Una foto, rara, la più bella!
Da Parigi un amico mi scrive che
nei giorni di Natale verrà nuovamente a trovarmi per farmi una nuova breve
intervista, non a completamento del film-documentario a tema
storico-industriale che sta montando, ma per parlare del “Museo
dell’innocenza”! Gli avevo infatti accennato che a seguito della lettura del
memorabile romanzo di Ohran Pamuk dal medesimo titolo, stavo riorganizzando,
mentalmente, e, se possibile, con i rari documenti e oggetti di quel periodo,
il mio personale “museo dell’innocenza”, quel luogo mitico dei ricordi dell’età
fiorita, che ogni persona possiede, e molte volte nasconde o dimentica. Ed
ecco, come chiamata, riaffiorare una delle antiche foto, la più bella, della
prima infanzia. Adesso ne ho tre di queste immagini: il gruppo degli scolari
della IV e della V classe delle elementari (cioè primavera 1949 e primavera
1950) e quella ritrovata, della Prima Comunione (anno incerto, ritengo
primavera 1949, ma lo saprò richiedendo al parroco un certificato). Guardate
questo ritratto eseguito in studio dal fotografo Mariani di Firenze, venuto
appositamente al paese in occasione dell’importante evento, e ditemi se non
sono bello! Tutti siamo stati belli, almeno una volta nella vita, ma non è
questa effimera bellezza che mi sorprende, ma altri particolari: l’accuratezza
della posa, l’eleganza dei poveri che si nota in una giacca troppo grande, a
doppio petto, guanti bianchi, calze e scarpe bianche, e la penna stilografica
nel taschino (qualcuno me la deve aver prestata dato che a scuola avevamo la
penna con il pennino a torre che si caricava d’inchiostro immergendola
nell’apposito calamaio inserito nel banco), e poi il crocefisso col nastrino
bianco sul risvolto della giacca e la grande fascia col Calice Santo al braccio.
Guardo serio serio il fotografo, i capelli ben spartiti dalla divisa, e la
bocca socchiusa con il labbro inferiore carnoso (eredità di mio padre) che
tanto piaceva alle mie cugine predicendomi una vita ricca di amore! Anche le
gambe nude (allora non mettevano le “tuniche”, né i pantaloni alla zuava o
lunghi) risaltano per la loro plasticità, una dote che ho mantenuto a lungo.
Ebbene mi chiedo: ma chi mi avrà acconciato così bene? Scarto mio padre, che
non aveva doti di raffinatezza estetica, se non per la musica, scarto mia
nonna, già vestita di nero dopo la recente morte del marito, ed anche in là con
gli anni per quei tempi, altre donne non c’erano in casa nostra, e allora? Le
cugine? No, non credo, dato che avevano 15 o 16 anni…forse un’amante del babbo?
Oppure le buone donne del vicinato? Mistero. Ho solo questa foto e il ricordo
di un unico regalo: una banconota da 1000 lire, formato gigante, che mi dette
Sganga, un saldatore amico del babbo, ma non paesano, incontrandomi giù per il
“Chiassino”. Dopo la cerimonia in chiesa, mentre solo soletto rientravo a casa,
mi fermò, aprì il portafoglio, estrasse la banconota e me la dette! Da un
rapido calcolo arrivai alla conclusione che potevo comprarmi 100 gelati al
cono, una vera e propria fortuna. Giunsi alla nostra casa in via del Borgo, la
nonna aveva fatto la sfoglia e preparato i maccheroni, eravamo noi tre, ma
felici, ed in più io ero particolarmente contento di aver stretto un patto di
alleanza con Dio e Gesù, e tutte le loro schiere angeliche celesti, un patto un
po’ fragile a detta del prete, perché si sa che i ragazzi combinano sempre
molte marachelle, come rubare le susine e qualche volta “commettere atti
impuri”, così diceva, ma tuttavia peccati facilmente riparabili con la
confessione, il pentimento, e la recitazione di qualche ave maria o pater
nostro, che sapevo alla perfezione in latino, e che ricordo ancora. Era quella,
per davvero, l’età dell’innocenza!
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