Norma Parenti: i “cercatori” sono stati “cercati”.
A distanza di sessantotto
anni dalla morte di Norma, quando ormai tutto sembrava essere stato detto,
visto, onorato, celebrato, della sua folgorante e tragica esperienza di partigiana
nelle fila della III Brigata Garibaldi “Banda Camicia Rossa”, operante, tra le
primissime in Italia, nel territorio di Massa Marittima, ecco, quasi per un
miracolo della storia, dopo anni ed anni di ricerca e di attesa, il documento
definitivo sulla morte di Norma: la “Relazione Peritale di morte” redatta dal
professor Enrico Cheli, assistente all’Istituto di Anatomia Patologica
dell’Università di Pisa e medico all’Ospedale S. Andrea di Massa Marittima. Il
25 giugno 1944, su incarico ed in presenza del Pretore di Massa Marittima, il
prof. Cheli procedette, nella sala mortuale del cimitero massetano, all’esame
del cadavere di Norma Parenti “deceduta in circostanze degne di accertamento
medico-legale”. Il Pretore pose al perito incaricato quattro quesiti importanti
dandogli un termine di trenta giorni per la risposta. Nel tempo predetto fu
redatta la relazione finale in sei pagine dattiloscritte. Un documento
importante, dal valore storico notevole, che approfondisce, chiarisce e
corregge quanto finora era conosciuto da testimonianze indirette e parziali.
Senza poter affrontare in questa sede un esame critico e comparato sulle
estreme ore del martirio di Norma, posso avanzare un solo interrogativo: perché
non si aprì immediatamente un fascicolo riguardante il ruolo dei fascisti
repubblichini di Massa Marittima, tra i quali aveva un ruolo primario il
famigerato Giovanni Nardulli, fuggito al Nord e successivamente catturato e
condannato a morte ad Asti, nonostante che tra gli assassini e seviziatori di
Norma le testimonianze indicassero la presenza di numerosi militi italiani?
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