se hanno nome di governanti.
L’uomo assolutamente e
compiutamente buono, in verità, non ha bisogno affatto di gloria, o solo di
quel tanto che gli apra la strada alle grandi imprese grazie al credito
acquistato tra gli uomini. Ma all’uomo ancor giovane e desideroso di lodi si
può anche concedere di compiacersi e
vantarsi un poco della gloria stessa, quando questa gli provenga da
nobili azioni. Come infatti osserva Teofrasto, le virtù, che nel giovane
germinano e sbocciano, trovano nelle lodi una garanzia di retto sviluppo, e
nell’orgoglio una spinta alla maturazione. Ogni eccesso però è dannoso, e
quello d’ambizione politica addirittura fatale: perché l’uomo assetato di
potenza verrà in tanto furore, in follia così manifesta, da non stimare più che
le azioni nobili siano gloriose, ma che
le gloriose siano nobili. Come dunque rispose Focione ad Antipatro, che gli
chiedeva un favore poco onesto: “Non potrai avere in Focione, nello stesso
tempo, un adulatore e un amico”; così, o press’a poco così, risponderemo alla
moltitudine: “Non potrete avere lo stesso uomo come reggitore e come servo”.
Qui poi viene a taglio anche la
favola della coda del serpente, che si ribellò alla testa e pretese di guidare
a turno anche lei, anziché sempre seguire. Ma quando prese il comando,
procedette così pazzamente, da finir male essa stessa e da lacerare la testa,
costretta contro natura a seguire le parti cieche e sorde dell’organismo. Lo
stesso vediamo capitare sovente in politica a quanti fanno di tutto pur di
guadagnarsi il favore del pubblico: s’accodano alla folla, che si muove a
casaccio, e poi non sono più in grado di ritirarsi né di arrestare il disordine”.
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