sabato 14 gennaio 2017



 Il libro con il ritratto di don Giovanni Verità


Itinerario di Garibaldi in Romagna.


Il capitano "Leggero".


Don Giovanni Verità, nel 1849.

Garibaldi.

Castelnuovo di Val di Cecina, il mio paese, ha un rapporto speciale con Giuseppe Garibaldi. Quando le scuole elementari erano situate all’interno del Municipio, tutti noi bambini leggevamo le tre lapidi marmoree a ricordo del Risorgimento, murate nell’ingresso, proprio dove si aprivano due delle classi. Io vi feci la III ubicata alla sinistra e la V ubicata di fronte sul lato destro. Una nel 1947 e l’altra nel 1949. La lapide che parlava di Garibaldi era abbastanza misteriosa:  attraversò il nostro borgo di notte, proveniente da San Dalmazio, e presso il cimitero vecchio di San Rocco, cambiò il barroccio tirato da un cavallo, per sfuggire alla polizia granducale, cioè ai soldati austriaci, chiamati in soccorso dai Lorena. Garibaldi proseguì per il Bivio di Monterotondo e poi fece sosta alle Malenotti,  presso Massa Marittima, nella casa del patriota  Guelfi, per arrivare l’indomani a Calamartina, a sud di Follonica, dove trovò la barca che lo avrebbe portato in Liguria. Ma benché non fosse scritto da nessuna parte, a noi bambini i vecchi ci avevano raccontato che Garibaldi attraversò Castelnuovo, presidiato dai soldati austriaci, nascosto dentro una botte da vino, per destar meno sospetto! Questo particolare eccitava molto le nostre fantasie.
Era l’estate del 1849 e la storia ci narra che la difesa della Repubblica Romana proclamata da Mazzini e sostenuta da Garibaldi s’era fatta impossibile per la soverchia forza dei soldati francesi accorsi il 3 luglio a sostenere il Papa e lo Stato della Chiesa. Sperando di poter continuare la lotta nelle campagne Garibaldi uscìda Roma con 3000 uomini. Aveva con sé Anita, che era corsa a raggiungerlo in Roma. Quattro eserciti insidiavano la colonna, ma Garibaldi riuscì ad evitarli. I volontari poco abituati a questo tipo di guerriglia si stancarono e cominciarono a disertare. La méta di Garibaldi era Venezia che ancora resisteva. Attraverso il Lazio, la Toscana e la Romagna giunse a S.Marino. Ma ormai i volontari erano stremati e ridotti di numero. Perciò egli li lasciò liberi di allontanarsi alla spicciolata. Con pochi seguaci e con Anita ammalata, passando attraverso le scolte austriache, arrivò fino a Cesenatico, si imbarcò, ma inseguito dovette tornare a terra. Alcuni patrioti del luogo lo condussero a una fattoria nei pressi di Ravenna, dove Anita morì. Nonostante il grande dolore e abbattimento, con l’aiuto di una catena di suoi sostenitori, molti umili popolani, Garibaldi riuscirà a raggiungere la Toscana e dalla Toscana gli Stati Sardi. 
Di questa avventurosa fuga conosciamo la seconda parte, quella che inizia dal Mulino delle Cerbaie, nella Valle del Bisenzio e terminerà a Calamartina, sul mar Tirreno. Una marcia pericolosa che ripercorreremo cronologicamente: il 27 agosto, ore 23, Garibaldi, inseguito dalle truppe di quattro eserciti, dopo aver attraversato la Romagna e gran parte della Toscana, arriva alla Locanda della Burraia di Pomarance e qui trova ad attenderlo il vetturino Vittore Landi detto "zizzo", che lo conduce al Bagno a Morbo, con una lettera di presentazione di Antonio Martini di Prato. E' ricercato per condanna a morte dopo la dolorosa vicenda delle lotte scatenate a Roma in difesa della Repubblica Romana. Girolamo Martini, Ministro del Bagno, e sua moglie Ester Pallini, accolgono con simpatia Garibaldi e il capitano Leggero e riconoscendoli il Martini gli dice la frase rimasta famosa: "Coraggio Generale, tutto si rimedia !" Mentre i due fuggiaschi prendevano un pò di riposo, il Martini si consigliò con Michele Bicocchi di S.Ippolito e specialmente col dottor Camillo Serafini di S.Dalmazio, il quale si dichiarò subito pronto ad accoglierli nella sua casa, mettendo a repentaglio la propria vita. Il 28 agosto alle ore 9 della sera i due ricercati escono dal Bagno a Morbo e accompagnati dal Serafini si recano a S.Dalmazio, dove rimarranno per quattro giorni suoi ospiti. Ecco la descrizione che ne fa il dr. Angelo Guelfi, patriota, già capitano della guardia nazionale di Scarlino e vigilato dal governo granducale, che si trovava al Bagno a Morbo ospite della famiglia Bruscolini di Castelnuovo : "28 agosto, ore 9 pomeridiane. Uscirono i profughi inosservati dal Bagno a Morbo e accompagnati dal Martini raggiunsero il barroccino che era a breve distanza dalla casa sulla via pubblica, nel luogo ove da questa si stacca il piccolo braccio stradale del Morbo. Armati dal Serafini, sempre previdente, di fucili da caccia, salirono i due nel barroccino insieme a lui, che colla sua abituale velocità fece in breve tempo i pochi chilometri di strada provinciale e si fermò nel luogo detto Croce del Bulera. Quivi cessava la strada rotabile e lasciato il legno presso alcuni suoi parenti continuarono a piedi fino al paese. La strada principale del paesello era deserta e così poterono arrivare prima della mezzanotte inosservati alla casa del Serafini".  Nella casa di S.Dalmazio si studiò nei particolari il programma per farli giungere alla costa maremmana e farli salpare da Cala Martina per Porto Venere, nello Stato Sardo. Quando tutto fu disposto, anche nei minimi particolari, alle ore 21 del primo settembre Garibaldi, Leggero e Serafini si recano a piedi e silenziosi alla Croce della Pieve, presso l'Apparita, ove sono i cavalli già pronti. A trotto serrato prendono la strada di Castelnuovo ove arrivano nella notte. Qui, presso il vecchio camposanto, era ad attenderli Girolamo Martini il quale era partito in calesse dal Bagno al Morbo armato di due fucili a due canne e dicendo che andava in Maremma alla caccia delle quaglie. Garibaldi e Leggero salirono sul legno del Martini proseguendo nella fuga. Presa la strada Massetana il viaggio proseguì fino al podere Le Malenotti presso Massa Marittima, ove giunsero poco dopo la mezzanotte. Da qui, dopo essersi rifocillati e armati con l'aiuto di cittadini massetani, scarlinesi e follonichesi, tra i quali il patriota Guelfi di Scarlino, ripresero la strada  e alle ore  10 del 2 settembre 1849 salirono sulla barca all'uopo predisposta nei pressi di Cala Martina dal follonichese Giccamo e salparono diretti verso l'Isola d'Elba ove avevano un punto d'appoggio e poi verso la Liguria a Porto Venere nello Stato Sardo.

