sabato 3 aprile 2021

Pasqua  [i]


C’erano la stessa aria densa e calda di primavera,

la pigrizia del mattino e i petali perlacei dei ciliegi

che cadevano lenti nel piccolo giardino;

 

c’erano, ed ora non più, le note della fisarmonica

ammiccanti e tenere, i sorrisi delle donne nelle piccole

stanze di legno, odoranti d’antico;

 

c’erano gli occhi innocenti e civettuoli delle acerbe

compagne di scuola, nel vicinato raccolto, nell’intreccio

di voci amiche;

 

c’era nel petto un sommovimento profondo,

un tendere indefinito all’orizzonte

ancora  bianco di neve, un’ansia sconosciuta

nel primo risveglio d’amore, e l’attesa di lei;

 

lei, la grazia sempre nuova, leggera, liquefatti smeraldi

tra pagliuzze d’oro, frutti acerbi ammiccanti in vaporosi

ricami, melodia delle sciolte campane nell’incedere flessuoso.

 

Altro non c’era, per me, in quel  Santo giorno,

in quella Resurrezione misteriosa

                                    che mi lasciava sbigottito.

 

 



[i] Ho lasciato trascorrere il secondo anniversario della mia “creatura elettronica”, il blog LA VITA LARGA. Recentemente ho mostrato due post e l’incipit ad un amico poeta venuto a trovarmi.  Non credo alle premonizioni, ma voglio resuscitare quanto scrissi quel 12 giugno 2007: “Ciao. Inizio questa nuova avventura nel mondo anaffettivo della comunicazione virtuale. Mi vengono in mente, adesso, soltanto le parole di Goethe nel Faust: "Vuoi tu volare e temi le vertigini?". Proprio così. Ma ormai volo, volo e ho le vertigini!” Da due mesi, novello Icaro, ero precipitato sulla dura terra infrangendo, nella caduta, un sogno. Ma la scia luminosa della cometa Swan era ancora visibile nel cielo nero, sentivo che il suo riflesso, benché freddo e sempre più lontano, non mi avrebbe abbandonato. In quel riflesso confuso percepivo  l’ansia di rincorrere l’ineffabile della bellezza, che, come fa, assorbe tutti gli altri sentimenti. Volevo vivere in “larghezza”, anziché in altezza, per vedere se ancora sapevo creare versi, come nella mia giovinezza, ch’era un tornare all’innocenza perduta ed al meravigliarsi della vita. Il volo fu lento, grave. E le vertigini non mancarono. Ma adesso volo sicuro ben sopra le nubi, vedo in basso l’affannarsi degli uomini e benché il mio cuore sia incline alla pietà, comprendo che nessuno potrà consolarli. Dio chiama chi vuole lui, e così l’amore! Apro il “Cantico dei Cantici”:

 Sei bella, amica mia, colomba mia,

se muovi gli occhi, rinnovi la luce.

 Ridono le tue guance  sotto i riccioli,

e il collo trascolora tra le perle.

Tesseremo per te dei fili d’oro

con bisbigli d’argento.

 Sei bella, amica mia, colomba mia,

se muovi gli occhi, rinnovi la luce.

 Sei bello, amico mio, diletto mio;

al nostro letto di trifogli teneri

son padiglione i rami dei ginepri,

fan da fondale i cedri.

 

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