PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI.
CAP. 50.
68. Ricordo di Enrico Bulletti[1]
Padre Enrico, al secolo Quirino Bulletti, figlio di
Lorenzo e Silvia Canocchi, nacque a S. Donato in Poggio, presso Tavarnelle Val
di Pesa, nel Chianti fiorentino, il 30 marzo 1883. I genitori, mezzadri,
originari di San Giusto in Salcio, poco dopo la nascita del bambino tornarono
al loro antico paese, nella vecchia dimora presso Radda, non lontana dal
Convento francescano di S. Maria in Prato. Qui il ragazzo crebbe e fu educato.
Compiuto il ginnasio nel Collegio Giaccherino presso Pistoia, vestì l’abito dei
frati minori a S. Cerbone (Lucca) il 5 agosto 1898 e vi professò lo steso
giorno dell’anno seguente. Studiò filosofia nei Conventi di Signa e San Vivaldo
e teologia all’Osservanza di Siena, dove il 23 settembre dell’anno 1904 emise
la professione solenne. Fu ordinato sacerdote a Livorno il giorno 8 ottobre
1905. Sue prime dimore furono i conventi di S. Leone Magno e Borgo Pinti a
Firenze e l’Osservanza a Siena. Vi lavorò nell’apostolato ordinario e vi attese
specialmente agli studi privati, frequentando persone erudite ed ambienti
culturali stimolanti. A questo scopo riuscì anche ad alternare i vari passaggi
con temporanee, ma lunghe residenze a Roma, dove abitava nel Convento di San
Bartolomeo all’Isola Tiberina.
Quivi, senza presunzione di titoli
accademici, si formò scientificamente in Archeologia Cristiana e Storia
Ecclesiastica Francescana, al contatto dei più insigni maestri del tempo. La
buona volontà, l’iniziativa personale, lo spirito di ricerca, completarono la
sua formazione culturale che si estese anche alla Storia dell’Arte,
all’Antiquariato, alla Paleografia ed alle lingue straniere.
D’ingegno vivace, di larga erudizione,
fine sensibilità, si rivelò subito nei primi saggi bibliografici che diede e
che richiamarono su di lui l’attenzione di non pochi studiosi. Qualche
contrasto iniziale con i superiori fu superato da buoni incoraggiamenti ed egli
continuò a studiare quando fu dirottato in alcuni conventi periferici, tra cui,
per tre anni, al Bosco ai Frati nel Mugello. Soddisfatte come poteva le
esigenze della vita comune e del suo ministero,il tempo libero lo dedicava allo
studio, alle ricerche d’archivio e alla produzione storica. Scopi a cui diresse
anche i frequenti viaggi a Roma, nei centri toscani e nelle regioni limitrofe.
Dal 1915 al 1918 fu al fronte di guerra
come semplice soldato. Appena congedato ritornò al Bosco dei Frati, dove per
due anni si dedicò ad una fattiva e zelante opera di bene per il miglioramento
economico e morale della popolazione mugellana. Qualche insuccesso, il
risentimento di alcuni personaggi paesani, sfruttati abilmente dai suoi
avversari, le delusioni patite ed infine qualche provvedimento preso a suo
carico, gli dimostrarono che egli, nonostante la buona volontà, non era fatto
per iniziative politico-sociali e lo convinsero a tornare agli studi.
Dimorò in vari conventi continuando
l’attività culturale che ebbe il suo massimo tra il 1928 ed il 1943, quando
tornò ad abitare presso l’Osservanza di Siena, convento e città che egli amò
più di ogni altro ambiente religioso. In Siena si conquistò finalmente larghe
aderenze in ogni ceto sociale, specialmente dopo il 1936, quando fu promosso
Cappellano priore della Misericordia, distinguendosi per carità e operosità, a
favore di privati e di Istituti cittadini.
