59. L’Enel e la coltivazionedel bacino
geotermico[1] di Travale-Radicondoli
(1978) (Siamo costretti a non poter pubblicare tabelle e diagrammi).
1) Dai primi tentativi di sfruttamento all’Enel
Anche se ci sono pervenute poche notizie si ha ragione
di ritenere che le manifestazioni
termali dell’area di Travale-Radicondoli fossero già conosciute nell’antichità
da etruschi e romani, e dal latino “lacunae” deriva il moderno nome di “lagoni[2]” che
compare nel medioevo, nome che, con l’aggiunta di “boraciferi”, è giunto fino a
noi.
Dal 1400 furono estratte nelle vicinanze di due lagoni
presso Travale, delle concrezioni boriche note come “vetriolo turchino o di
Cipri[3]”,
come testimonia Vannuccio Biringucci nella sua famosa opera “Pirotecnia”; ma,
comunque, lo sfruttamento industriale si rivelò limitato causa la scarsa
concentrazione di boro nelle acque di quei lagoni. Fu la scoperta dell’acido
borico, avvenuta nel 1777 per merito del chimico tedesco Uberto Francesco
Hoefer (direttore delle Spezierie del Granducato di Toscana), a destare nuovo
interesse per queste manifestazioni geotermiche: infatti due anni dopo, nel
1779, il grande naturalista ed anatomico senese, Paolo Mascagni, estese le
ricerche dell’acido borico anche ai lagoni del travalese. Sempre il Mascagni,
nel medesimo anno, propose un metodo per l’estrazione industriale del “sal
sedativo” (ossia dell’acido borico) disciolto nelle acque dei lagoni. La
realizzazione dell’impianto progettato dal Mascagni fu tentata nel volterrano
dal 1815 al 1818 con risultati deludenti.
Dopo la messa a punto da parte di Francesco Larderel
del processo industriale per la produzione dell’acido borico, fu costituita nel
1860 la “Società Travalese” per lo sfruttamento dei lagoni. Furono eseguite
delle perforazioni ed ottenuti così dei discreti soffioni per cui furono
costruite della caldaie di evaporazione; ma, nonostante ciò, la produzione si
mantenne molto limitata e la manodopera occupata non supero mai le poche unità.
La fabbrica passò successivamente ai signori Coppi e Toscanelli e gli eredi la
gestirono fino al 1916, anno in cui venne rilevata dalla “Società Boracifera”
di Larderello, che con tale acquisto ultimò la sua impresa monopolistica,
venendo quindi in possesso di tutti i lagoni e soffioni noti e suscettibili di
sfruttamento industriale.
Anche a Travale venne esplorato il sottosuolo con
nuove perforazioni che spingendosi fino al “serbatoio carbonatico[4]”
(peraltro quasi affiorante in superficie) ottennero dei soddisfacenti
risultati, tanto che la Società progettò l’installazione di un
turbo-alternatore da poche centinaia di HP. Successivamente questo progetto fu
sospeso per il perdurare della prima guerra mondiale: infatti in quegli anni,
per l’urgente bisogno di energia elettrica, fu intensificata la ricerca nelle
aree già note, dove si potevano ottenere con maggior successo, dei soffioni più
potenti.
Nel 1942 erano produttivi, nella zona di Travale, tre
piccoli sondaggi che erogavano complessivamente circa 25 tn/h di vapore e 70
tn/h di acqua. Le temperature dei fluidi però non erano elevate (125-150°C) e
con il passar del tempo la quantità di acqua tendeva ad aumentare
progressivamente, tanto che il vapore erogato si trasformò in una miscela di
acqua e vapore.
Nel 1949 la “Larderello SpA” perforò nel “campo
geotermico” di Travale un pozzo profondo 362 metri che risultò produttivo con
38 tn/h di vapore e 30 tn/h di acqua. Tale successo spinse la Società ad
intensificare notevolmente la ricerca di vapore, ma l’area esplorata risultava
ancora circoscritta ad una piccola zona intorno alle antiche manifestazioni
naturali.
Dal 1949 al 1955 furono perforati 17 pozzi (per un
totale di metri 3720), di cui 9 si rivelarono produttivi con circa 154 tn/h di
vapore alla pressione media di 3,2 atmosfere e con una erogazione intermittente
di notevoli quantità di acque calde.
Questi positivi risultati portarono all’installazione,
nel 1951, di un piccolo gruppo generatore a scarico libero[5] da
3,5 Mw. Questo gruppo ha sempre funzionato, sia pure in certi periodi a regime
ridotto per la mancanza di vapore e con un consumo specifico molto alto, fino
al 1961. La mancanza di vapore, insieme
all’abbassamento della temperatura e della pressione del fluido ed il
progressivo aumento dell’acqua trascinata (60-70 tn/h), furono le cause della
sospensione dell’esercizio del gruppo.
Gli alti vertici della “Larderello SpA” decisero la
fermata della Centrale di Travale affrontando il problema nell’ottica delle
ristrette conoscenze geotettoniche relative alla parte esplorata del bacino
geotermico di Travale e non tenendo invece conto della tettonica[6] di
area vasta, assai più complessa.
Per chiarezza riportiamo le deduzioni conclusive che
furono formulate, sul campo geotermico di Travale, dai tecnici della
“Larderello SpA”:
a)
Nella zona ad W,
SW e S, immediatamente a ridosso dei sondaggi, affiorano (con circa 2 Km/q di
superficie), i calcari mesozoici della “serie toscana”. Queste rocce immergono
verso NE la zona dei sondaggi, costituendo così il bacino geotermico. Analisi
isotopiche[7]
permettono di affermare che l’acqua piovana alimenta il sistema idrico del
campo infiltrandosi nel sottosuolo attraverso i calcari permeabili, in quantità
maggiore del deflusso operato dai sondaggi.
b)
Con l’estrazione
del vapore attraverso i sondaggi aumenta la circolazione delle acque nei
calcari portando così ad una maggiore dissoluzione dei carbonati e solfati con
notevole incremento delle incrostazioni nelle tubazioni dei pozzi.
c)
La consistente
circolazione di acque “vadose”[8]
porta, invadendo le modeste depressioni appena formate a seguito della
fuoriuscita del vapore, al raffreddamento ed allo spegnimento di tutto il
campo.
d)
Il fenomeno
termico, sia come temperature, sia come pressioni, appare in ordine di
grandezza notevolmente inferiore a quello di Larderello.
Furono
quindi formulate alcune ipotesi per il ripristino del campo:
1) Pompare all’esterno masse enormi di acqua, anche con
la costruzione di una galleria sotterranea fino al fiume Cecina;
2) Chiudere i pozzi rilevando i dati della pressione e
temperatura;
3) Utilizzare i fluidi a bassa entalpia con nuove
tecniche di sfruttamento.
Era ovvio che per il momento nessuna delle tre ipotesi
sarebbe stata realizzata. La caUsa di fondo dell’abbandono fu, praticamente,
l’imminente nazionalizzazione. Infatti la “Larderello SpA” non intendeva più
investire nuovi capitali in ricerche, dai risultati incerti, e comunque non
immediatamente produttivi in termini di recupero economico.
Il 12 giugno 1962 è sancita infine la
conclusione dell’esperienza produttiva del “campo geotermico di Travale”.
Queste motivazioni tecniche e
scientifiche, formulate dalla “Larderello SpA”, ben si confacevano alla “non
volontà” (riporteremo questa parola tante volte) dell’Enel, subentrato
successivamente, di operare scelte coraggiose per la ricerca di fonti
integrative al petrolio. Questo assenteismo porterà ad un ritardo non ancora
colmato di oltre dieci anni, che ha provocato immensi sprechi produttivi ed ha
favorito, nel contempo, la disgregazione economica e sociale di una vasta zona
che, potenzialmente ricca, ha visto compiersi in questi anni una emigrazione di
massa mai verificatasi prima in tali proporzioni.
