PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI. CAP. 40.
57. Inverno a Praga
A Praga, si legge sui depliants
pubblicitari della Cedok (l’Ente Turistico di Stato Cecoslovacco), è bello
andare in tutte le stagioni tanti sono i motivi d’arte, di storia, di costume,
che questa mirabile città contiene, ma è soprattutto in primavera, quando gli
alberi da frutta della collina di Petrin sono in fiore, risplendono al sole le
guglie d’oro dei campanili e la musica sinfonica di prestigiosi complessi
invade giardini, vicoli e palazzi austeri, che si coglie tutto il fascino e
l’essenza più profonda di questa città e di questo popolo.
La “primavera di Praga”, una stagione
magica che ci entusiasmò nove anni fa, che poi vedemmo violentemente soffocare
e intristire in quel periodo oscuro chiamato “normalizzazione” che, come per
tutte le “normalizzazioni” altro non significò se non l’arresto di un processo
profondo di rinnovamento che non solo prefigurava il risarcimento di
innumerevoli, tragici eventi storici, ma riaffermava quei valori umani di
partecipazione, libertà, democrazia, sui quali si fondano le speranze di chi,
anche nel nostro Paese, vuol costruire quella società a misura di uomo, che è
la società socialista.
Avevamo ed abbiamo ancora amici,
compagni, in quella città e in quel Paese. Uomini laboriosi, onesti, patrioti.
Alcuni, dopo aver militato nella Resistenza contro i nazisti, subirono
discriminazioni e nonostante ciò rimasero fortemente convinti della giustezza
dei loro ideali e del fatto che il nuovo “regime popolare” fosse, nonostante
tutto, superiore a quelli precedenti. In quei sei-otto mesi del 1968 le loro
lettere divennero travolgenti: l’entusiasmo per il nuovo superava l’amarezza
delle tante piccole e grandi angherie subite o delle quali erano stati testimoni,
c’era una grande volontà di lotta per affermare nuovi modi di vivere e di
governare senza rinunciare a quelle importanti conquiste sociali che pure
avevano ottenuto.
Poi le lettere si son fatte più rade,
reticenti, allusive. E’ riapparso il sospetto, la paura che una frase, un
pensiero potessero scatenare le ire dei guardiani dei “padroni del Palazzo” e
quindi subire un danno, o fisico o morale, per loro stessi e per le loro
famiglie. Abbiamo rispettato questo silenzio, anche nello stilare questa breve
nota.
Altri e di ben altra levatura stanno
discutendo sulle cose fondamentali che hanno caUsato tali degenerazioni, sul
rapporto tra democrazia e socialismo, su come deve essere una società
pluralista, basata sul consenso e la partecipazione e che veda la fine dello
sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Noi, per le cose che sappiamo di quelle
esperienze, cerchiamo sempre di superare, a livello individuale, il dogmatismo,
l’intolleranza, la violenza per costruire rapporti nuovi con chi ci è vicino.
Tutti i giorni. Nascono dalle piccole le grandi cose e la nostra testimonianza
non sarà inutile. E pensando a quegli amici, a quei compagni ancora immersi
“nell’inverno di Praga”, ci vengono a mente i versi di una canzone popolare
spagnola (e può andar bene anche per la Cecoslovacchia), che dice:
In
Spagna i fiori
che
nascono d’aprile
non
nascono per gioia
nascono
per dolore
di
tre anni di spari
di
tre anni e mille
in
cui il popolo ha resistito
solo
contro il fucile.
In
Spagna i fiori
non
vogliono più vivere
perché
il popolo spagnolo
morì
d’aprile.
Ma
i fiori ritornano
e
chi li ha fatti morire
non
sa che i fiori
sbocciano
ad ogni aprile.
La
Spagna non è morta
e
mai potrà morire.
Il
popolo e i fiori
non
li ammazza il fucile.
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