Domande,
riflessioni, sulla parola e sull’essere poeta.
Stamani, uscendo di casa, ho
incontrato una signora che conosco, alla quale avevo messo nella cassetta della
posta il depliant pubblicitario stampato con la fotocopiatrice), reclamizzando
l’uscita del mio libro e chiedendo una gradita sottoscrizione. Sorridente mi ha
detto che sì, desiderava il mio libro, dato che “…come immaginava, avrebbe
parlato di temi paesani, del nostro piccolo paese…”. Ecco, vedi, questo libro
non è un libro di storia locale…ti ho messo io il volantino, pensando a tuo
figlio…No, forse lo darò ad una mia amica di Pontedera, credo che le piacerà…ma
di cosa parla?
Questa battuta mi ha riportato
alla mente altri due aneddoti: alla mia vicina di casa con la quale avevo
confidenza, dato che ad entrambi piaceva star fuori, in terrazza o sulle scale,
a prendere il sole, proposi l’acquisto di un libricino che avevo pubblicato
proprio in quei giorni. Mi rispose che lei leggeva pochissimo, quando andava a
letto, per addormentarsi. Gli suggerii caldamente di acquistare il libro
perché…dopo averne letta una sola pagina sarebbe caduta in un profondo sonno!
Un’altra conoscente mi disse che non l’avrebbe comprato…perché altrimenti
sarebbe stata costretta a leggerlo!Ma di cosa parlano i miei libri? E’ certo
che non hanno una trama, come ad esempio i romanzi ed i racconti. Come spiegare
il senso complessivo di una raccolta di poesie? A scorrere l’indice si avverte
una molteplicità di temi, disposti senza un ordine logico, né nello spazio
cartaceo, né cronologico, né connettivo. Se non fossi consapevole della mia
sommessa voce, ardirei a scrivere, come Saba, una Storia e cronistoria del mio
canzoniere, che si snoda negli ultimi sessanta anni, testimone del tempo e
delle trasformazioni sociali ed interiori
che hanno accompagnato il mio cammino, ma purtroppo tutto ciò che ho scritto è
affidato alla forza o alla debolezza, forse alla mitezza, della parola, essa
sola capace di suscitare un moto d’immersione interiore. Quando confesso che
scrivo poesie, o che penso poesie non scritte (non dicendo che senza la poesia
non potrei vivere), noto quasi sempre nei miei interlocutori un moto d’ironia,
eccone un altro dei perditempo…infatti a me le poesie non sgorgano come
sorgente perenne e copiosa d’acque purissime, già pronte per essere
imbottigliate come “minerali”, ma si aggregano intorno ad una parola, tre o
quattro parole, e si formano e si completano attraverso una depurazione
lunghissima, credo mai portata al limite estremo della purezza, attraverso un
“lavoro”, nella solitudine e nell’ansia di “partecipare alla vita di tutti”. Mi
ha molto colpito l’articolo di Guido Davico Bonino pubblicato sul Venerdì di Repubblica
1244 dal titolo “Cari bestselleristi d’alta classifica, un critico vi stronca.
Ed è Leopardi”. Vi si parla del canto 36 di Leopardi “Lo scherzo” (che ho letto
sempre e sempre rileggo specialmente riguardo alla “lima”). Adopero la lima,
che non si consuma, della quale credo che nessuno possa far senza, mentre il
tempo non manca, specialmente rapportando quello biologico della vita
dell’uomo, rispetto al quello eterno dell’opera d’arte. Si dirà, magra
consolazione, ma come è noto, le cose, tanto più sono rare, tanto meno si
apprezzano. Canto alla notte, per li sentieri, nel silenzio che sa ascoltare.
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