2. Nove anni perduti
Nonostante il continuo impegno e la denuncia delle
forze politiche e sociali, per lunghi anni il bacino di Travale fu abbandonato,
ne è testimonianza non solo la mancata formulazione di un programma di ricerca,
ma la disdetta di alcuni “permessi di ricerca” già in precedenza ottenuti.
Nel 1969 i pozzi ancora in esercizio erogavano circa
23 tn/h di vapore a 2,5 ata e 125 °C, con una quantità di acqua di circa 50
tn/h fuoriuscente in gran parte dal pozzo n. 21. In quest’anno furono ripuliti
dalle incrostazioni cinque pozzi e fu riottenuta una produzione di circa 80
tn/h di vapore ad una pressione bassissima. Anche la portata dell’acqua ritornò
al valore di circa 120 tn/h.
Il 16 gennaio 1970 si svolse presso la Direzione Studi
e Ricerche dell’Enel (Dsr) di Roma, una importante riunione alla quale
parteciparono il Compartimento Enel di Firenze, la Dsr, il Cnr. Fu esaminato lo
stato della collaborazione, nel settore geotermico, tra l’Enel, il Cnr e
l’Istituto Internazionale di Ricerche Geotermiche (IIRG, con sede a Pisa),
sorto in questi anni come emanazione del Cnr stesso. In questa riunione fu
inoltre affrontato il problema dei programmi di ricerca energetica ed alla fine
fu concordato che la zona geotermica a nord-nord est di Travale non era di
“interesse per il Compartimento di Firenze”. Questa decisione fu presa
dall’Enel nonostante che fossero stati ripuliti i cinque pozzi di Travale ed
eseguiti alcuni lavori di ricerca, tra cui una prospezione geoelettrica[9],
nuove misure chimiche e fisiche dei fluidi e, soprattutto, ultimati dieci
pozzetti geotermici, che rilevarono una notevole anomalia termica appunto nella
zona a N-NE del vecchio campo di Travale.
Alle iniziative delle Direzioni locali e dei tecnici,
in parte sensibili alle pressioni esercitate dalle forze sociali e politiche,
si contrapponeva nuovamente la negativa visione dell’Enel sull’energia
geotermica.
Il Simposio sull’energia geotermica organizzato dalle
Nazioni Unite nel settembre-ottobre 1970 a Pisa e Larderello, mise allo
scoperto i limiti dell’iniziativa italiana, tanto che Felice Ippolito, affermò
in un saggio: “…fu altresì chiaro a Pisa che la tecnologia geotermica degli Usa
stava diventando la più avanzata, mentre quella italiana era ormai la più
arretrata e non solo in termini quantitativi, ma perché il campo di Larderello
era stato trattato da anni come unico al mondo, quale specie di un singolare
mostro del quale soltanto i suoi unici custodi potevano parlare”.
Nel dicembre dello stesso anno, alcuni ricercatori pubblicarono
un interessante “rapporto” sulle possibilità produttive del vecchio campo di
Travale. In tale “rapporto”, sulla base dei dati disponibili, si riteneva utile
esplorare con una perforazione “allo scopo di eliminare ogni dubbio sulla
produttività dell’intera area”, la nuova zona di anomalia termica individuata a
2-3 Km. dal vecchio campo e che non sembrava preclUsa alla produzione di
vapore.
Probabilmente questi ricercatori, alcuni dei quali
dipendenti Enel, erano a conoscenza della mancata volontà politica dei massimi
vertici dell’Ente elettrico ed erano quindi consapevoli di presentare una
situazione che, essendo suscettibile di insuccesso, poteva ritorcersi contro di
loro. Da questa condizione di dipendenza nascono “certi silenzi ed ambiguità”, contenuti
nel “rapporto”. Nell’Enel non si credeva assolutamente alla geotermia e i nove
anni di gestione assenteista lo stanno a dimostrare.
Questa situazione è sufficientemente denunciata e
riassunta in un documento del sindacato Fidae-Cgil di Larderello, pubblicato
nel 1973, in cui si affermava: “…nel 1962 venne definitivamente abbandonato il
bacino di Travale, ove era in funzione una piccola centrale geotermoelettrica,
per condizioni sfavorevoli delle componenti termodinamiche del fluido e perché
si riteneva questo bacino circoscritto all’area delle attuali manifestazioni
naturali e pertanto sufficientemente esplorate per ricavarne la certezza di un
impossibile sviluppo a fini produttivi. Veniva quindi disdetto il Permesso di
ricerca “Rancia-Montalcinello”, che copriva la zona. Per chiudere
definitivamente l’argomento iniziava in collaborazione con il Cnr di Pisa uno
studio dei risultati delle precedenti perforazioni che, con l’ulteriore apporto
dei risultati di prospezioni geoelettriche, metteva però in evidenza
l’esistenza di una zona interessante nella direttrice nord, verso Radicondoli e
Montalcinello. Anche per mettere a tacere le insistenti voci critiche delle
Amministrazioni Comunali, delle Organizzazioni sindacali, dei partiti politici
e di “qualche tecnico dissidente”, veniva eseguito il sondaggio “Travale 22”,
quello che, nella mente degli scettici, doveva definitivamente chiudere il
discorso sulla zona, del resto abbandonata a se stessa da circa dieci anni…”.
3) Il “soffione della speranza”
Con il “Travale 22”, esploso il 7 gennaio 1972, si
aprì veramente un capitolo nuovo nella geotermia e, soprattutto, rinacquero le
speranze per la zona di Radicondoli-Montieri-Chiusdino, e la fiducia della
speranza nell’energia del sottosuolo. Il “Travale 22” venne subito battezzato
il “Soffione della speranza” e sui cartelli di una manifestazione organizzata
dal Pci con una marcia da Castelnuovo a
Larderello (fu la prima volta che le bandiere rosse entravano nel grandioso
cinema teatro aduso ai fasti ed agli spettacoli della “Larderello SpA” e
dell’Enel), si poteva leggere una significativa frase rivolta alle gerarchie
dell’Enel: “Travale vi smentisce!” Ma gli ostacoli, le difficoltà, le non
volontà, non erano stati definitivamente battuti. Gli avversari della
geotermia, dentro e fuori l’Enel, continuavano a dirigere, a determinare le
scelte produttive e politiche della nazione. Gli effetti li vedremo analizzando
il periodo 1972-1977.
L’esplosione del grande soffione (il più potente mai
esploso nel mondo con oltre 300 tn/h di vapore) non solo richiamò migliaia di
curiosi nella sperduta vallata a sud di Montalcinello (SI), ma accese una
vivace disputa tra i vari Enti operanti nella ricerca geotermica, ognuno dei
quali rivendicava il maggior merito della scoperta. Anche la Direzione del
Compartimento Enel di Firenze fu investita in pieno dall’inatteso successo e, a
parte certe malignità messe in giro in quei giorni della primavera 1972
(“vedrete che porterà acqua”, “è troppo vicino al vecchio campo, si sgonfierà”),
sembrò non comprendere pienamente l’importanza di tale ritrovamento. Quindi,
nonostante il “Travale 22” l’Enel continuò anche nella nuova area la vecchia
politica deleteria del “vivere alla giornata”, con esasperata lentezza, senza
un programma a medio e lungo termine, forse cullando la segreta illusione che
il tempo avrebbe alla fine dimostrato che, in fondo, anche il “Travale 22”
altro non era se non un passeggero fenomeno, un accumulo di vapore che si sarebbe
rapidamente sgonfiato. Gli effetti delle pericolose implicazioni di questa
linea politica si dovevano registrare poco dopo, come vedremo.
