LA DIVERSITA’ UMANA NON ESISTE. L’UOMO APPARTIENE A
UNA SOLA RAZZA, LA SPECIE “HOMO SAPIENS SAPIENS”.
Ricordo di aver letto una bellissima intervista
rilasciata dal genetista Luigi Luca
Cavalli Sforza, nel 2009 a Trieste, a margine di un Convegno dal titolo “La
diversità umana”. Come sappiamo il genetista Cavalli Sforza è considerato un’autorità
di spicco internazionale nel campo della genetica delle popolazioni.
Lo scienziato italiano,
che per circa quarant’anni ha lavorato alla Stanford University in California,
è stato tra i primi a chiedersi se i geni dell’uomo moderno contengano ancora
una traccia della storia dell’umanità e ha dimostrato che l’uomo appartiene a
una sola e unica razza, la specie “Homo sapiens sapiens”, e che due gruppi
etnici che presentano un aspetto esteriore diverso, come il colore della pelle,
possono essere invece molto simili dal punto di vista genetico. Come, al
contrario, gruppi con caratteristiche somatiche simili possono presentare
grandi differenze genetiche al loro interno.
“Professor Cavalli
Sforza, la scienza ha ormai escluso la possibilità di dividere l’umanità in
razze, lei stesso ha contribuito a togliere ogni fondamento al pregiudizio
razziale. Cos’è dunque il razzismo? O meglio, perché non può esistere per ragioni
scientifiche?
«Il
razzismo è l’intolleranza per le persone che sono un po’ diverse da noi. Certo,
ci sono differenze visibili, poche e non importanti, come per esempio il colore
della pelle, che aiutano a stabilire la diversità. Soprattutto però vi sono
differenze di costumi, largamente superficiali, che sono il risultato
dell’apprendimento, dipendono dalla società in cui viviamo. Il nostro aspetto
del resto coinvolge una frazione relativamente piccola del codice genetico
della razza umana. Ecco perché individui che discordano su pochi geni, relativi
al colore della pelle per esempio, possono invece avere in comune
caratteristiche genetiche molto più complesse, anche se non visibili».
“Più di dieci anni fa, nel libro ”Geni, popoli e lingue” ha dichiarato che l’educazione avrebbe relegato il razzismo agli errori e orrori del passato. A cosa dobbiamo allora gli episodi di microrazzismo quotidiano che abita alle fermate dell’autobus, nei pianerottoli dei condomini, ai tavolini del bar?”
«La
realtà è che l’educazione è rimasta molto indietro. Bisogna quindi far
circolare più cultura. Che tra l’altro determina la diversità umana, più
largamente della genetica ed è stata il motore trainante dell’evoluzione».
“Perché secondo lei la componente davvero
importante dell’evoluzione dell’uomo moderno è la sua evoluzione culturale?»
«Be’
l’evoluzione culturale è ciò che realmente differenzia i gruppi umani. Le
differenze genetiche tra le popolazioni infatti sono molto modeste. Non c’è
stato tempo né motivo per creare grosse differenze genetiche nei 60 mila anni in
cui una singola, piccola popolazione africana si è diffusa in tutto il mondo.
Le grandi differenze sono tra individui mentre quelle tra popolazioni sono una
piccola percentuale. Cose superficiali come la forma del corpo, il colore della
pelle, che rispondono a necessità ambientali. Ciò che conta quindi non sono le
novità biologiche, cioè le mutazioni genetiche, ma le novità culturali, cioè le
invenzioni che hanno cambiato profondamente la nostra vita. Ecco perché
l’evoluzione culturale determina l’evoluzione genetica».
“Ma se il patrimonio genetico si
trasmette per via ereditaria, come si trasmette la cultura?”
«La
forza trainante è la comunicazione stabilita dal linguaggio, che permette di
comunicare a tutto il mondo, oggi molto rapidamente, una nuova idea. Quel che
rende l’evoluzione culturale molto più rapida di quella biologica, è che ogni
novità biologica è costituita da mutazioni che avvengono di rado, in un
individuo solo, e si diffondono poi solo ai figli, e da questi ai nipoti ecc.
Per cui occorrono molte generazioni perché una novità biologica si diffonda a
tutto il mondo: in un caso concreto, come il colore della pelle bianca o nera,
diecimila o più anni. Invece oggi una novità culturale, come un’invenzione per
esempio, può diffondersi in minuti, addirittura secondi, in tutto il mondo. La
cultura, comunque, proprio come la mutazione genetica, è un meccanismo di
adattamento».
“Ma cos’è per lei la cultura?”
«La
cultura è costituita da tutto ciò che può essere appreso: la fabbricazione di
utensili, la scrittura, l’arte, le conoscenze scientifiche, il modo di vestire.
Cultura è l’accumulo globale di conoscenze e di innovazioni, derivante dalla
somma di contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni e diffusi
al nostro gruppo sociale, che influenza e cambia continuamente la nostra vita.
È l’elemento differenziante l’uomo da tutti gli altri animali, è la
straordinaria quantità di conoscenze accumulate nel corso dei millenni, il cui
apprendimento ha contribuito in modo determinante a forgiare il nostro
comportamento. Ogni generazione aggiunge qualcosa all’eredità ricevuta. E il
presente si comprende solo cogliendo nel profondo ogni tappa di questo
cammino».
“A proposito di tappe,
professore lei ha iniziato la sua attività di ricerca in Italia, a Pavia. Poi
Milano, Cambridge, Parma, per abbandonare definitivamente il nostro Paese nel
1971, quando si è trasferito in America. Dopo quasi 40 anni perché ha deciso di
tornare”?
«Mi
ha riportato in Italia il desiderio di essere vicino ai figli. E inoltre oggi
ho programmi di ricerca più interessanti in Italia, come la mappatura del
genoma italiano in collaborazione con l’Avis e la grande iniziativa editoriale
targata Utet sull’evoluzione culturale del nostro Paese, “La cultura italiana”.
Un’opera in dodici volumi, di cui sono già usciti i primi due, attraverso la
quale si vuole compiere un’analisi multidisciplinare della cultura del nostro
Paese».
“Un’opera che lei stesso dirige. Una sua
idea?”
«Sì. Quest’idea è nata in America, per ragioni sentimentali. Conoscevo molti
italoamericani che non avevano nessun orgoglio delle loro origini, a differenza
per
esempio degli irlandesi. E così ho pensato a un modo per far conoscere la
ricchezza culturale della loro terra di origine. Per questo spero che l’intera
opera sia tradotta. In ogni caso anche in Italia ritengo sia molto importante
far conoscere la nostra cultura. In fondo possiamo essere orgogliosi di essere italiani».
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