Emergenza vs. normalità: una dicotomia inevitabile?
A proposito di COVID e dintorni
Stato di emergenza
La parola “emergenza” ha costellato le nostre giornate nell’epoca del
Coronavirus. E con ragione. Infatti, il 31 gennaio 2020 il Consiglio dei
ministri ha dichiarato lo “stato di emergenza”, dopo che il giorno
precedente l’Organizzazione mondiale della sanità aveva affermato che
“ the outbreak of 2019-nCoV constitutes a Public Health Emergency of
International Concern”.
Che cosa sia un’emergenza è intuitivo, lo abbiamo visto all’opera nelle
nostre vite: qualcosa di improvviso e sconvolgente, che ci porta fuori dalla
“normalità”, cioè dalla “ordinarietà”, dalla “regolarità” delle cose,
introducendo elementi di a-normalità, dis-ordine, stra-ordinarietà, ir-
regolarità.
La stessa etimologia della parola italiana (e inglese), dal latino e-mergere,
composto di e (fuori) + mergere (affondare, tuffare), ci mostra che
l’emergenza è qualcosa che viene a galla, che spunta fuori.
L’emergenza porta con sé un corollario di altre situazioni e parole:
l’urgenza (con tutto il suo connotato semantico di “incalzare”, “premere”:
urgere), la necessità (con la sua carica di inevitabilità: nec-cessum),
l’eccezione (anch’essa con il senso di “trarre fuori”: excipere).
Insomma, l’emergenza è una situazione di fatto, un accadimento o un
insieme di accadimenti che fuoriescono dall’ordinario, che capitano
improvvisamente. Potremmo dire: è un in-previsto.
Ma va subito aggiunto: un imprevisto che non reca con sé niente di buono.
Anzi: sono guai.
Previsione e precauzione
Da sempre, gli esseri umani - e le società assai sofisticate ed evolute che
essi formano – cercano di “pre-vedere” (cioè “vedere prima”) gli
accadimenti, in modo tale da farsi trovare “pre-parati” (prae-parare: avanti
+ apparecchiare) o “pronti” (promptus: promere, mettere fuori). Si tratta di
un’esigenza antica, legata com’è alla stessa sopravvivenza della specie: chi
è in grado di “pre-vedere” un fenomeno può “arrivare prima” (cioè prae-
venire). Insomma, ha una “marcia in più” rispetto agli altri, grazie alla
quale accresce le possibilità di sussistenza sue e della sua stirpe.
Il tentativo di prevedere gli avvenimenti per millenni si è intrecciato con il
sacro e il soprannaturale. Ha rappresentato uno dei principali desideri
umani, strettamente collegato all’immortalità. Ah, la famosa palla di
cristallo, per conoscere il futuro! Potremmo persino leggere la storia
dell’umanità come un percorso di accrescimento di questa capacità di
“prevedere”, finalizzata a “prevenire” accadimenti negativi, per
neutralizzarli, o addirittura per trarne benefici. Gli sviluppi della scienza ci
hanno dotato di strumenti sempre più sofisticati di previsione degli
accadimenti naturali e persino nelle scienze sociali sono stati messi a punto
indicatori per prevedere i comportamenti umani e le loro conseguenze. Un
vero e proprio nuovo principio, detto di “precauzione” è stato forgiato, e si
è iniziato a parlare, in molteplici campi, di “mitigazione dei rischi”.
L’emergenza, insomma, si determina quando, per qualche ragione, il
meccanismo del “prae” non funziona e un accadimento (negativo)
imprevisto ci piomba addosso. Possiamo (nel senso di “sappiamo”)
prevedere, più o meno, sulla base dell’esperienza, quanti saranno, il
prossimo anno, i casi di tumore al seno, o gli incidenti stradali che
implicano danni cerebrali, o quanti bypass coronarici saranno richiesti, ma
non possiamo-sappiamo prevedere un’epidemia. O, almeno, stavolta non
abbiamo potuto-saputo farlo.
Gli imprevisti tra fatto e diritto
Di fronte a una situazione “imprevista”, come davanti a una incalzante
domanda, ecco allora scattare l’esigenza di risposte, anch’esse
“impreviste”.
Al mondo delle risposte appartiene il diritto. In queste settimane sulle
nostre vite, ben più dei fatti (riconducibili, nel caso di una epidemia, a
malati e morti, spesso ridotti a crude cifre, per chi non sia stato colpito
direttamente o nei suoi affetti), ha inciso il diritto. Un profluvio di
provvedimenti normativi che, come una ragnatela a maglie sempre più
strette, è calata sulle nostre vite, imbrigliando i nostri comportamenti,
orientandoli e determinandoli fin nei minimi dettagli.
