Pasqua [i]
C’erano la stessa aria densa e calda di primavera,
la pigrizia del mattino e i petali perlacei
dei ciliegi
che cadevano lenti nel piccolo giardino;
c’erano, ed ora non più, le note della
fisarmonica
ammiccanti e tenere, i sorrisi delle donne
nelle piccole
stanze di legno, odoranti d’antico;
c’erano gli occhi innocenti e civettuoli
delle acerbe
compagne di scuola, nel vicinato raccolto, nell’intreccio
di voci amiche;
c’era nel petto un sommovimento profondo,
un tendere indefinito all’orizzonte
ancora
bianco di neve, un’ansia sconosciuta
nel primo risveglio d’amore, e l’attesa di
lei;
lei, la grazia sempre nuova, leggera,
liquefatti smeraldi
tra pagliuzze d’oro, frutti acerbi ammiccanti
in vaporosi
ricami, melodia delle sciolte campane
nell’incedere flessuoso.
Altro non c’era, per me, in quel Santo giorno,
in quella Resurrezione misteriosa
che
mi lasciava sbigottito.
[i]
Ho lasciato trascorrere il secondo
anniversario della mia “creatura elettronica”, il blog LA VITA LARGA.
Recentemente ho mostrato due post e l’incipit ad un amico poeta venuto a
trovarmi. Non credo alle premonizioni,
ma voglio resuscitare quanto scrissi quel 12 giugno 2007: “Ciao. Inizio questa
nuova avventura nel mondo anaffettivo della comunicazione virtuale. Mi vengono
in mente, adesso, soltanto le parole di Goethe nel Faust: "Vuoi tu volare
e temi le vertigini?". Proprio così. Ma ormai volo, volo e ho le
vertigini!” Da due mesi, novello Icaro, ero precipitato sulla dura terra
infrangendo, nella caduta, un sogno. Ma la scia luminosa della cometa Swan era
ancora visibile nel cielo nero, sentivo che il suo riflesso, benché freddo e
sempre più lontano, non mi avrebbe abbandonato. In quel riflesso confuso
percepivo l’ansia di rincorrere
l’ineffabile della bellezza, che, come fa, assorbe tutti gli altri sentimenti.
Volevo vivere in “larghezza”, anziché in altezza, per vedere se ancora sapevo
creare versi, come nella mia giovinezza, ch’era un tornare all’innocenza
perduta ed al meravigliarsi della vita. Il volo fu lento, grave. E le vertigini
non mancarono. Ma adesso volo sicuro ben sopra le nubi, vedo in basso
l’affannarsi degli uomini e benché il mio cuore sia incline alla pietà,
comprendo che nessuno potrà consolarli. Dio chiama chi vuole lui, e così
l’amore! Apro il “Cantico dei Cantici”:
se muovi gli occhi, rinnovi la luce.
Ridono le tue guance sotto i riccioli,
e il
collo trascolora tra le perle.
Tesseremo
per te dei fili d’oro
con
bisbigli d’argento.
Sei bella, amica mia, colomba mia,
se
muovi gli occhi, rinnovi la luce.
Sei bello, amico mio, diletto mio;
al
nostro letto di trifogli teneri
son
padiglione i rami dei ginepri,
fan da
fondale i cedri.
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