A tale proposito è significativo riportare parte di un
articolo pubblicato sulla rivista regionale della Fidae-Cgil nel gennaio 1974
in cui si analizza sinteticamente la situazione, denunciando limiti e pericoli
per la parte produttiva messa in esercizio: “…nel gennaio del 1972 la notizia
del ritrovamento di un potentissimo soffione nel campo geotermico di
Travale-Radicondoli, il più forte del mondo, apparve sulla stampa
internazionale. Si mosse anche la televisione ed alcuni dirigenti dell’Enel
tennero una conferenza stampa, ognuno rivendicando le ragioni di quel successo,
anche se è noto che fino al momento dell’esplosione nessuno ci credeva, anzi si
affermava che questo sondaggio doveva chiudere per sempre il discorso su
Travale, abbandonato allo sfacelo da quasi dieci anni, per arrivare fino alla
fatidica dichiarazione “questo foro non ci voleva!”
Dalla Valdicecina, zona depressa per mancanza di
investimenti specialmente da parte delle aziende di Stato e a partecipazione
statale, per un pauroso spopolamento delle campagne, per infrastrutture in una
condizione disastrosa (viabilità), insieme alla soddisfazione di chi aveva
sempre creduto possibile il ritrovamento di grandi quantità di vapore e aveva
impostato su questo obiettivo forti battaglie, si levò la speranza che dietro
questo grande successo l’Enel si ponesse seriamente il problema, di fronte ad
una crisi energetica che si andava aggravando di giorno in giorno, della
ricerca e dello sfruttamento di questo nuovo bacino geotermico nell’area di Radicondoli-Travale.
Ma ancora una volta questa speranza doveva essere delusa:
le forze coperte e scoperte che perseguono l’emarginazione dell’energia
geotermoelettrica erano entrate in azione. Si sarebbe dovuto subito
intraprendere un programma di ricerca che prevedesse, oltre al rilevamento
geologico di superficie, diverse prospezioni geofisiche e un sufficiente numero
di sondaggi profondi per il reperimento di altro fluido, mentre, inoltre, si
sarebbe dovuto avviare il rapido sfruttamento di quello già reperito. Invece si
è andati avanti “alla carlona”, programmando un sondaggio alla volta, quasi a
caso, con il risultato che dopo due anni erano stati perforati solo altri due
sondaggi, purtroppo improduttivi. Nella zona fu dislocato un solo impianto di
perforazione. I ritardi nel programmare i nuovi sondaggi hanno causato tempi
morti tra la fine di un pozzo e l’inizio del successivo. Basti pensare che sono
stati perduti 15 mesi di lavoro su un totale di 24 (il 60% del tempo
disponibile) con un costo valutabile a circa 300 milioni di lire.
Inoltre lo sfruttamento del vapore reperito avveniva
in modo avventuroso; infatti si dirottava a Travale un gruppo da 15 Mw
progettato per un’altra centrale. Questo gruppo, dopo l’effettuazione di
migliaia di ore di lavoro straordinario per la sua messa a punto, e grazie
all’impegno profuso dai lavoratori di Larderello, entrava in servizio
nell’agosto del 1973. Ma subito si manifestarono grosse carenze tecniche, anche
per conflitti di competenza, nella progettazione delle tubazioni di adduzione
del vapore, in quanto non resistevano alle sollecitazioni della grande massa
del fluido endogeno trasportato. C’è poi da considerare che l’ubicazione della
centrale su terreno instabile desta oggi grave preoccupazione. Infatti, sembra
addirittura che il basamento su cui poggia la turbina sia fratturato e c’é il
rischio di veder andare tutto in rovina, con le conseguenze che ognuno può
immaginare.
Queste responsabilità discendono dall’annoso abbandono
dell’Enel nei confronti dell’energia geotermica ed è sintomatico registrare
l’impressionante dequalificazione tecnica, specialmente dei livelli direttivi.
Basti pensare che a Larderello, su un organico di 1250 dipendenti esistono solo
4 ingegneri. Si lavora soltanto per il “mantenimento”. Si riducono gli impianti
di perforazione, si favorisce la diminuzione del personale non rimpiazzando
adeguatamente e tempestivamente i dipendenti che per effetto delle note leggi
stanno andando in pensione, non si apportano migliorie alle centrali, né alle
importanti officine di manutenzione.
4) Nonostante la crisi energetica ancora degli anni
perduti
Mentre nazioni con risorse energetiche superiori
a quelle dell’Italia investono grosse cifre nella ricerca e nello sfruttamento
delle “forze endogene”, l’Enel si ostina a distruggere quelle stesse risorse
che la natura ci ha così generosamente messo a disposizione e dalle quali è
possibile produrre energia pulita a costi competitivi.
Le perforazione nel “nuovo campo di
Travale”, in 56 mesi (dal 15 ottobre 1972 al 1 giugno 1977) sono state soltanto
13, di cui 8 produttive, mentre le altre 5 sono risultate negative, anche per
incidenti tecnici durante la perforazione. I metri perforati sono stati circa
15.000, con una profondità media dei pozzi di circa 1150 metri.
Da questi dati appare subito evidente
l’esiguo numero delle perforazioni, in quanto nel suddetto periodo potevano
essere eseguiti almeno 30 pozzi in tutto il “campo” e non soltanto attorno al
“Travale 22”. Bisogna inoltre ricordare che degli 8 sondaggi produttivi 2 vanno
a “pescare” nelle immediate vicinanze del “Travale 22” e i rimanenti sono
comunque compresi entro un raggio di 1.200 metri. In definitiva, dopo sei anni
dal “Travale 22”, non è ancora conosciuta né la presunta potenzialità
produttiva del bacino geotermico, né la sua estensione geografica; inoltre non
è stato ancora misurato e valutato tutto il vapore reperito.
La mancanza di questi dati ci fa ben
capire quale sia la volontà dell’Enel: essi sono indispensabili alla
progettazione di impianti per la produzione di energia elettrica, che
altrimenti potrebbero essere costruiti con gravi difetti tecnici, e l’Enel non
si è preoccupato né dei dati né, tantomeno, dei progetti.
I rilievi per determinare le caratteristiche del pozzo
“Travale 22” furono eseguiti nel settembre 1972 e dettero i seguenti risultati:
pressione massima di chiusura = 54 ata; portata massima del fluido = 370 tn/h.;
temperatura del fluido alla boccapozzo = 250 °C; rapporto gas/vapore[10] =
11%. Dalla fine di agosto 1973, con il vapore proveniente dal pozzo, si è
iniziato a produrre energia elettrica alimentando un gruppo da 15 Mw a
contropressione, da 11 ata, 190 tn/h. Date le caratteristiche di questa
turbina, destinata ad altra centrale, si è dovuto “laminare[11]” il
vapore, facendolo confluire solo in parte al gruppo utilizzatore. Nel primo
anno di funzionamento si è verificato un decremento energetico naturale del
pozzo e si è notato che la curva del decremento si sta sensibilmente riducendo.
Nell’ottobre 1974 l’Enel preparò un piano per
l’utilizzazione del “Travale 22” nel quale si dimostrava la convenienza tecnica
ed economica a costruire una nuova centrale a condensazione[12] che
allora si prevedeva di far entrare in funzione all’inizio del 1978. Era
prevista la trasformazione da unità a scarico libero ad unità di condensazione,
di potenza maggiore (25 Mw), che avrebbe consentito un miglior sfruttamento del
“Travale 22” e del “Radicondoli 4”.
Si affermava chiaramente che il costo dell’energia
geotermoelettrica, a parte di ogni altra considerazione politica, era
decisamente inferiore a quella termoelettrica di circa 10 lire per Kwh prodotto
e che questa differenza, anziché diminuire, sarebbe aumentata in futuro dati i
costi sempre più alti dell’olio combustibile. Ma probabilmente, e lo sta a
dimostrare la vicenda dei gruppi da 15 Mw e 8,5 Mw, tante volte promessi e mai
ordinati o ordinati solo in parte, e con estremo ritardo, i dirigenti dell’Enel
continuavano a pensarla in ben altro modo.
