L’anno che
muore invita a riflettere su noi stessi e su Dio.
L’anno che muore invita a
riflettere su noi stessi. No, non allarmiamoci,
verso le cose profonde, fondamentali, di quest’ultimo tratto di
cammino…che nessuno vuole ascoltare e condividere, se non per indifferenza, per
terrore…ma sulle piccole cose quotidiane, notiziole alimento di curiosità, come
chiacchiere tra vecchi amici, che s’incontrano di tanto in tanto e il più delle
volte si soffermano su lontani ricordi. A me non piace il ritornello di quella
canzone che diceva…mi ricordo ti ricordi/ero bimbo e anch’io giocavo/rosso in
viso ritornavo/dalla mamma ch’era là! Dato che, a differenza dei miei amici,
non avevo una mamma che mi aspettava e così ho lasciato svanire almeno i primi
otto anni della mia vita. A quel tempo il mio babbo era giovane e innamorato,
figuriamoci se condivideva il suo tempo ad ascoltare un bambino, e la nonna,
già troppo anziana, aveva sulle spalle la fatica di mandare avanti la
famigliola con quel magro salario di operaio che quasi si esauriva nel
pagamento del “libretto mensile della spesa”. Perciò mi piace parlare del
presente e, ancor meglio, del futuro, dei progetti, delle attese. Certo, più si
va in là con gli anni, sempre meno il
“parlare” e più lo “scrivere”, perché parlare presuppone incontrare, e gli
incontri, nella solitudine sociale del mio paese, si fanno sempre più rari,
mentre lo scrivere è esercizio solitario, che può avere o non avere risposta
come mormora all’orecchio un altro ritornello che ogni tanto riaffiora: …ti
scrivo e non rispondi/come tu fossi morta…”, si, penso con tristezza che sono
entrato nel tempo del silenzio. Ma qualche volta incontro Luciana, un’amica
esuberante nella sua malinconia, e, soprattutto, ricca di una bellezza
interiore che va al di là del dato
anagrafico, con lei posso parlare del passato e del futuro ed anche gioire di
un rinascimento di creatività intima e ascosa. Ho tra i più cari amici di una
vita anche suo marito, Mauro, l’alter ego di chiacchierate estive nel Piazzone,
mentre entrambi sorvegliamo i nostri nipotini, e resto ogni volta sorpreso
della sua lucidità politica e della viva memoria per fatti e persone, luoghi e
avvenimenti. Quando mi specchio in lui non posso fare a meno di notare un
cambiamento: per decenni mi sono interessato attivamente alla politica
militante, mentre lui era distante; ma in questi ultimi vent’anni lui è diventato
un lucido analista di questioni economiche, politiche, amministrative…mentre io
me ne sono praticamente distaccato, approdando, si fa per dire, ai cosiddetti
“beni immateriali”; la poesia, l’amore, la bellezza, il sogno, la felicità e
l’infelicità…il destino dell’uomo. Per fortuna uno sparuto gruppetto di persone
si ritrova nel pomeriggio d’ogni prima domenica del mese nel borgo di Belforte,
alla Casa della memoria “L’Aquilante” a
parlare di letteratura, poesia e oroscopi, che più immateriali chiacchiere di
queste credo siano impossibili da organizzare, e lassù son nate tenere amicizie
che durano nel tempo, e lassù sono stato “incoronato” poeta, il premio più
bello che mai avrei immaginato. Naturalmente, nei “beni immateriali”, colloco
anche persone che non incontro da tempo, ed alcune che non ho mai incontrato,
come Swan, Susanna, Trudi, Anna, Red, ed anche Annalisa, che invece incontro
abbastanza spesso. A lei devo in gran parte l’amore per le stelle e lo
spiraglio che mi ha aperto nella comprensione dell’Universo. L’Universo: adesso
ci dicono che non avverrà l’implosione perché esso si sta espandendo ad una
velocità altissima, mentre l’energia grigia e la materia grigia, ancora ignote
per il 95%, chi sa quali sorprese ci nasconderanno per altri milioni di anni, o
per sempre? Mi convinco, sempre di più, della non casualità della presenza
dell’Uomo sul nostro piccolo pianeta, e mi associo a quanto ebbe a dire
Einstein, lui ebreo agnostico, anzi ateo e scienziato sublime: “Chiunque crede
che la sua propria vita e quella dei
suoi simili sia priva di significato è
non soltanto infelice, ma appena capace
di vivere”. E nessuno come lui aveva avvertito con umiltà il senso del mistero:
“ La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero.
Sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza. Colui che non ha mai
provato questa emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare e rimanere
rapito in timorosa ammirazione, è come morto: la sua vista si è spenta. La
sensazione del mistero, anche se accompagnata dalla paura, trova pure la sua forza nella religione. La
certezza che ciò che ci è impenetrabile esiste realmente e si manifesta
attraverso la più alta saggezza, la bellezza
più raggiante – e le nostre deboli facoltà lo possono comprendere soltanto nella loro
forma primitiva - , questa conoscenza, questo sentimento è al centro della vera
religiosità. E’ in questo senso, solo in questo senso, che io sono un uomo profondamente religioso.
Mi accontento di accettare il mistero
della vita eterna, d’avere la coscienza e l’intuizione della meravigliosa
architettura del mondo esistente e di
aspirare umilmente a comprendere una infinitesima parte della religione che si
manifesta nella natura…credo al Dio di Spinoza che ci rivela un’armonia di
tutti gli esseri e non a un Dio che si
occupi del destino e delle azioni degli uomini”. Come sappiamo, Einstein (nato
a Ulm, Germania, nel 1879), continuò fino al giorno della sua morte nello
sforzo generoso di capire e di farsi
capire. Morì all’Ospedale di Princeton USA, il 18 aprile 1955, alle ore 7,15
del mattino. Nessuno, contrariamente a quanto s’è scritto, ha raccolto le
sue ultime parole: l’infermiera che lo
vegliava non parlava tedesco.
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