PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI. CAP. 87.
(1981)
Le fatiche delle montagne e le fatiche
delle pianure…
Verso il XII° Congresso della Fnle-Cgil di Larderello
Questo numero “speciale” di “Informazioni Fnle-Cgil
Larderello” è dedicato alla pubblicazione di un raro opuscolo scritto
dall’avvocato Umberto Grilli sul “Processo di Volterra per i fatti del 24
settembre 1911 a Piombino” e pubblicato a Massa Marittima nel 1912.
E’ una pagina della dura e travagliata
lotta dei lavoratori italiani contro l’autoritarismo padronale e statale, che
un filo rosso di continuità lega a vicende a noi più vicine e ancora attuali:
alla teorizzazione degli opposti estremismi, all’incriminazione degli anarchici
Valpreda e Pinelli per la strage di Piazza Fontana, al non chiarito ruolo dei
servizi segreti e di importanti apparati dello Stato nell’opera di provocazione
contro il movimento operaio e studentesco, alle stragi di Portella della
Ginestra, Melissa, Montescaglioso, Avola, Modena, Reggio Emilia, stragi
effettuate dalla “banda Giuliano” al soldo dei latifondisti e caporioni
democristiani e dalla polizia di Scelba e di Tambroni, ministri della
Repubblica Italiana.
Un filo rosso di lotte che hanno
coinvolto anche le nostre zone, dai grandiosi scioperi del 1919-1920 contro la
politica dei bassi salari della Società Boracifera Larderello diretta dal
principe Piero Ginori Conti, fino alle lotte dei mezzadri ed alla ricostruzione
degli stabilimenti con il primario apporto dei lavoratori, alle lotte per un
unico contratto “elettrici” negli anni ’50, che segnarono una grave sconfitta e
portarono elementi di divisione in tutto il tessuto sociale della Valdicecina,
sui quali si inserì la politica di Fascetti e del dottor Bruno, fino
agli anni più recenti, alle lotte per la nazionalizzazione, per l’assorbimento
in organico dei lavoratori delle ditte appaltatrici e per lo sviluppo delle attività
geotermiche e l’occupazione giovanile.
Si parla oggi, a fronte di taluni
atteggiamenti delle nuove generazioni, a sintomi di “imbarbarimento” della
società ed anche ad elementi di disorientamento politico in chi si richiama ad
ideali rivoluzionari e progressisti, di “mancanza di coscienza storica”, non
solo cioè mancanza di partecipazione diretta, ma di formazione culturale, di
conoscenza, di metodi organici formativi per una concezione della vita e della
storia capaci di ricondurre il particolare al generale e, quindi, di ricomporre
anche una identità unitaria in ogni individuo per superare la solitudine,
l’angoscia, l’egoismo, l’alienazione, lo sdoppiamento tra pubblico e privato,
che tanto spesso si manifestano tra i giovani e di cui il rifugio nel labirinto
mortale della droga e l’identificazione in teorie dell’irrazionale e della
violenza non sono che le manifestazioni più esteriori.
Certo, è la società nel suo insieme che
deve essere cambiata affinché nuovi valori, nuovi ideali si affermino. Non
possiamo ignorare che viviamo in uno dei momenti nei quali – come afferma Marx
nel Manifesto dei Comunisti – per alcuni paesi, e in ogni caso per l’Italia, o
si avvia una trasformazione rivoluzionaria della società o si può andare
incontro “alla rovina delle classi in lotta” e cioè alla decadenza di una
civiltà, alla rovina di un Paese.
Dal 1911, epoca dei fatti di Piombino,
fino ad oggi, la classe operaia ha conosciuto in tutto il mondo, un grandioso
sviluppo economico, sociale e politico. Anche nei paesi a capitalismo avanzato,
dove esistono forme di democrazia liberale e borghese, essa appare oggi come
l’unico soggetto veramente capace di una grande opera di trasformazione, quella
trasformazione che tenda ad una ripartizione delle risorse su scala mondiale in
modo ugualitario, all’annullamento degli sprechi e, attraverso un nuovo modello
di vita individuale, alla costruzione di una società più giusta, realmente più
libera, più democratica, più umana.