La politica geotermoelettrica dell’Enel si è
caratterizzata, in questi anni, per:
-
la non tempestiva
e razionale utilizzazione dei grandi ritrovamenti di vapore del “nuovo campo di
Travale” e di quello di Monterotondo Marittimo;
-
il rallentamento
della ricerca geotermica;
-
l’abbandono, fin dal
lontano 1969, della ricerca operativa nell’area del Monte Amiata;
-
l’aver installato
quasi esclusivamente centrali a “scarico libero”, che hanno, come è noto, un
consumo molto più elevato di quelle a “condensa” e producono effetti inquinanti
assai importanti.
5)
Il “soffione della speranza” ha rischiato di morire
Nel luglio 1975 avvenne un fatto assai
importante che determinò la mobilitazione dei lavoratori, delle popolazioni
della “Regioni Boracifera”, delle Amministrazioni locali, Provinciali e della Regione
Toscana, e ebbe una grande eco anche a livello di opinione pubblica regionale e
nazionale a seguito di numerosi articoli apparsi sulla stampa: un “volantino”
redatto dalle Organizzazioni sindacali di Larderello denunciava la grave
compromissione del pozzo “Travale 22” a seguito di errori tecnici compiuti
dall’Enel nell’utilizzazione del sondaggio e dava ragione alla profetica
denuncia pubblicata l’anno precedente sul periodico regionale della Fidae-Cgil.
La
notizia colpiva in primo luogo la coscienza della gente: perché il “Soffione
della speranza” rischiava di morire? Chi era l’assassino?
Ovviamente
non c’era un responsabile diretto, le responsabilità erano molteplici, ma
soprattutto individuabili in una mentalità arretrata, ostile alla geotermia,
nell’immobilismo antico che guidava la politica dell’Enel, nella
dequalificazione scientifica dei livelli più alti, impegnati da sempre nella
conquista del potere e delle poltrone, oltre, naturalmente, in cause tecniche
oggettive e in parte imprevedibili.
La
polemica che ne seguì fu salutare e da quel momento la Direzione del
Compartimento Enel di Firenze seppe che non le erano più concessi margini
dilatori sulla geotermia. Il pozzo “Travale 22” era ormai un “sorvegliato
speciale”, nessuno avrebbe potuto impunemente permettersi di ucciderlo. Furono
quindi adottate complesse e costose misure per il ripristino del soffione e
dopo alcuni insuccessi iniziali dovuti a troppa faciloneria, furono perforati
due nuovi pozzi a profilo deviato (“Travale 23/D”, “Radicondoli 8”) che
andavano a “pescare” vapore nella stessa “frattura” del “Travale 22”. In poco
meno di un anno il sondaggio fu completamente ripristinato.
I dati della successiva tabella sono,
naturalmente, abbastanza approssimativi ed inoltre suscettibili di continue
variazioni poiché le portate del fluido non ancora stabilizzate. Manca inoltre
una conferma ufficiale dell’Enel, anche a seguito di una più accurata e
sistematica, misurazione.
6) Gli altri soffioni
L’Enel,
nel nuovo “campo di Travale”, come già ricordato, dal 15 ottobre 1972 al 1
giugno 1977, ha realizzato soltanto 13 sondaggi, di cui solo 8 sono risultati
produttivi. I pozzi “Travale 22”, “Radicondoli 8”, “Travale 23/D”, possono
essere considerati, per i motivi sopra detti, come un unico pozzo in quanto
alimentati dalla medesima “frattura”. Il pozzo “Radicondoli 4” eroga invece una
grande quantità di gas (CO2) e viene utilizzato, dal marzo 1976, separatamente,
con un piccolo gruppo da 3 Mw a scarico
libero. Il “Radicondoli 9” è distante dal “Travale 22” di circa 300 metri e
quindi ancora nelle immediate vicinanze della zona altamente produttiva. Assai
più interessanti risultano essere i pozzi “Radicondoli 5” e “Radicondoli 6” sui
quali ci soffermeremo. Il pozzo “Radicondoli 5” è ubicato a nord del “vecchio
campo di Travale”, in una zona intermedia tra lo stesso e il “Travale 22” (a
700 metri da quest’ultimo).
Il sondaggio esplose alla profondità di 950 metri il
19 gennaio 1976 con una notevole portata di acqua e vapore. Si pensò che anche
questo pozzo avesse le caratteristiche negative dei vecchi “Travale 21” e
“Travale 20”, eroganti contemporaneamente vapore e grandi quantità di acqua, e
praticamente mai utilizzati. Dopo otto giorni dall’esplosione il pozzo aveva
perso la maggior parte dell’acqua trascinata, passando da una portata di 30
tn/h a 0,1 tn/h. Anche le caratteristiche fisiche del pozzo risultarono
successivamente assai diverse da quelle degli altri pozzi inutilizzati: infatti
la portata era di 98 tn/h. di miscela acqua-vapore a 225 °C di temperatura, con
una quantità di gas pari all’8%. Per valutare le analogie con gli altri pozzi
del “vecchio campo” fu studiata la composizione chimica delle acque e le analisi
dettero risultanze diverse.
Il pozzo “Radicondoli 6”, ubicato a 1250 metri ad W
del pozzo “Travale 22”, è esploso il 4 febbraio 1977 con una portata di 150
tn/h., una pressione di 5 ata e una temperatura di circa 140 °C. L’esplosione
di questo pozzo non ha modificato le caratteristiche di quelli esplosi in
precedenza, tranne un lieve iniziale abbassamento di pressione del vicino “Radicondoli
5”. Una nota della Fidae-Cgil di Larderello, immediatamente successiva al
ritrovamento, affermava: “…anche se non è possibile in questo momento formulare
un giudizio più approfondito, rileviamo che il nuovo successo conferma quanto
sostenuto nelle rivendicazioni delle Organizzazioni sindacali e delle altre
forze politiche ed Enti locali, cioè un potenziale energetico di grandi
prospettive per lo sviluppo di questi Comprensori, che però si ritarda a
ricercare e mettere in produzione. Si tratta ora di rimboccarsi le maniche per
recuperare il tempo perduto e sarà questo il modo nel quale l’Enel potrà
dimostrare che i suoi ripetuti discorsi sullo sviluppo della geotermia non sono
soltanto aria fritta”.
Il sondaggio realizzato immediatamente a NE del
“vecchio campo di Travale”, sull’horst[13] del
basamento filladico-quarzitico[14], e
denominato “Radicondoli 7” è esploso il 1 giugno 1977, alla profondità di circa
800 metri. La pressione di chiusura è di 22 ata. In produzione, alla pressione
di 2,5 ata, fuoriescono 110 mc/h di acqua a 118 °C ed alcune decine di tn/h di
fluido saturo.
7) Le centrali geotermoelettriche
La mancanza dei dati riguardanti la reale potenzialità
produttiva dei soffioni ritrovati nel “nuovo campo di Travale”, come già ricordato,
lascia in sospeso il dimensionamento della nuova centrale a condensazione da
costruire, con sistema modulare[15], nel
Comune di Radicondoli, in Località “La Canonica”.
Tuttavia questa misura, pur importante, non è da
ritenersi decisiva. E’ da pensare infatti che nuove grandi quantità di vapore
saranno reperite man mano che le ricerche e le perforazioni si estenderanno
alle aree limitrofe e a quelle intermedie tra i campi geotermici della
tradizionale zona boracifera, cioè ad una superficie di oltre 400 Km/q.
Pertanto è indispensabile avviare prontamente i lavori di costruzione di questa
prima centrale a condensazione, calcolandola in modo tale da permettere lo
sfruttamento di tutto il fluido disponibile nelle sue prossimità.
E’ chiaro che una centrale di questo tipo avrà un
rendimento assai maggiore di quella a contropressione in funzione attualmente.
