Duccio e la
sconsolata “tarapinella”…
Conosco bene la sala dedicata a
Duccio di Buoninsegna con la grande
Maestà (1301-1311), capolavoro che avvia l’eccezionale stagione della pittura
senese. Dal 1771 la Pala
della Maestà è stata segata in due tavole distinte, mentre quand’era in Duomo
si poteva vedere unita e dipinta su due facce, e mi sono spesso soffermato
sulla scritta latina che suona: “O Santa Madre di Dio, sii causa di pace a
Siena, sii vita a Duccio poiché egli così ti pinse”. Per calarmi in quel tempo lontano sono
ritornato a leggere il bel libro di Piero Misciattelli “Mistici senesi”, del
quale ho la settima edizione, pubblicata a Siena nel 1914 dalla libreria
Editrice Giuntini Bentivoglio. “…Il cinquantenario di Monteaperto Siena lo
celebrò recando in trionfo al Duomo, per le sue strade cosparse di fiori, la
famosa ancona della Madonna dipinta da Duccio di Buoninsegna il quale
sull’iscrizione del dipinto volle significare alla regina della Città la
supplichevole gratitudine di tutto un popolo: Mater Sancta Dei sis causa Senis requiei/Sis Ducio vita te
quia pinxit ita. Agnolo di Tura, cronista senese, dice che fu “la più bella
tavola che mai si vedesse et facesse” e che “costò più di tremila fiorini
d’oro”. Duccio a dipingerla ci mise trentadue mesi. Venne allogata al
Buoninsegna il 9 ottobre 1308 da messer Iacomo di Gilberto Marescotti, operaio,
ossia Rettore del Duomo. Un cronista cittadino che probabilmente prese parte
alla festa così la descrisse: “…in quello dì che si portò al Duomo si serraro
le buttighe; et ordinò il Vescovo una magnia et divota compagnia di preti e
frati con una solenne prucissione, accompagnato dai signori Nove e tutti gli
uffiziali del Comuno e tutti i popolari e di mano in mano tutti e più degni
erano appresso a la detta tavola per insino al Duomo facendo la prucessione
intorno al Champo come s’usa, sonando le
champane tutte a gloria per divozione di tanta nobile tavola quanta è questa,
la qual tavola fece Ducio di Niccolo dipintore, e feciesi in casa de’ Muciatti
di fuore de la porta a Stalloreggi. E tutto quello dì si stette a orazione con
molte limosine, le quali si fece a provare persone, preghando Iddio e la sua
Madre, la quale è nostra Avocata, ci difenda per la sua infinita misericordia
da ogni avversità e ogni male, e guardici da mani di traditori e nimici di
Siena”. Duccio di Buoninsegna lo sapeva che la sua Madonna era bella; essa non
assomigliava a le rigide madonne bizantine dagli occhi aperti e fissi nello
spavento di gastighi celesti e terreni. Anch’oggi le alita intorno come un odor
di primavera. La Vergine
duccesca è donna di popolo, non Regina; è figlia della grande rivoluzione
francescana e democratica del popolo italiano; ha il cuore di madre, e sa
piangere con quelli che piangono perché conosce il dolore. Dinanzi alla
bellezza d’un tal dolore femminile, tremante su gli abissi della disperazione,
ci tornano alla memoria i versi d’un ignoto poeta senese del Dugento:
Amor
crocifisso, Amore,
e perché mi
hai lasciata, Amore?
Amor, tu m’hai
lasciata
lo cor mi
s’assottiglia
tutta quanta è
disviata
la nostra
famiglia,
la tua mamma è
sconsolata:
ma chi la
consola, Amore?
Amor, non
aggio padre,
né mamma, né
sorella,
né altro
figlio, né frate
per me
tarapinella:
tu eri la mia
reditate
di ròcche e di
castella, Amore!
Amor, se m’abandoni
non saccio che mi fare,
mettaromi a cercare,
lo mondo in giune e ‘n sune
se mi dovesser mangiare
li orsi, Amore.
Questi versi vibrano di passione e sembrano lacrime,
singulti, e sospiri d’un’anima angosciata nella solitudine dell’abbandono,
povera dell’unica e vera ricchezza, povera d’amore.
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