Anche il sindacato italiano, con i suoi
milioni di iscritti, e con la grande forza della sua tradizione e del suo
patrimonio di lotte sempre a difesa dei lavoratori e dei ceti più deboli, è uno
strumento fondamentale nel processo rivoluzionario del cambiamento della
società. Proprio per questo principale motivo esso è sempre al centro di uno
scontro di classe (che cambia forma a seconda degli orientamenti più generali
dominanti in un particolare periodo storico e per il peso e la presenza di
forze e correnti progressiste nel Governo), e si manifesta o con la repressione
o con la frantumazione e la divisione o con il creare, attraverso il controllo
dei mass-media, sfiducia tra i lavoratori stessi, intorno alle sue scelte, ai
suoi dirigenti, ai suoi ideali.
Singolare e chiaro è quanto sta
accadendo proprio in queste settimane contro il sindacato e contro la Cgil in
particolare, per il problema della “scala mobile” e la difesa dei redditi dei
lavoratori minacciati da una politica economica dissennata e da un Governo
incapace di offrire credibilità su un progetto globale di riforme e di sviluppo
nazionale.
La Fnle-Cgil di Larderello, che è parte
integrante del movimento di massa progressista e riformatore e si riconosce
pienamente nei valori e negli obiettivi politici della Cgil, terrà, tra pochi
giorni (7 maggio 1981), il suo XII° Congresso. Un congresso che cade, per
quanto attiene lo specifico della fabbrica e del territorio nel quale opera il
nostro sindacato, in una fase di apertura allo sviluppo. Sviluppo che, anche
per la nostra azione, è stato possibile e sul quale ci impegneremo con le
verifiche per non vanificare nella pratica attuativa, nelle meschine beghe
della lotta per le poltrone, degli aggiustamenti personali legati al
sottogoverno e alla lottizzazione politica più che alle reali capacità professionali,
i proponimenti e i contenuti politici nuovi e avanzati delle linee
programmatiche dell’Enel, per la geotermia.
Certo, il nuovo è ancora immerso nel
vecchio e stenta a liberarsi di questo abbraccio che può essere fatale. E’ bene
quindi meditare sulla necessità di appoggiare con ogni forza nostra le tendenze
innovatrici che anche nella conduzione della geotermia si manifestano e saper
dividere, allo stesso tempo, i problemi irrisolti dentro la nostra fabbrica e
irrisolti per tanti lavoratori, da questi obiettivi di carattere più generale.
Sui secondi deve instaurarsi un rapporto di aperta conflittualità con la
Direzione perché, tra l’altro, anche la loro soluzione è legata alla positività
del progetto generale. Noi misureremo la volontà politica dai fatti concreti,
dai risultati, e non firmiamo e non firmeremo cambiali in bianco, come qualcuno
vuol far credere, il nostro interesse è l’espansione produttiva, il giusto
rapporto tra produzione e occupazione, una vita democratica dentro la Fabbrica,
intesa non tanto come momento di sfruttamento e di sofferenza, ma come luogo di
incontro e di maturazione. Anche per questo motivo non ci innamoriamo né delle
formule organizzative, né dei Direttori: riconosciamo a loro l’importanza che
hanno, ma contiamo, come classe operaia, sui cambiamenti più profondi nella
mentalità democratica e tecnica di direzione aziendale e sulla forza di
organizzazione e di lotta dei lavoratori.
Il nostro XII° Congresso, che ci vede a
cinque anni di distanza dal precedente, notevolmente più forti anche sul piano
degli iscritti (nel 1976 = 475; nel 1980 = 591) e dell’organizzazione
complessiva e, quindi, dell’influenza in tutta la vita interna ed esterna alla
Fabbrica, dovrà significare un ulteriore rafforzamento e rinnovamento interno.
Abbiamo la volontà e gli uomini per farlo,
e lo faremo cercando il più vasto consenso degli iscritti e dei
lavoratori. Come abbiamo detto in altre occasioni, per vivere e svilupparsi ed
essere sempre più vicino ai problemi e alle speranze della gente, il sindacato
ha bisogno della partecipazione attiva dei giovani, delle donne, dei tecnici,
di tutti gli operai con un contatto permanente fatto di critiche, suggerimenti,
impegno, nelle fasi di elaborazione e solidarietà nelle lotte.
Ha bisogno di decentrarsi dentro le
fabbriche e nel territorio, di ritrovare lo slancio unitario dei Consigli
superando di fronte ai problemi, gli steccati ideologici e di parte, sempre
contrari, qualsiasi sia la loro matrice, ai veri interessi dei lavoratori.
