martedì 20 ottobre 2015



In primo piano, dietro al piccolo campanile a vela della Chiesa del Borgo, c'è ancora, proprio senza alcuna modifica, la mia casa! Si scorgono, da destra a sinistra, tre finestre e l'apertura dell'abbaino che portava in soffitta. La prima è la finestra della camera dei nonni Dario e Enélida; la seconda è quella della cucina e la terza di una stanzina di "passo" che dalla cucina portava alla camera del mio babbo. E' da questa terza finestra che uscivo sul tetto della Chiesa, dove con tegole ed embrici avevo costruito un piccolo sedile, una specie di "trono", sul quale stavo molto tempo a guardare l'orizzonte ed a fantasticare! Si scorge infine sulla parete a destra, sopra il tettino basso coperto di neve, una finestrella: era quella della "stanza della legna" e del carbone, praticamente una stanza buia, ma molto utile.

Via del Borgo 26.

In Via del Borgo 26 non mancava
pena, né il silenzio, coi suonatori
che da una camera all’altra duellavano
con il quartino e la fisarmonica,
padre e figlio, mentr’io bambino aiutavo
la nonna a preparar la sobria cena.

Mancavano invece la mamma - e la sorella -
per brutti affari amorosi, si mormorava,
rei, entrambi i genitori; ma già
in cuor mio avevo scelto il babbo,
che m’aveva messo dolce il nome.

Carlo - mi disse una volta -
vuol dire uomo libero, così
speravo che tu fossi, quando
sconfitta la nera dittatura
avremmo allontanato la paura.

Venne la guerra, non ci portò lutti,
la vita riprese stenta, ma ardente
di passione, anche se, rimasti in tre,
chiuso del nonno il banchetto
del calzolaio, la miseria ci sfiorava.

Naturalmente
ero un bambino intelligente, pur
avendo ripetuto la prima elementare;
la maestra diceva sempre:
<Renzo, fallo studiare>!

Diceva bene, però già lo sapevo,
il futuro, per me, d’alloro non era
una corona, era il lavoro.

Il lavoro! S’ha un bel dire,
aveva le gambe lunghe,
e noi comunisti non eravam
sicuri di poterlo avere,
col ritorno delle cappe nere.

Quando la malinconia
m’assaliva – anche se al lavoro
non davo allora importanza –
il babbo mi rassicurava:

<Andremo in giro per il mondo,
tra la gente, io con la fisarmonica
e tu con la gabbietta del pappagallino, 
leggendo la fortuna alle ragazze
e dando il terno al lotto,
per un ventino…diventeremo
ricchi senza rischiar niente
né cambiar bandiera!>

Questo lui mi diceva e a lui credevo,

come mai più ho creduto nella vita.

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