Superato il primo momento di stupore di fronte a tanta e così dettagliata
produzione normativa (si è preteso di regolare abbracci, starnuti e finanche
gli sbadigli), va però detto che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Nel
senso che il diritto, come regola di condotta delle (e per le) società umane,
è sempre una reazione ad accadimenti. In questa relazione con i fatti sta
l’essenza stessa del diritto, la sua vera e propria giustificazione, almeno da
quando si sono affermate le concezioni contrattualistiche del legame
sociale. Ciò è ancora più importante, anzi, è essenziale, quando il diritto
venga ad incidere sui “diritti”, cioè sulle libertà dei consociati:
nell’adeguatezza ai fatti sta la ragionevolezza delle norme giuridiche.
In sostanza, la stra-ordinarietà dell’emergenza non muta l’ordinario
rapporto tra fatti e diritto.
I principi della democrazia costituzionale
In questo trovo che i nostri costituenti siano stati assai perspicaci. Essi
hanno coscientemente (come ci mostrano i lavori preparatori) evitato di
prevedere risposte eccezionali per situazioni di emergenza. In particolare, a
differenza di molti altri, hanno evitato di introdurre clausole derogatorie o
sospensive per i diritti e le libertà.
In altre parole, i diritti possono essere limitati, anche in situazioni di
emergenza, così come in quelle di “normalità”, sulla base di principi
cardine delle democrazie costituzionali. Innanzitutto il principio di legalità
(rule of law), ovvero con l’intervento di norme primarie, nel rispetto della
separazione dei poteri, della trasparenza dei processi decisionali, della
giustiziabilità degli atti. Quindi la proporzionalità: le misure adottate
debbono essere finalizzate a risolvere l’emergenza e debbono essere
proporzionate rispetto alle situazioni di fatto, limitando nella misura
minima necessaria i diritti che sono coinvolti e senza toccarne il nucleo
essenziale. Infine la temporaneità: le misure di emergenza debbono
rimanere circoscritte nel tempo, essendo collegate alle situazioni
straordinarie che ne sono all’origine.
I costituenti peraltro non hanno ignorato l’eventualità di un’emergenza,
stabilendo, nell’articolo 77 della Costituzione, una procedura che consenta
una risposta rapida per situazioni di “straordinaria necessità ed urgenza”,
tramite uno strumento normativo ad hoc, il decreto-legge, che dà al
governo la possibilità di intervenire con immediatezza, senza tagliare fuori
il parlamento, cioè l’organo direttamente rappresentativo della volontà
popolare.
Possiamo (e dobbiamo) a questo punto precisare quanto detto. Nel nostro
ordinamento la straordinarietà di eventi imprevisti può ben richiedere
risposte proporzionalmente straordinarie, per un tempo limitato, da adottare
nel rispetto delle procedure previste dalla Costituzione.
Emergenza e risposte ragionevoli
Entro queste coordinate, che costituiscono un presidio sia in termini
democratici che di garanzia dei diritti, la risposta (cioè il diritto) dipende
dalla domanda (cioè dal fatto). Perché, al di là del comune carattere di
“imprevisto”, ogni emergenza pone esigenze differenti: non si può fare di
ogni erba un fascio.
L’emergenza che ci siamo trovati a vivere, anzi che stiamo vivendo, è
radicalmente diversa, ad esempio, da quella che può insorgere a seguito di
minacce terroristiche, oppure di calamità naturali come terremoti o tsunami
o, ancora, di una repentina crisi finanziaria.
Da un lato, siamo di fronte a una minaccia che tocca non soltanto un
interesse pubblico, ma uno specifico diritto, quello alla salute, riconosciuto
come tale a livello internazionale e nazionale, strettamente collegato con un
diritto considerato come assoluto (ovvero non bilanciabile con altri), cioè il
diritto alla vita.
Dall’altro, alcune delle decisioni politiche finalizzate a garantire tale diritto
(non tutte: ci sono anche obbligazioni positive, cioè di fare: costruire
ospedali, assumere medici, acquistare respiratori, distribuire mascherine,
intervenire a sostegno dell’economia, prevedere sussidi ecc.), quelle volte a
ridurre il rischio di contagio, possono essere valutate, nei loro contenuti,
soltanto in riferimento a conoscenze scientifiche che restano al momento
assai contraddittorie e limitate.
Insomma, come tutti gli accadimenti tra i quali gli esseri umani si trovano a
destreggiarsi, su questa terra, anche quelli imprevisti (cioè emergenziali)
richiedono risposte ragionevoli: richiedono cioè che il lumicino della
ragione non si spenga nemmeno di fronte ai forti venti contrari, col loro
turbine di paure e incertezze che li accompagnano. Anzi, proprio in questi
momenti è più necessario che mai che resti acceso e continui a guidare i
decisori politici e in definitiva il comportamento di noi tutti.
Tania Groppi
Professoressa ordinaria di istituzioni di diritto pubblico
Università degli studi di Siena