Molte illusioni, è vero, sono cadute
intorno alla miracolistica conquista dell’unità del composito mondo sindacale
italiano. Oggi non si parla più di “unità organica” e anche “l’unità giorno per
giorno” non sempre è realizzabile. Anche molti compagni, adesso e nel passato,
hanno rivolto critiche alla pratica unitaria, perché in essa vedevano un
annullamento dei caratteri specifici della Cgil, un appiattimento dei valori,
un verticismo che mediava continuamente i contrasti interni e che, in ultima
analisi, sviliva il ruolo del sindacato.
Questi compagni non hanno tutti i torti
ad esprimere una critica così severa, soprattutto per la gestione burocratica
che si è fatta dell’unità, ma è bene riflettere ancora su alcuni punti
fondamentali ed essere onesti con noi stessi per dare una risposta: cosa
sarebbe stato del nostro Paese, sottoposto dal 1968 ad oggi a un attacco
reazionario di inaudita violenza, che si è manifestato con il terrorismo, il
qualunquismo, l’inflazione, il “non governo”, la corruzione, senza la
Federazione Unitaria Cgil-Cisl-Uil? Sarebbe possibile guardare ancora ad uno
sviluppo democratico della nostra Società? Sarebbero state possibili le
conquiste economiche e di democrazia ottenute dai lavoratori?
La democrazia è faticosa. Ognuno di noi
lascia qualcosa quando si unisce ad altri soggetti dalla provenienza culturale,
sociale, umana, la più varia., e si arricchisce, allo stesso tempo, e matura
una più consapevole visione dei problemi e della vita; si trasforma e trasforma
insieme, in un divenire che non è, per fortuna, regolato da dotrrine immutabili
ed eterne. A questo divenire, a questa unità tra diversi viandanti che
ricercano il giusto cammino, bisogna ancora guardare come al principale degli
obiettivi e non lasciarsi travolgere da difficoltà contingenti ma mpliate e
deformate, per fini non certo di solidarietà verso i problemi della classe
lavoratrice.
E’ in tal senso che non crediamo di
fare propaganda o di autoincensarci dicendo che la Fnle-Cgil è un sindacato in
espansione, giovane, con la più assoluta autonomia politica e la più ampia
democrazia interna, che ricerca l’unità con le altre Organizzazioni in un
rapporto chiaro e costruttivo. Pubblicando con tenacia il nostro “giornalino”
“Informazioni Fnle-Cgil Larderello” noi intendiamo, tra l’altro, non solo
informare, ma, se è possibile, dare elementi di conoscenza e di formazione
sulle più generali tematiche sociali, economiche e culturali, proprio nel senso
di coprire un piccolo spazio per l’innalzamento della coscienza di classe e
culturale dei compagni e dei lavoratori. Anche il “giornalino” è dunque uno
strumento aperto, pluralista, che non appartiene soltanto alla Fnle o a chi lo
scrive, ma che appartiene e vuole appartenere sempre più, ai lavoratori della
Fabbrica e della Zona.
E proprio per questi elementi noi
lanciamo in occasione del XII° Congresso un appello ad una nuova leva di
iscritti in tutti i posti di lavoro e realtà della nostra Fabbrica, superando
le concezioni del falso privilegio, del facile accomodamento personale, della
“paura” e dell’indifferenza, dell’estremismo sterile e settario, che talvolta
allontanano da noi i giovani, le donne, i tecnici, snaturando e impoverendo la
dialettica conflittuale nella Fabbrica e lasciando troppi spazi di manovra alle
posizioni che ancora esistono, del paternalismo e del sottogoverno.
“le fatiche delle montagne sono alle nostre spalle
davanti a noi le fatiche delle pianure”
Sono fatiche altrettanto dure, sono prove altrettanto
difficili quelle che ci attendono, ma se avremo il consenso della gente, se
agiremo con intelligenza e con passione per risolvere i problemi, se manterremo
questa salda e sincera amicizia nel gruppo dirigente, se non anteporremo il
nostro interesse personale a quello dei lavoratori, se sapremo vedere in tempo
i nostri errori e criticarli per trarre da essi insegnamenti, allora è certo,
compagni, che il nostro cammino non sarà fermato.
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