Didascalie delle immagini: 1) Carlo e Grazia; 2)Grazia; 3) Carlo, Alberto e Mario all'uscita del Cinemà; 4) Solidea e Lenzina con famiglie, prima comunione; 5) Giorgio Bisogni e Renzo Groppi.
28 maggio 2021.
Le case in affitto.
(II)
La casa di Legno di Raspino, mitica. Con Libero e Libertà, Niva, Alberto, Neda, la sorella del prete di Montecastelli e suo marito, a piano terra Giosuè Carducci con Antonietta e Fabio, e infine Gelasio e la "baracca". Sul lato ad est, tutto il "Piazzone", mentre ad ovest la pendice dei ciliegi, dei meli, dei castrucci dei conigli e del maiale! Mi ha ispirato alcune
poesie e due o tre racconti, ma adesso è stata completamente abbattuta e
ricostruita in mattoni e pietre, e il lungo terrazzo aperto, che si affacciava
sui giardini del Piazzone è stato
inglobato nei vari appartamenti, ci sono soltanto finestre. All’inizio io,
nonna e babbo, abitammo le due sole stanzette, cucina e camera. Il gabinetto
non c’era, dovevamo uscire di casa, girare l’angolo del passaggio che circondava il lato a monte del fabbricato,
dov’era una specie di piccolo castruccio, con al centro la famosa “buca”
sopraelevata, che scaricava direttamente su una specie di fossetto che veniva
dal Poggio del Galina, di modo che, quando pioveva, ripuliva il monticello che
vi s’era formato! In quel tempo di semimiseria l’igiene personale praticamente
non esisteva! Ma la casa era tutta di legno, e la fisarmonica del babbo con le
sue canzoni risuonava in tutto il fabbricato! Venivano ad imparare la
fisarmonica alcuni giovani mezzadri e qualche ragazzo e ragazzina del paese,
con i quali era possibile giocare sulla lunga terrazza ed anche sognare. Sul
retro della casa abitava in due stanzette in pietra, aggiunte alla “casa di
legno”, con annesso WC, Gelasio, un vecchio anarchico, ormai solo dopo la morte della sua
compagna, non del tutto solo, perché aveva con se molti gatti che portava anche
dentro il letto. Gelasio coltivava un orticello in Possera e si sentiva bene
quando partiva e quando arrivava, perché aveva un bastone con la punta di ferro
che batteva sugli scalini. Aveva letto molti libri nella sua vita, quasi tutti
anarchici, ed era contento di prestarmeli. Nelle domeniche della bella stagione
la finestra della nostra cucina, che si affacciava sull’orto e sui ciliegi,
spandeva nell’aria il suono della fisarmonica. Così quando Gelasio rientrava
per mangiare vi si affacciava sempre, salutando la nonna e chiedendo al babbo
di suonare “Addio Lugano Bella”! E mio babbo lo accontentava. Ogni tanto
rientrava un po’ brillo e una sera inciampò e cadde in quello stretto
vicoletto, c’ero io che sentii il colpo e mi precipitai fuori per sollevarlo,
ma lui, con tono deciso rifiutò il mio aiuto e mi disse una frase che non ho
più dimenticato: “un uomo, quando cade, deve risollevarsi anche da solo, caro
Carlo grazie”, ma rifiutò il mio aiuto. Dopo la sua morte noi ci trasferimmo
nella sua casetta di muro che però aveva due finestre e un WC! Ma mentre nelle
stanze di legno si stava al calduccio con una sola stufa, nella casa di muro,
esposta a nord, nell’inverno il sudore componeva il suo spartito gelido sulle
pareti della camera che brillavano al tenue chiarore della luna. La nonna aveva
raggiunto i 74 anni di età e un bel giorno del maggio 1958 ebbe una trombosi
cerebrale che la paralizzò sul lato destro del corpo. Quel giorno stesso fu
portata all’Ospedale di Siena, dove fu curata con grande perizia e amore, si
che in capo a due mesi aveva parzialmente ripreso quasi tutti i movimenti del
braccio e della gamba, mentre il cervello, vista, udito, memoria, erano rimasti indenni. Fu allora che il babbo
decise di lasciare questa casa. Ritornammo così nel Vicolo del Serrappuccio,
proprio nella casa dov’ero nato io, che aveva tre stanze, e, un WC nel
sottoscala! Ormai anch’io lavoravo da due anni alla Larderello SpA, in un
ufficio, mentre il babbo era saldatore specializzato sempre alla Larderello SpA. Da questo momento
prendemmo una “badante” per la nonna, ma solo per due ore o tre al giorno per
aiutarla a fare le faccende di casa, mentre
