venerdì 6 dicembre 2013

Niccolò Tommaseo.

Cercando di portar un po’ di pedagna nel fuoco della raccolta di proverbi licenziosi ed aforismi moraleggianti (opera infinita per la quale mi manca il coraggio di porre la parola FINE), mi sono accostato all’immensa opera di Niccolò Tommaseo,  una figura eclettica del secolo XIX, con all’attivo ben 233 volumi e circa 160 opuscoli stampati, senza contare l’enorme carteggio (sul quale ho potuto gettare solo uno sguardo  alla ricerca di spunti e commenti al suo Dizionario). Mi sono avvalso di due volumi, che qui segnalerò: “Opere”, a cura di Aldo Borlenghi, edito da Ricciardo Ricciardi, Milano-Napoli, 1958, pp. XLV-1030 (contenente, in particolare, le poesie ed il romanzo Fede e bellezza, oltre che una selezione di lettere, tra le quali primeggiano quelle scambiate con  Gino Capponi), e il “Dizionarietto Morale”, Firenze Successori Le Monnier, 1867, pp. 268, in ristampa anastatica rilegata da Le Monnier, nel 2002, in occasione del Bicentenario della nascita di Tommaseo (Sebenico, 1802 – Firenze, 1874). Come sappiamo, Tommaseo, dettò centinaia di motti e sentenze, e nell’arte dell’aforisma spesso vi raggiunse il suo culmine. Da tale immenso patrimonio ne ho ricavati 93 che sono entrati di diritto a far parte della mia raccolta. Eccone cinque:

Lodare certi potenti, gli è come buttar fiori in un fiume; l’acqua li sciupa, li porta via, senza sentirne l’odore, né farlo sentire.

Maestro, per celia in Toscana, anco il boia. Un mestiere anco quello; e non il più ignobile.

Mandra, in origine, è il luogo dove il bestiame s’accoglie; e, per estensione, il bestiame stesso; come (perdono alla comparazione) diconsi camera i deputati, e gabinetto i ministri.

Le grandi cose preparansi a bell’agio, in un punto si fanno. Lungamente lo spirito di Dio s’agitava sulle acque: a un tratto Dio dice, e la luce è.


In fatto di politica e d’educazione, il più difficile è liberarsi dai liberatori.

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