Fu in questo periodo che mise mano
all’opera che più i ogni altra lo avrebbe reso famoso: la vita e l’opera di San
Bernardino. Entrò a far parte dell’Accademia degli Intronati e della
Commissione vescovile d’arte sacra. Fondò il “Bullettino di Studi
Bernardiniani” e cominciò la pubblicazione critica delle “opere latine” e delle
“prediche volgari” di San Bernardino. Collaborò inoltre al giornale vaticano
“L’Osservatore Romano” dove profuse e divulgò in agili articoli la sua cultura
di aneddotica senese e storia francescana, riferendosi particolarmente alla
figura di San Bernardino.
Dimorava ancora presso il Cimitero
della Misericordia di Siena allorché il 20 novembre 1943 fu arrestato dai
fascisti repubblichini, a lui sempre avversi, come cospiratore politico e
tradotto con altri in carcere, prima a Siena e poi a Firenze. Il grave
provvedimento aveva motivi fondati nell’adesione diretta e fattiva, data da Padre
Bulletti, al movimento partigiano ed alla lotta di Liberazione, con l’aiuto non
sempre prudente, prestato da lui ad esponenti militari e politici della
Resistenza toscana.
Restò in carcere diversi mesi e
attraversò momenti veramente difficili, fino a rasentare la pena capitale. In
seguito alla sua notorietà culturale e all’interessamento della gerarchia
ecclesiastica fu improvvisamente rimesso in libertà vigilata e obbligato alla
residenza nel Convento di Ognissanti.
Nella primavera del 1944, recuperate le forze fisiche,
fu destinato nel romito Convento di Radicondoli in Valdicecina, dove egli visse
di apostolato anche parrocchiale, specialmente nei villaggi di Anqua e di
Fosini, di studio, di lavoro anche materiale e di opere benefiche, gli ultimi
anni della sua vita. Resse alternativamente e per vario tempo quelle piccole
comunità religiose e fu largo di ospitalità per tutti.
Pur
restando quasi sempre a Radicondoli riprese i suoi studi e le sue ricerche in
varie parti della Toscana. Ancora sano e fisicamente prestante, com’era sempre
stato, non si preoccupava dei molti anni trascorsi e del cuore che andava
stancandosi. Continuava a studiare e lavorare per le inevitabili esigenze della
vita e per ultimare alcuni scritti in preparazione da tempo. Morì all’alba del
29 ottobre 1960, improvvisamente, assistito dalla figlia del custode del
Convento di Radicondoli.
Al
cordoglio del mondo culturale si unì quello della popolazione di Radicondoli e
dei paesi vicini, memore dei benefici ricevuti. Le Autorità comunali gli
riconobbero titoli di benemerenza civica e, decretandogli una degna sepoltura,
stabilirono di intitolargli una strada pubblica e riunire in volume i suoi
scritti di carattere locale.
Per il desiderio di vivere marginalmente, che egli aveva
sempre dimostrato, e per la sua ostinata volontà di stare lontano da ambizioni
e responsabilità, non ricoprì e non cercò mai uffici di rilievo; lieto di poter
vivere tranquillamente, concordando lodevolmente le mansioni sacerdotali e i
doveri monastici con lo studio e le altre forme di attività culturale, senza
troppo dinamismo o preoccupazioni organizzative.
Non
aveva la taglia dello storico, né tentò mai sintesi generali di ampio respiro.
Ma come scrittore ebbe uno stile piano, sciolto e linguisticamente corretto. Purtroppo
manca a tutt’oggi una raccolta sistematica dei suoi scritti, specialmente di
carattere minore e locale, che a noi maggiormente interessano, che padre
Bulletti pubblicò per decenni su quotidiani e periodici toscani. E sarebbe
veramente il tempo, in questo periodo di ripresa degli studi antropologici,
raccogliere pagine sparse di indubbio valore, anche per rendere a questa
limpida figura di ricercatore e di studioso un doveroso omaggio, l’omaggio di
una terra semplice che egli amò e dalla quale fu riamato e che accoglie le sue
spoglie sulla ventosa collina, all’ombra di una pieve medievale, la cui gente,
con semplicità, ancora oggi manifesta per lui un profondo affetto.
[1] La scheda è tratta da una
biografia di p. Bulletti, sf., sd., con interpolazioni e integrazioni di cg.
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