Infatti oggi occorrono circa 14 Kg/h. di vapore per produrre 1 Kwh di energia
elettrica, mentre nel caso di centrale a condensazione il consumo specifico è
di circa 8 Kg/h per 1 Kwh.
Una sommaria analisi dei costi di installazione porta
il valore unitario per Kw. di potenza installata a lire 230.000, cioè molto al
di sotto di tutti gli altri costi per produzione di energia elettrica. Il costo
del Kwh prodotto con l’energia geotermica (ricerca+esercizio), escludendo
quello di distribuzione, è di circa 11 lire, un costo largamente competitivo.
Queste cifre danno la dimensione del breve periodo di ammortamento e recupero
dei capitali investiti per la costruzione di una centrale modulare di media
potenza quale quella che dovrebbe inizialmente sorgere in questa zona,
valutando che la producibilità annua, secondo una stima Enel, è attualmente di
oltre 400 milioni di Kwh.
L’investimento di nuovi capitali per l’ammodernamento
e in alcuni casi per la ricostruzione, deve essere uno dei principali obiettivi
da raggiungere. Non esistono dubbi che l’Enel abbia lasciato deperire anche gli
impianti per la produzione di energia elettrica, infatti la tabella che
pubblichiamo dimostra non solo la situazione di stallo, ma il mancato progresso
tecnologico. E’ infatti da notare che, per le centrali della zona boracifera di
Larderello, ad un aumento della potenza installata corrisponde una sensibile
riduzione della “potenza netta disponibile”, con un consumo medio estremamente
alto (10,7 contro gli 8 Kgh/Kwh ottimali).
Va notato inoltre che nel 1975 erano in funzione 11
gruppi a scarico libero, con un consumo medio (spreco) di 20 Kgh/Kwh. Da queste
brevi considerazioni s’intuisce l’esigenza di costringere l’Enel ad operare una
corretta ristrutturazione delle centrali in esercizio ed alla sostituzione dei
gruppi a scarico atmosferico, perché altrimenti non solo non saranno impiegate
nuove maestranze locali, ma verrà messo in discussione il posto di lavoro in
quelle attualmente presidiate.
Se di fronte al fabbisogno energetico crescente si
continuerà a “buttare al vento” la metà del vapore ritrovato e non si aumenterà
la “potenza installata”, il settore geotermoelettrico continuerà inesorabilmente
a regredire sempre più rapidamente.
Altro effetto positivo della sostituzione delle
centrali a scarico libero si avrebbe sulle condizioni dell’ambiente di lavoro e
sui processi inquinanti dell’ambiente esterno. Infatti la centrale “Travale 22”
ha il primato, se così si può definire, del disagio termico per effetto
combinato della temperatura elevata e della scarsa umidità relativa. Questa
situazione ambientale, al limite della sopportabilità umana, è anche favorita
dalla struttura metallica e dal rivestimento in lamiera ondulata della centrale
stessa.
L’esperienza ci ha inoltre dimostrato che
l’allargamento delle aree produttive e quindi la necessità di dover provvedere
al trasporto del vapore verso gli impianti utilizzatori (centrali) da sempra
maggiori distanze, comporta una perdita di potenza causa il degrado delle
componenti termodinamiche dei fluidi geotermici. Questo ulteriore importante
elemento, fino ad oggi non pienamente valutato, sconsiglia la costruzione di
grandi centrali tipo “Centrale Larderello 2”, “Centrale Larderello 3” e di
quella di Castelnuovo V.C., oggi in parte inutilizzate. Infatti le centrali 2 e
3 di Larderello hanno diminuito la produzione del 33% dal 1965 al 1976 e nello
stesso arco di tempo hanno prodotto al 57% della loro potenzialità.
I ritardi dell’Enel nella geotermia ostacolano la
definizione di programmi precisi e
innestandosi su precarie situazioni socio-economiche di area, consentono
richieste non puntualmente rapportabili a reali situazioni tecniche. Occorre quindi,
in primo luogo, superare questi ritardi, avere programmi a medio termine sia
per quanto attiene le ricerche, sia per l’utilizzazione del fluido reperito.
Allo stato attuale, considerando le differenti pressioni dei pozzi e quindi il
diverso grado di utilizzabilità in apposite turbine, è ipotizzabile una
centrale di 60-63 Mw di potenza, a condensazione autonoma, dalla quale
dovrebbero essere telecomandati in futuro i successivi impianti ubicati
nell’area Travale-Radicondoli e nelle zone più periferiche dell’area
senese-grossetana.
8) Alcune considerazioni socio-economiche
Esaminando alcuni dati demografici relativi agli anni
1951-1971 ed a quelli dell’aprile 1977 pubblicati a margine dello studio Cgil
sui comprensori, si può constatare il grave impoverimento subito da questa
zona. Infatti la popolazione residente nel Comune di Radicondoli era nel 1951
di 3227 abitanti, nel 1971 di 1320 e nel 1977 di 1314 abitanti, con una
diminuzione del 59%. Nel Comune di Montieri gli abitanti scendono da 4664 a
2574 (- 46%). Questa tendenza, e in alcuni casi in tali proporzioni, è simile
ad altri Comprensori montani e collinari ed anche ai Comuni della Valdicecina a
seguito della crisi dell’agricoltura e della mancanza di infrastrutture,
settori terziari, industrie.
Ma nei Comuni con una base produttiva più sviluppata
(Volterra, Pomarance, Castelnuovo V.C.) il decremento è più limitato. Con 10
ab/Kmq il comprensorio di Radicondoli è decisamente il meno popolato fra tutti
quelli geotermici. Inoltre, nell’ambito della popolazione residente, l’indice
di vecchiaia è passato dal 14,9% del 1961 al 21,5% del 1971, significando ciò
che con l’emigrazione forzosa della popolazione
è stato negativamente alterato anche l’equilibrio demografico.
Non si è verificata alcuna riconversione: la fuga
dalla terra con il crollo della mezzadria si è tradotta in un movimento
migratorio verso le aree più sviluppate dell’hinterland senese. Infatti a Radicondoli,
nel 1951, la popolazione occupata risultava così suddivisa: 81% agricoltura,
9,5% industria, 9,5% varie. Nel 1971, mentre gli occupati nell’agricoltura
risultavano quasi dimezzati (48%), l’incremento dell’industria era solo
dell’8,6%. A Montieri si aveva addirittura decremento, sia negli occupati in
agricoltura (- 20,1%), sia nell’industria (- 9,2%).
Negli altri Comuni, pur in presenza di una grave
crisi, si verificano invece incrementi nell’occupazione industriale. Sarebbe
comunque molto interessante svolgere una analisi approfondita su altri parametri
socio-economici di questi comuni che forse farebbero risaltare meglio il grado
di impoverimento e di degradazione raggiunto (rapporto popolazione
occupata/attiva sul totale dei residenti, indice di presenza di ultra
sessantenni, indice di natalità, reditto pro-capite), non solo in confronto al
loro recente passato, ma in confronto ad altri vicini dell’area geotermica. Per
cui la zona dell’Alta Val d’Elsa e Cecina, inutilizzando le proprie risorse,
subisce l’attrazione dei due poli di sviluppo ad essa limitrofi: Larderello
(nel pisano) e Colle di Val d’Elsa-Poggibonsi (nella bassa Val d’Elsa senese).
Ciò determina una lacerazione nel tessuto socio-economico che ghettizzando una
parte della popolazione, influisce negativamente sulle tensioni sociali.
Possiamo di sfuggita rilevare che la suddivisione del
territorio toscano nei 22 comprensori, mantiene nella zona interessata dalla
geotermia la frammentazione tuttora esistente. Infatti i comuni geotermici sono
divisi nei comprensori n. 15 (Pomarance-Castelnuovo V.C), n. 13 (Radicondoli),
n. 17 (Chiusdino), n. 16 Montieri-Monterotondo Marittimo). Ciò non favorisce
certamente un coordinamento politico amministrativo quale è invece necessario
determinare anche mediante forme “consortili”.
