Niccolò
Tommaseo.
Cercando di portar un po’ di
pedagna nel fuoco della raccolta di proverbi licenziosi ed aforismi
moraleggianti (opera infinita per la quale mi manca il coraggio di porre la
parola FINE), mi sono accostato all’immensa opera di Niccolò Tommaseo, una figura eclettica del secolo XIX, con
all’attivo ben 233 volumi e circa 160 opuscoli stampati, senza contare l’enorme
carteggio (sul quale ho potuto gettare solo uno sguardo alla ricerca di spunti e commenti al suo
Dizionario). Mi sono avvalso di due volumi, che qui segnalerò: “Opere”, a cura
di Aldo Borlenghi, edito da Ricciardo Ricciardi, Milano-Napoli, 1958, pp.
XLV-1030 (contenente, in particolare, le poesie ed il romanzo Fede e bellezza,
oltre che una selezione di lettere, tra le quali primeggiano quelle scambiate
con Gino Capponi), e il “Dizionarietto
Morale”, Firenze Successori Le Monnier, 1867, pp. 268, in ristampa anastatica
rilegata da Le Monnier, nel 2002,
in occasione del Bicentenario della nascita di Tommaseo
(Sebenico, 1802 – Firenze, 1874). Come sappiamo, Tommaseo, dettò centinaia di
motti e sentenze, e nell’arte dell’aforisma spesso vi raggiunse il suo culmine.
Da tale immenso patrimonio ne ho ricavati 93 che sono entrati di diritto a far
parte della mia raccolta. Eccone cinque:
Lodare certi potenti,
gli è come buttar fiori in un fiume; l’acqua li sciupa, li porta via, senza
sentirne l’odore, né farlo sentire.
Maestro, per celia in
Toscana, anco il boia. Un mestiere anco quello; e non il più ignobile.
Mandra, in origine, è
il luogo dove il bestiame s’accoglie; e, per estensione, il bestiame stesso;
come (perdono alla comparazione) diconsi camera i deputati, e gabinetto i
ministri.
Le grandi cose
preparansi a bell’agio, in un punto si fanno. Lungamente lo spirito di Dio
s’agitava sulle acque: a un tratto Dio dice, e la luce è.
In fatto di politica
e d’educazione, il più difficile è liberarsi dai liberatori.
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