lei cucinava! Io ero l’incaricato di fare la spesa, al macello della “Tigre” e
da “Liberino” per gli altri generi alimentari. Avevamo un salottino con
divanetto, libreria e poltrone, con una finestra che dava su un giardino, la
cucina spaziosa con altra finestra, la stufa a legna, un apparecchio radio,
l’acquaio…e anche una camera con il letto matrimoniale dove ho sempre dormito
insieme al mio babbo, mentre la nonna aveva il suo lettino di ferro dalla mia
parte, perché ero io il suo infermiere…di notte! Eravamo persone di buona
cultura, nella nostra casa entravano: un
quotidiano ogni domenica, l’Unità, che ci portava Fabbrino; un settimanale ed
altri fumetti, ed i primi libri, romanzi economici della Rizzoli, ma anche le
fiabe di Andersen nell’edizione dei Millenni di Einaudi e la Storia della
letteratura Italiana di Francesco Flora. Naturalmente eravamo comunisti, come
tutto il nostro vicinato. Intorno a noi c’erano alcune vecchie vedove, ma anche
giovani spose coi loro figli e tutti ci volevamo bene! Dentro il Vicolo non potevano
entrare le auto, né biciclette, né c’erano altri pericoli. La nonna faceva il
“tifo” per me nell’amore. Quando avveniva che portavo in casa una ragazza del
paese, la nonna mi incitava “Carlo, pigliala, mi garba!” Ma, magari, era solo
una ragazza alla quale prestavo un libro! In quegli anni il babbo fu inviato
dalla Larderello SpA in cantieri lontani: a Ravenna e sulla Maiella. Lui era un saldatore
esperto, quello che ci voleva nelle trivellazioni alla ricerca del metano,
quando erano in gioco grandi pressioni dei fluidi alle bocca pozzo. Si fece molto
onore (e trovò anche un po’ d’amore…) tanto che fu destinato ai campi
petroliferi della Nigeria. Quando arrivò la bozza del contratto economico ci
sembrava un sogno: dieci volte di più di uno stipendio in Italia, voli aerei
pagati, soggiorno pagato ecc. ecc. Io lo incitavo ad accettare (anche perché la
sua motocicletta MIVAL 125 Sport sarebbe stata mia!) E così Renzo andò a Roma
per le visite mediche che furono tutte OK! Ma al suo rientro disse che aveva
rifiutato l’ingaggio! Secondo la sua teoria lui aveva il cranio piatto per
resistere al sole africano! Addio per me MIVAL 125 SPORT ! E così rimanemmo nel Serrappuccio,
noi tre. La nonna non stava di peggio, il babbo conduceva la sua vita tra
lavoro, gioco delle carte, suono della fisarmonica e veglie mezzadrili (e qualche donnetta). Dormivamo
nello stesso letto, sempre allegri. Ci raccontavamo storie, anche molto intime.
Intanto mi ero fidanzato con una bellissima ragazza di paese, che iniziò a
frequentare la nostra casa, poi mia sposa e compagna di tutta la vita! Fu lei
che mise fine al mio “barbarismo” e andò
così: ero a letto ammalato e venne a trovarmi. Si accorse subito che ero
soltanto in camicia senza altro addosso! Infatti io e il babbo, nella bella
stagione, dormivamo solo con la camicia…eravamo un po’ primitivi, e da quel
giorno ebbi camiciole e canottiere a mezze maniche, di lana e di cotone, a maniche lunghe,
mutande, calze e tutti gli accessori civili! Finì il nostro benestare. Nel 1964
ci sposammo ed io andai ad abitare nella casa
dei miei suoceri, in Via Renato Fucini, mentre nel Serrappuccio rimasero
nonna e babbo. Nel 1970 ingrandimmo il fabbricato di Via Fucini e così babbo e nonna si
trasferirono in un piccolo appartamento in affitto proprio al piano sottostante
il nostro, più luminoso e caldo, e, praticamente, ci eravamo riuniti e babbo e
nonna poterono godere dell’affetto delle nostre due figlie, oltre che del
nostro. La nonna morì nel suo lettino nell’anno 1974, novantenne e senza
soffrire; il babbo morirà dieci anni dopo, all’età di 69 anni, per un
mesotelioma pleurico contratto dall’inspirazione di fibre di amianto prodotte
dal suo lavoro di saldatore, venti anni dopo averlo interrotto! Ma non fu mai
solo, nei sette mesi che trascorsero tra
la diagnosi e la morte, e cessò di
suonare la sua amata fisarmonica solo 20 giorni prima! Suonò una canzone per me
e per un mio caro amico che prima del Natale era venuto a salutarlo! E ormai
anche le mie perigrazioni tra le “case” era terminata.
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