9) Nuove ricerche geotermiche
I programmi già predisposti dall’Enel
per il 1977-1978 prevedono la perforazione di 5 sondaggi per un totale di circa
11.000 metri. Tra i sondaggi previsti c’è il pozzo “Radicondoli 11” a
inclinazione deviata verso il “Radicondoli 1” che, come abbiamo detto, non
risultò produttivo caUsa un rifrano delle pareti del pozzo. E’ programmato
anche un sondaggio nella zona di Anqua che si presenta assai interessante e
potrà fornire notizie utili sulla zona intermedia Travale- Castelnuovo V.C. Da
ricordare che in questa zona intermedia sono già stati perforati alcuni
sondaggi, di cui uno, il pozzo “Sesta 1” esploso nel 1969 con una notevole
portata di gas (CO2 = 210 tn/h), con una pressione di 4,80 ata, alla
temperatura di 80 °C, è rimasto fino ad oggi completamente inutilizzato e solo
da poco tempo sono in corso analisi ed esperimenti. Anche il pozzo “Elci 1”,
perforato nel 1961 in una zona intermedia tra Anqua e Travale, pur non
risultando produttivo, rivelò una notevole termalità con 129 °C alla profondità
di 1100 metri.
Non è più pensabile che l’Enel impieghi
in quest’area, così vasta e promettente, soltanto un impianto di perforazione.
E’ pertanto necessario che si estenda l’area indiziata e si impieghino
costantemente due o tre sonde atte a raggiungere anche profondità considerevoli
onde arrivare a stabilire a tempi brevi il dimensionamento del campo
geotermico.
E’ altresì necessario che il Ministero dell’Industria
sblocchi l’autorizzazione per i nuovi “Permessi di Ricerca” richiesti dall’Enel,
nel più breve tempo possibile. Il grave ritardo accumulato dall’Enel nel
richiedere tali permessi non può giustificarne uno ancora maggiore ed
altrettanto assurdo.
Allo stato attuale le aree dove si possono eseguire
perforazioni sono limitate alle “concessioni perpetue”[16]
“Travale”, “Monte Gabbro” (comprendenti le aree del vecchio campo di Travale e
quella intorno al “Travale 22”), al Permesso di Ricerca “Montalcinello”, che
scadrà nel 1978, al Permesso di Ricerca “Anqua-Solaio” (scaduto nel novembre
1976 ed in corso di rinnovamento), mentre a N, E, S-E, si trovano le grandi
aree dei Permessi di Ricerca ancora in sospeso: “Radicondoli”, “Castelletto”
“Bagnaia”, “Monticano”, “Torniella”, sulle quali dovrebbero estendersi le
ricerche geotermiche per avere un quadro globale delle risorse.
10) Vecchio campo di Travale
Il vecchio campo di Travale, pur
essendo ormai da diversi anni abbandonato, eroga consistenti quantità di acque
calde e vapore. I vecchi pozzi di Travale rappresentano una cospicua sorgente
di energia che rimane a disperdersi, determinando uno spreco considerevole,
tanto che oggi, più che nel passato, la situazione economica del Paese è
decisamente peggiorata. Questi fluidi geotermici possono essere sfruttati,
oltre che per la produzione di energia elettrica con apposite turbine, in “usi
diversificati”, agricoli e industriali.
Nel più breve tempo possibile dovrà
essere formulato un programma al quale saranno particolarmente interessati
l’Ente Regione, l’Enel con le sue strutture (Compartimento di Firenze,
Dsr/Crg), il Cnr, le Università ed altri soggetti pubblici, partendo da un
coordinamento che eviti dispersioni e faccia compiere un reale passo in avanti
a questo settore.
A tale proposito non sarà nemmeno da
respingere la compartecipazione alle scelte produttive, nell’uso diversificato
della geotermia e sempre all’interno delle linee di programmazione regionale, e
quindi con il controllo dell’Ente pubblico, dell’iniziativa privata, la quale
potrebbe apportare capitali e iniziativa imprenditoriale.
11) Le acque termali
“L’uso alternativo non elettrico” dei fluidi
geotermici non riguarda soltanto le acque fuoriuscenti dai pozzi, ma anche
quelle delle sorgenti termali calde.
Numerose sono in Provincia di Siena e
di Grosseto le sorgenti termali calde, alcune delle quali ben note e sfruttate
per le loro caratteristiche terapeutiche, altre, e sono la maggioranza,
abbandonate o inutilizzate.
Alcune di queste sorgenti per la loro
temperatura e portata, possono trovare un adeguato impiego in quelli che sono
gli usi alternativi della geotermia, come, ad esempio, quelle di San Casciano
dei Bagni, di cui è titolare della Concessione l’Ente Locale.
Accanto a questi settori non elettrici,
occorre rilanciare e potenziare il termalismo terapeutico tenendo conto della “Riforma
sanitaria” e della richiesta sempre più diffUsa da parte dei lavoratori, di una
medicina preventiva e riabilitativa, disinquinante dell’organismo.
Con il passaggio delle competenze sulle acque termali
alle Regioni, questo settore può finalmente svilupparsi. L’Enel, inoltre, ha
concesso alla Regione Toscana l’utilizzo delle acque calde fuoriuscenti da
quattro pozzi, permettendo così all’Ente pubblico un primo intervento
sperimentale che ci auguriamo proficuo, nonostante i cattivi presupposti. L’utilizzo
pieno e razionale delle acque calde potrebbe consentire sbocchi occupazionali
diretti nei settori agricolo-industriale.
12) Rocce calde secche
Le nuove concezioni e le nuove tecnologie che interessano
la ricerca e lo sfruttamento del calore terrestre stanno passando dalla fase
teorica alla fase pratica. Modelli analogici di produzione sono stati studiati
per zone a vulcanesimo attivo e per zone con gradiente geotermico normale, come
la Valle Padana. Non sarà del tutto improbabile riconsiderare in questa ottica
nuova zone già abbandonate perché prive di fludi geotermici, pur essendo le
rocce del sottosuolo a temperatura elevata. In queste aree si potranno creare
artificialmente dei campi geotermici con una microfratturazione[17]
delle rocce calde secche, con la conseguente immissione di acqua ad alta
pressione.
13) La creazione di un movimento
unitario
Una delle cause del mancato sviluppo
dell’area geotermica in questione è da imputare anche alla marginalità della
medesima rispetto alle tradizionali zone di sfruttamento della “Regione
Boracifera”. Inoltre hanno pesato altre questioni logistiche, il cattivo stato
delle strade di collegamento, la divisione tra tre diverse Province.
Nel tempo certe linee di tendenza si
sono accentuate e mentre nei comuni della Valdicecina e della Valdicornia si è
sempre mirato alla industrializzazione, lo sviluppo dell’area senese-montierina
è rimasto legato all’agricoltura ed alle poche miniere, anch’esse emarginate e
semiabbandonate (se non in procinto di essere chiuse definitivamente) e non ai
processi industriali relativi all’utilizzo delle forze endogene.
Ciò ha impedito, per lunghi anni, la
mancanza di una coscienza diffusa a livello politico sull’importanza della
geotermia e quindi non si è verificata una sufficiente mobilitazione e
pressione popolare su queste questioni in una prospettiva di sviluppo per
l’economia dell’intera zona. Vale la pena ricordare che nella “piattaforma di
zona per la Val d’Elsa” elaborata nel 1972, c’è solo un accenno ai problemi
dell’Enel ed alla utilizzazione della “sorgente termale delle Galleraie”. Oggi
le cose sono cambiate. Si riconosce il valore del potenziale economico della
geotermia che è stata posta al centro della vertenza zonale delle Comunità
della Val d’Elsa, della Valdicorniai, della Valdicecina e della Val di Merse.
