PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI. CAP. 36.
53. Dina Ferri
Dina
Ferri nacque a Prativigne, un podere già appartenuto alla Fattoria d’Anqua,
sulle pendici della Carlina, il 29 settembre 1908. La casa, ormai rudere “sorge
su un pendio deserto ed è sovrastata da un bosco fitto di lecci dove la sera
cala in anticipo”. Dina visse in questa solitudine nove anni, fino a quando la
famiglia si trasferì in un altro podere nei pressi di Ciciano, e a contatto con
questo mondo ancora selvaggio, con un retroterra di antiche storie, Usanze,
credenze, ma profondamente buono e capace di sopportare con dignità tante sofferenze,
si plasmò la sua anima e si formarono i suoi pensieri che avrebbe espresso in
forma di struggente nostalgia nei diari e nelle poesie che, ancora pastorella,
scriveva su un quaderno che portava seco ogni giorno uscendo col gregge.
Le sue precoci doti di scrittrice
furono notate. Dina, dopo aver concluso il ciclo della scuola elementare
all’età di 17 anni si iscrisse alle scuole superiori dell’Istituto S. Caterina
a Siena. “...aveva 18 anni e portava con se la volontà di studiare, per non
tradire i grandi sacrifici della sua famiglia che poneva in lei tante speranze,
e nei grandi occhi neri e pensosi la nostalgia del suo gregge e delle sue
campagne”. In quella scuola fece, in tre anni, le quattro classi inferiori
quantunque la tubercolosi intestinale, che la condusse precocemente alla morte,
la tormentasse. Nel dicembre 1929 si allettò per non rialzarsi più. Dopo alcuni
mesi di ricovero all’ospedale di Siena, il 18 giugno 1930, morì. Aveva poco più
di ventun anni.
Ancora oggi, a quasi novanta anni dalla sua morte,
le genti della campagna e dei borghi senesi ricordano le sue infantili nenie,
le poesie, i diari, le lettere colme d’amore per la terra natia e per le sue
umili genti, e che la rivelano, specialmente le lettere, ricca di umanità e di
capacità di intendere e opporsi al male.
Dina Ferri non ha lasciato pressoché traccia nel
panorama letterario del nostro tempo. Un esile volumetto “Quaderno del nulla”
stampato dopo la sua morte in 1500 copie, è ormai introvabile. Possiamo dire che la sua voce è
ritornata insieme alle moltitudini dimenticate del mondo, ed è proprio per
questo che tra il tanto clamore del successo che aleggia sulle figure dei
“grandi”, ci è cara e la ricordiamo.
Perché?
-
Mamma, che sono,
lo sai,
que’ lumi del cielo turchino?
Così non si vedono mai
di giorno, - diceva ‘l piccino.
Sorrise la madre pensosa.
-
Son gli occhi
degli angeli buoni.
Se ‘l bimbo tranquillo riposa
gli portano piccoli doni. -
Aspetta sicuro ‘l piccino
il dono dell’angelo pio.
Riposa nel bianco lettino.
(Perché non ci credo più io?)
Crescevano i riccioli d’oro,
chinava la pallida testa
incerto sul primo lavoro.
Vegliava la madre più mesta.
Richiese pensoso ‘l piccino
del dono dell’angelo buono.
-
E’ lungo –
rispose – ‘l cammino,
perdette quel piccolo dono.
Si perse nel lungo cammino
e l’ombra fugace vanì.
E pianse nel bianco lettino.
(Perché si domanda così?)
Vorrei.
Vorrei fuggire nella notte nera,
vorrei fuggire per ignota via,
per ascoltare il vento e la bufera,
per ricantare la canzone mia.
Vorrei mirare nella cupa volta
fise le stelle nella notte oscura;
vorrei tremar ancor come una volta,
tremar vorrei, di freddo e di paura.
Vorrei passar l’incognito sentiero,
fuggir per valli, riposarmi a sera,
mentre ritorni, o giovinetto fiero,
chiamando i greggi, e piange la bufera.
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