Di questa impresa nulla sapevamo, se non qualche rigo appreso dai testi scolastici, delle avventure e del tragitto di Garibaldi da Roma a Comacchio e successivamente dell’attraversamento degli Appennini fino a Mugello ed al Mulino delle Cerbaie.  Finalmente ho trovato da una libreria antiquaria di Libri e Stampe di Lucca, la  DARIS srl,  un interessantissimo volume stampato a Firenze nel 1942 da Marzocco, dedicato alla biografia di un eroico prete, Don Giovanni Verità, garibaldino. Il libro scritto da Piero Zama,  di 352 pagine con 16 illustrazioni ft.  era per oltre metà intonso ed in buone condizioni di conservazione, per la modica spesa di 20 € per l’acquisto. Don Giovanni Verità (Modigliana 1807-1885) aiutò moltissimi cospiratori combattenti per l’Unità d’Italia, recuperandoli grazie a finte battute di caccia nelle foreste intorno a Modigliana, divenuta punto di riferimento per i patrioti inseguiti dalle guardie del Papa, in quanto in zona di confine tra lo Stato Pontificio ed il Granducato di Toscana. Il sacerdote aiutò la fuga di Garibaldi e del suo luogotenente capitano Giovanni Battista Culiolo (soprannominato “Leggero”), inseguiti dagli austriaci. La notte del 21 agosto li incontrò sul Monte Trebbio e poi li nascose in casa propria a Modigliana fino a condurli oltre confine e consegnarli ad altri coraggiosi seguaci di Garibaldi in Toscana, che infine lo avrebbero  portato all’imbarco sul mar Tirreno. Dunque questo libro, si collega idealmente e cronologicamente all’altro del Guelfi che si intitola “Dal Mulino delle Cerbaie a Calamartina”, raccontando dal “vivo” una pagina di storia poco conosciuta che riesce ancora ad avvincere il nostro cuore e la nostra fantasia.

1 commento:

  1. Storia meravigliosa che dovrebbe ispirare anche a noi contemporanei i nobili sentimenti dei patrioti risorgimentali che protessero il Generale Garibaldi nella sua più drammatica e dolorosa avventura. Se gli austriacanti lo avessero catturato la Storia del nostro paese sarebbe stata stravolta.

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