Anche le forze politiche a livello provinciale e regionale e gli Enti Locali,
stanno compiendo un grosso sforzo conoscitivo, che dovrà a tempi brevi tradursi
in progetti concreti nell’uso elettrico e diversificato della geotermia. Il problema è quindi politico. Non
limitato alle scelte dei tre comuni interessati e si potrà risolvere non con
prese di posizione velleitarie, ma con la costruzione di un’ampia unità
d’intenti tra tutte le forze dei Comprensori prima ricordati, in accordo con le
linee regionali e provinciali, delle Organizzazioni sindacali e nel confronto
con gli enti Locali e le forze politiche.
La mancanza di un “centro direzionale”
sul territorio, ha dunque senz’altro limitato le possibilità del decollo
geotermico. Ma sarebbe oggi ingiusto e perdente porre al centro di
rivendicazioni per lo sviluppo della geotermia e la rinascita delle aree
senesi-montierine l’obiettivo di isolamento autarchico da Larderello, dividendo
nuovamente il movimento.
L’uso corretto delle attrezzature, del
personale e delle disponibilità di forze endogene che si vanno reperendo nelle
aree circostanti a quella originaria, va concepita e realizzata in un quadro
unitario. Ammettere che possano esistere contraddizioni in tale ipotesi, al di
là di ogni pur spiegabile tentativo di giustificazione, significherebbe
contribuire a determinare per la geotermia, a partire dalla zona di origine, un
avvenire denso di preoccupazioni, perché la frammentazione non è mai uno
stimolo alla crescita e divide il movimento operaio rispetto all’unicità della
vertenza energetica.
L’unitarietà del movimento attorno alla
impostazione di un programma d’iniziativa e di lotta capace di spingere in
avanti i problemi che debbono realizzare l’espansione della ricerca e
l’immediatezza dell’utilizzazione dei vapori reperiti, non può prescindere da
una riflessione sulla gestione delle apparecchiature e del personale addetto.
I criteri da porre a base del
movimento, appaiono quelli tesi a realizzare:
- una organizzazione e gestione degli impianti
esistenti e di quelli da costruire che sia la più funzionale per accelerare i
tempi della ricerca e dell’utilizzazione del vapore reperito, nonché per
assicurare la massima efficienza ed economicità nell’uso e nel mantenimento
degli impianti medesimi;
- una gestione del personale razionale
alle esigenze di sviluppo della geotermia, che, evitando frustrazioni delle
legittime aspettative di carriera e di trattamento in generale, sia tale da
armonizzarsi con le esigenze sopra richiamate;
- tutto ciò nel quadro di una ricerca
coordinata, che veda impegnati oltre ai tecnici Enel, quelli del Cnr, delle
Università e degli Enti pubblici di ricerca, ricerca che sia in grado di far
predisporre programmi di uso plurimo dei vapori reperiti, confrontandosi con i
programmi di sviluppo che l’Ente Regione sta predisponendo e recuperando ad
essa il ruolo di necessario punto di raccodo e direzione politica che gli
deriva dall’essere espressione della collettività. Occorre quindi garantire il
massimo vantaggio economico-sociale, senza contraddire, ma anzi esaltando,
l’adozione di criteri di massima economicità realizzabili soltanto a condizione
di superare le visioni settorialistiche fino ad oggi portate avanti dall’Enel,
per ognuna delle zone interessate dai ritrovamenti di vapore.
Nel mentre è opportuno potenziare al
massimo le attività di esercizio e di manutenzione, sia nella parte elettrica
che in quella di perforazione, con personale locale, è attualmente
improponibile decentrare le grandi officine di manutenzione dotate di mezzi
complessi, gli Uffici ed altri Reparti di ricerca, che devono essere
funzionalmente dimensionati.
Occorre dunque superare posizioni di
divisione e contrapposizione tra zona e zona, partendo in primo luogo da una
linea sindacale unitaria coordinata a livello regionale, che trovi puntuale
corrispondenza nella elaborazione e nel movimento a livello di base e si
inserisca nella piattaforma che la Federazione regionale Cgil-Cisl-Uil della
Toscana sta portando avanti nella “vertenza energia”.
Se il concetto più volte espresso:
“geotermia bene pubblico” e “fonte di vita” è ancora valido, dobbiamo
rivendicare la più ampia conoscenza delle linee programmatiche, degli
investimenti, delle realizzazioni, sia nelle ricerche che nell’esercizio di
questa risorsa, e, inoltre, concretizzare le possibilità d’intervento diretto
delle Regioni con la loro partecipazione, sia nell’Enel, nell’Eni,
nell’Università e nel Cnr, il quale ultimo dovrà finalmente chiarire lo stato
delle ricerche sul prototipo di turbina utilizzante miscele di acqua-vapore,
promesso fin dal 1974, e sui risultati ottenuti con il “primo osservatorio
geotermico del mondo” installato proprio in un fabbricato del “vecchio campo di
Travale”, e consentire la liberazione delle energie democratiche presenti in
tutti i settori della ricerca e fino ad oggi
spesso limitate e sacrificate dalle scelte manageriali e politiche
compiute dall’Enel e dagli altri centri del potere politico ed economico.
L’Enel ha inoltre grandi
responsabilità, nell’ambito di un sostanziale accentramento della geotermia per
usi elettrici, ostacolando iniziative per l’uso diversificato delle forze
endogene come testimoniato dal negativo e perdurante atteggiamento protrattosi
per tanti anni verso gli Enti Locali ai quali solo da pochi mesi sono stati
ceduti alcuni pozzi non utilizzabili per la produzione di energia elettrica (e
difficilmente utilizzabili per altri usi!), ma in modo tale che la manovra
sembra fatta apposta per liberarsi di alcuni problemi di inquinamento.
Il recente accordo tra l’Enel e il
Demanio Forestale per la concessione dei terreni di proprietà dell’Ente è un
nuovo atto negativo, una tipica manovra di sottogoverno, che testimonia la
mancanza di chiarezza dell’Enel ad instaurare un rapporto serio e corretto con
le Regioni e le Comunità interessate per uno sviluppo agricolo e, come nelle
nostre zone, per una integrale utilizzazione della risorsa geotermica.
A questo proposito deve essere ribadito
che, anche per quanto riguarda l’Enel, occorre realizzare una unificazione
degli apparati che al suo interno si occupano di geotermia a partire dai due
grandi Gruppi operanti a Larderello e ipotizzare la costituzione di una Direzione
Nazionale sempre che ciò sia coerente alla esigenza di quel mutamento radicale
che oggi è necessario attuare nella gestione delle grandi aziende pubbliche e
private italiane.
14) Convegno di Chianciano: “Geotermia e Regioni”
Queste brevi note erano pronte in forma
di bozza, immediatamente prima del Convegno di Chianciano “Geotermia e Regioni”
organizzato dal 14 al 16 aprile 1977, da Toscana, Lazio e Campania, al quale,
oltre che agli scienziati di chiara fama, giuristi, dirigenti dell’Enel e dell’Eni,
tecnici, sindacalisti e uomini politici, ha partecipato il Ministro
dell’Industria on. Carlo Donat Cattin accompagnato da alti funzionari del
dipartimento dell’energia e delle fonti rinnovabili del suo ministero.
E’ qui impossibile tenere conto delle
nuove stimolanti aperture, tecniche, programmatiche, giuridiche che in questo
Convegno sono emerse a proposito della geotermia e, in particolare, delle
risorse a “bassa entalpia” (acque calde, salamoie calde e vapori non
economicamente sfruttabili per produzione di energia elettrica). E’ stato
definitivamente riconosciuto il “ruolo tipicamente regionale” dell’energia
geotermica, poiché intimamnte legata al territorio, non trasportabile e di
molteplici usi, e si è evidenziata la necessità di una programmazione regionale
che tenga conto della disponibilità di queste risorse ed indichi chiaramente i
progetti di utilizzazione e di investimento economico.
