lunedì 11 settembre 2017



PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI. CAP. 39.


56. Si fa presto a dire fame. Un libro da non dimenticare.

Siamo andati quest’anno, in un pomeriggio grigio e ventoso di fine estate, sulla collina di Mauthausen per visitare ciò che rimane del tremendo Lager, oggi museo. Molto è stato fatto per cancellare, per abbellire: c’è erba verde tutto intorno, e ci sono snelli pioppi e lindi cortili asfaltati, le baracche, vuote, son tinte a nuovo, ci sono fiori e turisti. Tuttavia c’è quanto basta per riaccendere i ricordi sopiti, per stringere il cuore d’angoscia e di muto dolore: i forni crematori, le camere a gas, le celle degli esperimenti, il muro del pianto, la scala della morte e le celle di tortura...ci sono fotografie di tanti italiani, di seimila compagni, lavoratori del nostro Paese che non sono più ritornati. Di questo triste “Campo”, modello agli altri che furono disseminati in tutta Europa dalla follia nazista, ce ne dà una viva rappresentazione Piero Caleffi in un suo antico, bellissimo libro che proprio in questi giorni, al ritorno, ho letto e che consiglio in particolare ai più giovani lavoratori onde riflettere su inquietudini nuove (che la fuga di Kappler, accolta con malcelata soddisfazione dall’opinione pubblica tedesco-occidentale ha evidenziato), che mi fanno venire in mente alcuni famosi versi di Bertolt Brecht:

...per poco costoro non dominarono il mondo.
I popoli li fermarono. Ma intanto
non vorrei che voi celebraste il trionfo:
il grembo che li generò è ancor fecondo.

Il libro di Caleffi è stato scritto nel 1954, a nove anni dalla sua tremenda esperienza di prigioniero nel Lager di Mauthausen dove era stato rinchiuso per la coerente militanza progressista e antifascista. Il carattere, il tono del libro, risente di questa impostazione ideale, è pervaso cioè dal continuo sforzo di comprendere il fenomeno dei “Campi di sterminio”, tenendosi ugualmente lontano dal facile vittimismo, come dall’altrettanto facile odio per i diretti persecutori, ma facendo risalire al sistema nazifascista la responsabilità di tanto barbara repressione, unica nella storia.

         Un ammonimento, quindi, una esortazione a sfuggire alle tentazioni dell’esercizio della violenza, dell’umiliazione dell’avversario, del fanatismo, dell’odio, che furono fattori fondamentali della logica che condusse ieri al nazifascismo e ai campi di sterminio e che potrebbero oggi, in condizioni storiche diverse, ma assai complesse e difficili, far precipitare di nuovo l’umanità nella regressione e nella barbarie. Piero Caleffi, Si fa presto a dire fame, Ed. Mursia, Milano, 1974[1].



[1] Pubblicato sul n. 6, 5 ottobre 1977, a cura di gc.

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