Che cos’è la Poesia ?
“Si sta come d’Autunno foglie sul ramo”, da <Soldati in
guerra> di Ungaretti. La spiegazione sembra abbastanza banale; ma perché
allora è poesia e non prosa? Se la poesia è voce, dizione, canto, ritmo,
scanzione – la scrittura serve solo a ricordarla -, qual è il risultato di
questo ritmo, scanzione, sospensione preparata sul fondo del silenzio? La
poesia non è comunicazione, né espressione, né verità di altro. La poesia non
deve necessariamente comunicare verità sullo stato delle cose, né verità sui
nostri stessi sentimenti, ma deve, attraverso le parole messe in un certo modo,
circoscrivere uno spazio che non è
dicibile. Deve richiamare la reazione di chi ascolta su questo cono d’ombra
che è il nostro vivere le cose. Non si cerca la verità con la poesia. E’
partecipare ad un sommesso esistere come silenziosi fratelli delle cose. Poesia
è vita più intensa che nasce in quel momento, è sollecitazione alla creazione
più che creazione essa stessa; è grazia, incantesimo. In un mondo come il nostro
– sporco rumoroso irrequieto – talora è bene fermarsi un istante, lasciar che
il tempo rimanga sospeso e questo cono d’ombra venga circoscritto dalle nostre
parole.
(da
Trasmissione televisiva a cura dell’Enciclopedia Multimediale delle scienze filosofiche,
1998)
Vedendo i bus passare
da piazza Dalmazia
alla stazione…
La
mamma di facili costumi; il babbo, invalido,
un
salace sporcaccione: ma la figlia era cresciuta
ingenua
nonostante le forme prosperose
e
labbra troppo rosse su un sorriso triste.
C’incontrammo
quell’anno magico, vorrei
dir
santo, senza offendere la sacra religione,
nella
città del giglio, alloggiati entrambi
in
separate stanze di un modesto alberghetto,
vicino
alla stazione.
Coincidevano
le partenze ed i ritorni, il ritmo
del
giorno e della notte, l’afa di quei torridi
giorni,
i numeri del bus ed anche le ore
di
pasti sobri e - d’antichi scalini di
marmo -
l’illusione
d’un po’ di fresco, sull’angolo
di
S.Maria del Fiore. Solo a più tardi rintocchi
un refolo di vento c’invitava ad una fetta
d’anguria,
più in là, alla Loggia del Porcellino,
nel
già quasi mattino. Lavoravamo insieme
ed
una sera, già tardi, alzando gli occhi
oltre
la vetrata che ci divideva, ci fu uno sguardo
diverso,
un raggio laser, un pulviscolo d’oro,
e
un fremito m’entro dentro le membra,
un
desiderio di lei, quasi dolore.
Sull’autobus
deserto la baciai! Me lo rese,
quel
bacio, ed anche gli interessi, che all’improvviso
s’eran
moltiplicati, diventammo ricchi, in quelle notti
strane,
nell’odore limaccioso d’acque pigre, in calici
appannati
di vino e di sudore, sulle panchine
di
parchi polverosi, e tra lenzuoli appiccicosi
d’una
camera spoglia, con l’incanto
d’un
cielo sbiadito, lassù, irraggiungibile,
nel
piccolo abbaino.
Osammo
troppo, troppo fu l’amore nato da due
solitudini,
la necessità fece virtù, mentre più lune
solcarono
il cielo, un cielo che fu solo tuo e del male
che
già portavi in seno. Su questa Terra non ti vidi più.
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