lunedì 15 settembre 2014



Oggetti smarriti? Ci metto un punto interrogativo.

“Una volta ho scritto di un principe che ha abbandonato tutti i suoi averi per trovare se stesso, ritirandosi in un capanno a vivere solo con i suoi sogni. Il principe alla fine arrivò alla dolorosa consapevolezza che senza gli oggetti, il mondo e la propria vita sono entrambi privi di significato. A quanto pare non è possibile scoprire il segreto degli oggetti senza avere avuto il cuore spezzato. Dobbiamo umilmente sottometterci a questa definitiva, segreta verità”.

Ho dedicato quasi tutta la mia vita a raccogliere “oggetti” e memoria e lo possono dimostrare alcuni lavori:

Sono nato nel vicolo del Serrappuccio, diario, 1938-1964 (CDN Pieve S. Stefano).
Racconti dell’età fiorita (inedito).
Canto ciò che si perde, poesie (inedito).
Viandante nella memoria, 2011.

Infine mi sono incontrato, se pur indirettamente, con le opere dello scrittore turco,  Orhan Pamuk.
Con il romanzo L’età dell’innocenza.
E con Il Museo dell’innocenza di Istanbul. Un vero e proprio trattato sugli “oggetti”.

Pamuk teorizza l’innocenza e la bellezza degli “oggetti” in undici punti, dei quali due mi hanno particolarmente colpito, per la verità e la fattibilità.

Il  9°) -  Se gli oggetti non sono privati del loro ambiente e delle loro strade, ma vengono sistemati con cura e ingegno nelle loro case naturali, racconteranno da sé le proprie storie.

E l’11°) - Il futuro dei musei è dentro le nostre case.

Le “case della memoria” realizzate in Europa negli ultimi venti anni, insieme ai piccoli musei della civiltà contadina o industriale, a quelli della moda e del costume, della caccia e dello sport, della fotografia e film d’amatore, dei santini, dei giocattoli, delle bambole…, rispondono bene a questi due comandamenti.

Altra cosa è invece la stratificazione sociale di provenienza degli oggetti. I più dei quali non riconducibili ad uno o pochi proprietari, ma raccolti su un territorio ampio, da anonimi. Mentre si passa da un museo territoriale, nel quale gli oggetti sono appartenuti generalmente al popolo minuto – sostanzialmente povero – delle città, dei borghi, paesi e campagne,  ad un museo “personale”, si ascende alla classe “dominante”, peraltro ristretta e non rappresentativa, se non per un segmento, della rappresentazione della vita. E’ in questa classe sociale che possiamo oggi trovare piccoli musei, generalmente legati alla vita creativa e quotidiana di artisti famosi, imprenditori, capi di stato e capitalisti.

Molti degli oggetti e delle memorie sono raggruppati per tema: ad esempio quello diaristico, sonoro, fotografico, della Resistenza, Liberazione, Foibe, della Shoah ecc. ecc.; altri sono nelle case dove hanno vissuto personalità illustri: Pirandello, Proust, Hugo, Leonardo da Vinci, Antonidias, Anna Frank, Edith Piaf, Balzac, Bourdelle, S. Caterina, Zadkine, Palazzo Viti, ecc. ecc. e raccontano storie personali e familiari.

Essendo la mia famiglia di origine abbastanza povera, e senza proprietà, in più precocemente divisa e dispersa, nulla dei fragili oggetti d’uso comune è stato conservato, ma gettato nell’immondizia ad ogni trasloco da ciascuna delle sette case in affitto e sostituito da prodotti  “moderni” ed anonimi, di basso costo. L’unica possibilità di mantenere una “memoria” è stata affidata pertanto alla economica “scrittura”, fogli di carta usuale, lapis copiativo, una penna con pennino a torre o lancia, una bottiglietta d’inchiostro blù. Successivamente alla invenzione del signor Bìro, un ungherese, le penne a sfera BIC hanno quasi del tutto soppiantato le penne ad inchiostro, comprese le stilografiche, fino all’attuale prevalenza della scrittura elettronica.

Due anni fa, mentre stavo leggendo il romanzo di Pamuk “L’età dell’innocenza” mi resi conto che anch’io, senza conoscerlo e a distanza di migliaia di chilometri, stavo lavorando, inconsapevolmente, da più di sessanta anni, ad un progetto simile che avevo chiamato “L’età fiorita”. Vi avevo virtualmente e materialmente collocato senza alcuna classificazione ed ordine, in cassetti, bauli, armadi, cantine, e stanze della mia casa, le poesie (a partire dalla prima che scrissi all’età di quattordici anni), le foto bianco e nero (a partire dai quindici) e, dopo, il diario dei primi venticinque anni, i racconti, gli oggetti della quotidianità e le immagini delle ragazze amate. Successivamente, e con la stessa innocenza, stupore e amore per la vita, son venuti  gli oggetti e i ricordi del lavoro, dell’impegno politico e sindacale, dei gatti e dei cani, degli amici, dei figli e nipoti; nonché le perdite delle persone care ed anche  una vena di malinconia cantando “ciò che si perde”. Ora ho il libro-catalogo di Orhan Pamuk “L’innocenza degli oggetti. Il museo dell’innocenza, Istanbul”, pubblicato da Einaudi nel 2012, e lo sto leggendo con emozione. Non trovo altre parole per suscitare curiosità se non quelle dell’ultima di copertina: “…Orhan Pamuk ha fatto ciò che sembrava esclusiva dei maghi delle fiabe o del Genio delle Mille e una notte. Ha preso ciò che esisteva tra le pagine del suo ultimo romanzo, Il Museo dell’innocenza, e l’ha trasformato in qualcosa di materiale, di fisico, uno spazio da esplorare con tutti i nostri sensi: ha costruito il Museo dell’innocenza. Un luogo unico al mondo, un tesoro nel cuore incantato di Istanbul,: la celebrazione dell’amore, della memoria, del potere dell’immaginazione di plasmare la realtà”.
   

I piccoli reperti che prendono la polvere nella mia casa, ed anche quelli riposti non so’ bene dove, e, soprattutto, quelli che hanno alimentato la mia creatività, e che ogni tanto riscopro con emozione, nonché quelli che di tanto in tanto acquisto nei mercatini delle pulci e dai miei amici collezionisti della Valdera, sono in gran parte il combustibile per la tarda immaginaria poesia. Il futuro dei musei è dentro le nostre case e nella nostra immaginazione! 

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