Pasqua
C’erano la stessa
aria densa e calda di primavera,
la pigrizia del
mattino e i petali perlacei dei ciliegi
che cadevano lenti
nel piccolo giardino;
c’erano, ed ora non
più, le note della fisarmonica
ammiccanti e tenere,
i sorrisi delle donne
nelle piccole
stanze di legno,
odoranti d’antico;
c’erano gli occhi
innocenti e civettuoli delle acerbe
compagne di scuola,
nel vicinato raccolto,
nell’intreccio di
voci amiche;
c’era nel petto un
sommovimento profondo,
un tendere indefinito
all’orizzonte
ancora bianco di neve, un’ansia sconosciuta
nel primo risveglio
d’amore, e l’attesa di lei;
lei, la grazia sempre
nuova, leggera,
liquefatti smeraldi
tra pagliuzze d’oro,
frutti acerbi
ammiccanti in vaporosi ricami,
melodia delle sciolte
campane
nell’incedere
flessuoso;
altro non c’era, per
me, in quel santo giorno,
in quella
resurrezione misteriosa
che mi lasciava
sbigottito.
Nessun commento:
Posta un commento