venerdì 23 maggio 2014


Iniziai il lavoro vero e proprio, alla Larderello SpA, dopo i 4 anni della Scuola Aziendale, il 22.2.1956 con la qualifica professionale di "manovale di sonda". In pensione, con la qualifica di "tecnico esperto in programmazione", il  31.7.1991.
Mio padre, Renzo, nato il 5.4.1915, l'aveva iniziato, sempre alla Larderello SpA, in data 27.4.1929. In pensione, con la qualifica di "saldatore specializzato", il 31.12.1968.
Prima di noi avevano lavorato, come operai comuni, alla Società Boracifera di Larderello sia mio nonno Dario (nato 1879), che il mio bisnonno Natale, nato nel Granducato di Toscana intorno al 1850.



Giorgio Caproni, il lavoro, la poesia e versi da nano.


Come si fa a parlare della propria vita e del proprio lavoro…Quand’ho detto che sono nato a Castelnuovo di Val di Cecina, in Toscana, in una data incerta, infine fissata al 3 settembre 1938 e che dalla nascita fino ad oggi ho sempre vissuto nel luogo natio ed aver studiato e lavorato nel grande centro industriale di Larderello, a soli quattro chilometri di distanza, dal settembre 1951 al luglio 1991  e di avere moglie, due figlie e due nipoti, mi par d’aver detto tutto, e nulla. Una vita infatti o la si riassume nei dati anagrafici, più gli altri documenti di rito, o la si monta in un romanzo (ad averne voglia e genio: che chiunque ha materia per scrivere le proprie Confessioni), o, come ho fatto io, la si vive, e zitti. Non mi sono mai sognato, questo posso dirlo, di far “lo scrittore”. Non ho mai fatto il poeta di professione. Non ho mai capito come lo si possa fare, giacché ho sempre pensato, in genere, che l’essere poeti sia, prima di tutto, una qualità fisiologica, non commerciabile, come l’aver un naso camuso, o a balloccia, o aquilino. Una qualità che non dipende – secondo le leggi della natura – da noi. Scherzi a parte, ammetto l’intervento della volontà sulla voglia di far poesia, non importa se piccola o grande. Giacché l’unico lavoro da me concepibile nella direzione della poesia (non esercitata per lucro: starei fresco) mi par che rimanga quello, fondamentale ed eterno, riassumibile nella primordiale fatica, da parte di ogni poeta che si reputi nato tale, di diventarlo davvero; cioè di tentare con tutte le proprie forze (istinto e cultura associati) di scoprire la propria anima vera  fra le varie anime posticce, o fantasmi di anime, suscitate dalla suggestione: che è come dire di scoprire la propria vera intima natura, e infine il modo più approssimato possibile (la poesia è sempre e soltanto approssimazione) per esprimere tale intima essenza (non importa se di gigante o di nano, ripeto) con sincerità. Nel mettere insieme questo post, nato dal ritrovamento del mio Libretto di Lavoro, ho largamente attinto ad uno scritto di Giorgio Caproni (un poeta che più di altri amo) che risale al 1966, e che ha guidato la mia riflessione sulla poesia, incitandomi a comporre versi da nano!

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