E io, ragazza gentile dal
sorriso triste…
Un omaggio a Esenin, Chagall, Fiumi e Holan.
Ricordo tutto di lei e
dell’incantesimo che mi stregò l’anima. La prima volta la vidi nella sala
d’attesa di uno Studio dentistico. Ebbi l’inatteso regalo di un sorriso acerbo,
triste. Pensai: ma com’è possibile che questa ragazza, novella venere emersa
dall’oceano del kaos e del nulla, abbia un dente ammalato? La seconda volta
venne a suonare alla mia porta: cercava proprio me, per un piccolo lavoro
scolastico. Se ne andò contenta. Vecchi così giovani e dalla viva memoria non
se ne trovavano molti. La terza volta, quella fatale, fu una sera d’estate
sotto i tigli. S’incontrarono gli occhi e ancora non riesco a comprendere come
fu che a lei mi rivolgessi con parole ardite. Le dissi che l’amavo, per la sua bellezza.
A tale proposito aggiunsi che non dovevano essere, le mie, parole nuove, perché
la bellezza è un dono difficile da nascondere e non sarei stato certamente il
primo a farglielo notare. Fu un anno mirabile, ricco di eccezionali minimi
avvenimenti. Il più sorprendente, uno strano rapporto tra noi. Per la maggior
parte furono coinvolte le onde elettromagnetiche, altre volte, gli occhi, le
mani, le labbra, i capelli, i denti, i vestiti, i profumi, le canzoni…infine ci
fu un incontro speciale, nella città di***, dove ebbi modo di ammirarla in
un’eleganza inconsueta; non fui il solo a notarla, era al centro
dell’attenzione generale…il nostro legame si fece più intimo. Convertiti ai
nuovi sistemi di comunicazione eravamo immersi nelle onde elettromagnetiche. Naturalmente
camminavamo sull’alta corda di un circo, sospesi nell’aria, senza alcuna
protezione, perché tutto c’era precluso sulla terra. Dopo essere avanzati
pericolosamente, in un miracoloso equilibrio, la corda oscillò ed entrambi
cademmo al suolo. Mi leccai le ferite che sanguinarono a lungo. Lei, uscì dalla
mia vita. Uscì, si fa per dire! Il tempo implacabile continuava la sua marcia
verso l’infinito, passarono gli anni…poi, una sera d’autunno c’incontrammo: poche
parole, freddo, paura. Infine la sognai, per la prima volta: eravamo seduti al
Caffè Flora, e dalla bianca camicetta sbottonata fissavo i suoi capezzoli rosso
bruni, come more selvatiche, finché l’intero sogno svanì. Pochi giorni dopo,
mentre stavo parlando con una amica tra la gente che affollava un mercato
rionale, eccola avvicinarsi nella nostra direzione. Scorgendomi ebbe il moto
istintivo d’abbracciarmi, ma, repentinamente cambiò idea, si bloccò tendendomi
la mano. Sorridemmo entrambi, un po’ impacciati, scambiandoci due baci
d’amicizia. Oh! in quei due baci lievi tutto riemerse dal profondo e il cuore
sobbalzò come quando l’attendevo nel crepuscolo…
Mi godo
quest’ora arcana del giorno
che muore
senza stelle
nella frescura
d’una brezza marina.
In alto, i
castagni in fiore,
riverberano
l’ultima luce,
mentre nel
boschetto dei ciliegi
l’usignolo
apre il suo concerto
appassionato.
Si direbbe la felice
conclusione di
un giorno perfetto
se non mi
stringesse una pena
il cuore,
l’assenza di te.
Che il nostro sogno
non avrà mai fine
lo sappiamo,
se pur dell’ultimo
bacio il
grande ardore è svanito
e nulla rimane
di quegli sguardi
languidi, di
quel verginal tremore.
Ti dico addio
sul piccolo pianeta
che mai
rivedrò,
occhi di
velluto, bocca di rubino,
oh! desiderio
di baci immaturi,
turgidi seni
che non stringerò!
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