PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI.
CAP. 64.
Perché il sindacato, oggi?
Voci non disinteressate teorizzano in questi ultimi
mesi sulla “crisi di identità” del sindacato, sulla perdita di credibilità dei
vertici sindacali tra i lavoratori, sul fallimento della politica di
trasformazione sociale e morale che è conosciuta con il nome di “Linea dell’Eur”
e così via.
C’è chi
vede il sindacato confederale italiano già morto e sepolto e al suo posto
svilupparsi il cosiddetto “sindacato libero”, quello autonomo, non più
classista, quello più congeniale al sistema, ai padroni e agli apparati
politici. Si scava anche nel passato di lotte, esperienze, strategie del
sindacato, si scrivono articoli e libri sul ’69 e sui successivi dieci anni, si
mettono in evidenza luci ed ombre. E non potrebbe essere altrimenti visto il
ruolo centrale che il sindacato ha assolto, coprendo vuoti delle forze
politiche e del Governo, in questo periodo storico così difficile, dentro una
crisi scatenata da forze oscure e potenti iniziata quel drammatico 12 dicembre
1969 a Piazza Fontana a Milano e costellata dai mille micidiali delitti e
attentati eversivi, fino all’assassinio di Aldo Moro, al fallimento del Patto
di unità e solidarietà nazionale tra i partiti di governo e di opposizione.
Se c’è stato un argine invalicabile
alle manovre reazionarie in Italia, se in queste condizioni tremende la classe
operaia, le masse popolari, i giovani, hanno mantenute intatte le possibilità
di avanzamento economico e sociale, questo è dovuto principalmente all’azione, alla presenza del sindacato
unitario! Bisogna aver sempre presente questa verità e saper guardare con mente
aperta ai travagli che pur ci sono, ai problemi, alle difficoltà, superando il
pessimismo che spinge “nel privato” e rafforzando un patto di solidarietà tra
gli uomini sfruttati, tra i lavoratori, per trasformare i rapporti tra le
classi e costruire la società nuova, a misura dell’uomo.
Il capitalismo monopolistico ha ormai
la possibilità concreta non solo di corrompere una minoranza ristretta,
“l’aristocrazia operaia”, come avveniva a cavallo dei secoli XIX e XX, ma anche
di favorire l’imborghesimento spirituale di strati molto più vasti di classe
operaia. La “società dei consumi” e la deproletarizzazione della classe
operaia, nonché le teorie sulla democraticizzazione del capitale e della
compartecipazione gestionale alle aziende, sono gli strumenti atti ad
ostacolare l’unità tra le masse ed esercitano una influenza negativa sullo
sviluppo del movimento operaio.
Le lotte di questi ultimi mesi per le
vertenze aperte con il Governo, a difesa
degli strati più deboli, la larga partecipazione registrata dimostrano che il
sindacato non intende chiudersi entro gli stretti limiti degli interessi
corporativi, ma intende sviluppare una azione di grande respiro ideale e
politico e quindi contrapporsi all’azione della borghesia, rafforzando la
coscienza di classe degli operai, la loro unità interna e con le masse
popolari.
Chi aveva scommesso sulla debolezza del
sindacato e sul suo fallimento, specialmente nello sciopero del 21 novembre, ha
dovuto ricredersi. Il rapporto dei lavoratori con il movimento sindacale è
saldo. Da noi, a Larderello, lo sciopero è andato bene: oltre l’80% di
partecipanti, anche se restano spazi da colmare, specialmente tra gli
impiegati. Altri importanti impegni ci attendono: dai congressi,
all’applicazione dei contratti, all’impegno per lo sviluppo economico del
Mezzogiorno, all’occupazione giovanile, alla lotta al terrorismo…solo se saremo
forti, uniti e combattivi avremo la certezza che non torneremo indietro.
Cantava Brecht nel film Kuhle Wampe:
Se
tra noi manca l’accordo
i
padroni son contenti.
finché riescono a dividerci
restan
loro i più potenti.
Avanti,
e non scordate
quello
che forza ci dà:
in fame o in abbondanza
avanti,
ricordate la solidarietà.
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