Carlo sulle "Biancane".
Molti componenti la famiglia di Carlo. tra i quali due sorelle, due fratelli e una zia!
Di me, della poesia. Nous sommes ici.
Nell’Antologia
popolare di poeti del Novecento, di Masselli-Cibotto, edita da Vallecchi, vol.
II, 1964, Firenze, si legge, a pag. 141, l’autopresentazione di Attilio
Bertolucci per le sue cinque poesie pubblicate in quel volume. Confesso che tra
le centinaia di libri di poeti e di poesie che mi sono passati tra le mani,
questa Antologia popolare è stata tra le più amate. In particolare mi colpì,
nell’età giovanile, la premessa di Bertolucci che oggi, vecchio, faccio mia,
presentando con parole ineguagliabili come le sue, sette poesie tradotte in
lingua francese da una amica, tra le più care, Lea Fayard, professoressa di
letteratura francese all’Università di Aix en Provence.
“…ho cominciato a scrivere poesie
prestissimo, avrò avuto sette anni. Se dicessi che oggi ne so meno di allora la
ragione, mi potreste darmi del bugiardo. Tutti i libri che ho letto sul perché
si scrivono poesie, da quelli dei filosofi che esaminano la questione da un
punto di vista generale a quelle dei poeti stessi che hanno cercato di
rispondere in base alle loro esperienze, non mi hanno insegnato nulla. Così ho
continuato e continuo a scrivere poesie senza sapere bene perché, ed è certo
che difficilmente la smetterò. Qui si può trovare almeno un’utile indicazione
sull’argomento: che ho conservato senza vergognarmene troppo un’abitudine (mi
verrebbe voglia di scrivere un vizio) che risale all’infanzia. Chiaro dunque
che il poeta è uno che non riesce a diventare interamente maturo. Impossibilità
che gli deriva dalla tendenza, viva nei fanciulli morta nei grandi, a
meravigliarsi. Forse ci siamo, il poeta scrive perché si meraviglia delle cose
che vede…Ad ogni modo, se è vera questa storia del meravigliarsi, è pure vero
che la poesia nasce dalla felicità, che sempre s’accompagna alla meraviglia.
Felicità della quale il poeta sente in modo acutissimo la fragile precaria
natura: ed è per questo che egli s’affretta a fermarla, a tentare di fermarla,
descrivendola…il fatto è che le cose non sono mai le stesse, perché il tempo se
le porta via come un fiume, il tempo, cioè la morte. Della quale pure non è
possibile non meravigliarsi a tutte le ore, i minuti del giorno e della notte.
Dunque il poeta si meraviglia della bellezza delle cose, e si meraviglia del
tempo che passa e le trasforma, della morte che le distrugge, e vorrebbe
salvarle tutte.”
Ho scritto la
mia prima poesia quando avevo dodici anni. Veramente erano due poesie,
piuttosto tristi per quell’età: una parlava delle macerie di una casa del Borgo
distrutta dalle cannonate degli americani, l’altra della morte del mio nonno
Dario. Scrivevo poesie perché ero molto timido e non parlavo volentieri del mio
“segreto dolore”. Non imitavo altri poeti dato che in casa non avevamo allora
nemmeno un libro, ma usavo vocaboli difficili perché nella malaugurata scoperta
del mio quaderno, nessuno potesse risalire alla realtà. Oggi mi piacerebbe
scrivere poesie infantili, cantilene e filastrocche. D’altra parte lo afferma
anche un proverbio: “i vecchi sono due volte bambini”.
Chiudo questa “confessione”
con un irriverente riepilogo, che vuol rendere omaggio all’intuizione di
Bertolucci, nel senso che, pur con limitati mezzi espressivi, ho tentato di
salvare la bellezza dei miei maravigliamenti e paure, scrivendoli, nell’impossibile
tentativo di salvarli tutti, almeno su memorie elettroniche, ed in parte
cartacee:
900 poesie
circa; 17 racconti; 29 saggi storici; 1 romanzo incompiuto; 13.000 proverbi
licenziosi; 97 sogni finti e 4 sogni veri; e un imprecisato numero di aforismi,
epitaffi, stornelli e citazioni; in più centinaia, molte centinaia, di lettere
e cartoline.
Nella mia vita
ci sono stati periodi di aridità, ma uno fu particolarmente sofferto: dall’estate
1985 al 1997. Tutto iniziò a seguito della provocatoria proposta di Franco
Fortini sull’Unità del 14 giugno 1985, cioè di mettere in atto un black-aut poetico per almeno 5 anni! Una
moratoria o, meglio un Decreto Legge per impedire la pubblicazione di nuovi
testi di poesia non anonimi. Secondo Fortini se ne sarebbero ricavati
innegabili vantaggi, tra i quali: riduzione drastica degli imperversanti scrittori
di versi di almeno l’80%, in modo da lasciar respirare gli editori seri in
grado di affrontare con maggior calma e discernimento la lettura (e la
valutazione) della montagna di manoscritti ricevuti. Si sarebbe ridotto così,
fin quasi a sparire, il “commercio” degli editori a pagamento che prosperavano sull’ingenuità
dei poeti decisi ad ogni costo a stampare le proprie opere. Fortini consigliava
ai poeti di non pubblicare alcune poesia
che non sia “stagionata” di almeno 4 anni (ma sarebbe stato meglio
arrivare a 10 anni e più). I versi vanno lasciati invecchiare, non in un
cassetto, ma in una botte di rovere, come un buon cognac! Si intendeva vietare di leggere i propri versi a meno di
un conveniente compenso, in tal caso però sarebbe stato pagato il lettore e non
il poeta. Fortini concludeva: fuggite come la peste chiunque vi proponga di
fare della scrittura letteraria la méta suprema della vostra vita. I grandi
editori pubblicano raramente libri di poesia. Suppliscono uno stuolo di editori
minori, sempre a pagamento, che anche in Toscana, ma maggiormente al Sud, hanno
impiantato vere e proprie industrie per lo sfruttamento sistematico di poeti in
cerca di una gloria assai improbabile, sfornando volumetti, anche graficamente
assai sgradevoli, intascando un milione o due per qualche centinaio di copie di
un testo che è difficilissimo perfino regalare!
Non ci
dimentichiamo che in quelle settimane il poeta Eugenio Montale si apprestava a
ricevere il Premio Nobel della letteratura: il vate dell’italietta del centro-sinistra
che aveva lanciato una estrosa scomunica contro i poeti recitanti nei vari
Festival in voga nei tardi anni settanta. Il poeta recitante nelle spiagge e
nelle piazze deve essere apparso a Montale più che orribile, mostruoso; il
culmine, forse, dove si consumava la sua infinita desolazione. Ed oggi che i
poeti viventi con almeno un volume
pubblicato in Italia sono oltre trecentomila?
Il mio
ammutolimento durò circa 12 anni, quando pubblicai qualcosa sulla rivista
trimestrale La Comunità di Pomarance, e infine, alcuni anni dopo, mi decisi a
fare tutto da solo: stampa privata di piccoli volumetti, non in commercio, ma
per soli amici ed amiche che
preventivamente avevano aderito alla mia iniziativa dietro il semplice rimborso
delle spese vive di stampa, dai 3 ai 5 € al massimo a copia per tirature dai
200 ai 350 libriccini. Proprio come le prime edizioni sfornate dal mio amato
Saba!
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