Mentre il ruolo operativo rimane ai
grandi Enti pubblici, le Regioni dovranno offrire appoggio alla fase di ricerca
che dovrà essere condotta, tenendo conto degli usi plurimi, da Enel, Eni, Cnr,
Università attraverso uno stretto coordinamento ed un controllo da parte del
“piano” e del Parlamento. E’ comunque il momento di dire con precisione cosa si
può e si vuole fare delle risorse già disponibili ed a tale proposito la
creazione di un “Comitato Geotermico Nazionale” promosso dalle tre Regioni fa
bene sperare.
Si dovrà procedere inoltre ad una
veloce definizione della nuova legge per lo sfruttamento della geotermia con l’intendimento di dare
non solo precisi compiti alle autonomie regionali (specialmente per i fluidi a
bassa entalpia), ma da poter indicare
nello spirito della Costituzione e del ruolo democratico della Regioni, che
pone questo organismo come una saldatura tra il potere centrale e gli interessi
locali, modalità e tempi di investimenti e quindi anche modalità dei nuovi
rapporti tra gli Enti e gli Organismi preposti alla ricerca, oggi operanti con
strutture e stanziamenti ridicoli.
L’intervento del Ministro segue grandi
lotte soprattutto in Toscana e nelle nostre zone, sui temi dell’energia e della
geotermia. Esso è anche la testimonianza del cambiamento politico in atto nel
Paese, cambiamento che se attuato a tempi brevi potrà finalmente avviare una
politica nuova, non di lottizzazione, negli Enti Pubblici e quindi potrà dare
concretezza a scelte che oggi, nonostante alcune cose positive, si proiettano
ancora nel mondo delle speranze, mentre vasti territori e comunità hanno
estremo bisogno di certezze.
Sgombrato il campo dalle illusioni e
dalle strumentalizzazioni che si erano in parte create intorno alla geotermia,
(fonte alternativa alla scelta nucleare, salvezza ecologica, energia
socialista), è emerso con chiarezza il
grande ruolo scientifico, economico, sociale di questa proposta, quindi la
necessità di arrivare quanto prima ad un nuovo programma nazionale che consenta
di creare Aziende Regionali per lo sfruttamento dei fluidi a bassa entalpia.
Il confronto di Chianciano, tra gli
Enti, i tecnici ed i politici, l’intreccio reale tra scienza e politica, che ne
è scaturito, è dunque insieme punto di arrivo e di partenza. Punto di arrivo di
un periodo storico di sottovalutazione della geotermia, di impegni settoriali,
di mortificazione dei tecnici e dei ricercatori di questo settore, di
mortificazione in nome di interessi e scelte di altra natura, in genere
effettuato sulla loro pelle e le loro teste.
Punto di partenza di una superata
conflittualità tra Enel ed Eni, da un riconosciuto ruolo delle Regioni e da una
volontà di coivolgimento esteso per l’Università, il Cnr, e quanti altri
operano in campi affini, compresa una nuova legiferazione ed un più attento
impegno di coordinamento da parte degli Organi di Governo.
In ciò il Convegno ha avuto grande
valore positivo. E’ indubbio tuttavia che solo se si arriverà alla diretta
democraticizzazione del Paese, quindi delle Aziende, se si arriverà, come ha
detto Felice Ippolito nella sua relazione introduttiva, a un cambiamento di
fondo del modello sociale, della vita degli uomini, si potranno veramente
realizzare quelle istanze di fine degli sprechi, di totale sfruttamento delle
risorse geotermiche, legate allo sviluppo civile, economico, culturale delle
aree geografiche decentrate che dovrebbero essere, in ultima analisi, la base
stessa della società partecipata in tutti i suoi aspetti[18].
[1]
Bacino geotermico: serbatoio sotterraneo di limitata estensione dove sono
presenti in varia misura fluidi ad alta temperatura; questi sono estraibili, a
mezzo di perforazioni della roccia impermeabile che costituisce la copertura, e
utilizzabili per la produzione di energia elettrica ed altri usi civili ed industriali.
[2]
Lagoni: piccolo bacino dal quale fuoriesce vapore saturo che mette in
ebollizione l’acqua piovana, il fango e la stessa acqua di condensa che lì si
raccoglie. Erano frequenti prima dello sfruttamento intensivo a mezzo di
perforazioni nell’area in esame.
[3]
Vetriolo turchino o di “Cipri”: una delle tante definizioni fantasiose per
indicare i derivati dell’acido borico o delle altre sostanze presenti nelle
acque dei lagoni e sfruttate fin dall’antichità per l’industria tessile e della
ceramica.
[4]
Serbatoio carbonatico: strati sepolti in profondità di calcari fratturati e
quindi permeabili, in cui circolano i fluidi geotermici.
[5]
Impianto a scarico libero: impianto di produzione energetica in cui il vapore
entra direttamente nella turbina e si scarica all’atmosfera.
[6]
Tettonica: è la parte della scienza della terra che studia le deformazioni
subite dalle rocce, ricostruisce l’assetto spaziale e l’insieme delle fratture
causate dai movimenti del mantello terrestre.
[7]
Analisi isotopica: misurazione delle quantità di elementi di varie sostanze con
il metodo del decadimento radioattivo.
[8] Acqua
che scorre attraverso le rocce permeabili, al di sopra della superficie della
falda freatica.
[9] Prospezione geoelettrica:
metodo di prospezione geofisica basato sulla resistività (inverso della
conducibilità) delle rocce. Dall’interpretazione delle curve di resistività,
ottenute sperimentalmente in campagna, si può risalire alla giacitura delle
rocce in profondità. Serve soprattutto a valutare preventivamente la profondità
della roccia serbatoio (calcari mesozoici).
[10]
Rapporto gas/vapore: indica la quantità di gas (soprattutto CO2) presente
percentualmente nel fluido geotermico.
[11]
Laminare: operazione tecnica con la quale si sfrutta parzialmente il vapore
adattandolo alle caratteristiche dell’impianto utilizzatore.
[12]
Centrale a condensazione: impianto di produzione energetica nel quale vengono
aspirati i gas in condensabili purificando il vapore. E’ così possibile
sfruttare le sostanza contenute nel vapore e provvedere al raffreddamento di
tutti i macchinari con l’acqua della condensa.
[13]
Horst: zolla, generalmente allungata, di terreni sopraelevati rispetto ai
circostanti da faglie parallele disposte a gradinata. Le faglie sono rotture di
una massa rocciosa accompagnate da uno spostamento relativo dei blocchi
separati.
[14]
Basamento filladico-quarzitico: unità sottostante alle rocce appartenenti alla
“serie toscana” ed alla “serie ligure”, costituito da rocce metamorfiche quali
le filladi e da noduli o lenti di quarzo.
[15] Sistema modulare:
progetto costruttivo che consente l’adattamento dell’impianto (centrale) alle
disponibilità del fluido.
[16]
Concessioni perpetue: aree di coltivazione dei fluidi geotermici, concesse in
uso perpetuo, in base alla Legge mineraria del 1927, prima alla “Larderello
SpA” e poi all’Enel. Hanno tutte una piccola estensione e si trovano intorno
alle prime aree industriali ottocentesche.
[17]
Microfratturazione: tecnologia che mira, attraverso la microrottura delle
rocce, a creare bacini geotermici artificiali nelle zone ove, pur con un
gradiente geotermico elevato, è assente la circolazione delle acque, per la compattezza
della roccia.
[18] Questo articolo, di ampie dimensioni, fu più
volte rielaborato negli anni 1976-1978 ed apparve, distintamente, in tre o
quattro pubblicazioni, di cui una per uso interno alla Fnle-Cgil di Larderello,
una per gli organi locali e regionali del Pci, ed infine sulle due
pubblicazioni già richiamate in nota 49.
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